Presepe peruviano in piazza San Pietro |
Pensiero
di Natale 2021
Natale è un lungo periodo di festa. Non un
solo giorno, per i cristiani. Dura dalla sera del 24 dicembre alla sera del 6
gennaio. In modo molto intenso tra il 25 dicembre e il 1 gennaio. Appunto, quindi, non un
solo giorno. La festa cristiana non sostituì quella più antica dedicata alla nascita del
Sole mai vinto, che si prese
a celebrare dal 25 dicembre, ma progressivamente la inglobò, riprendendone vari temi per
spiegare la nuova fede.
Il Sole era considerato un dio. Gli antichi,
che erano molto religiosi, non avevano degli dei la concezione della divinità
che noi cristiani abbiamo ricevuto dall’antico ebraismo. Un dio era una forza
sovrastante: poteva manifestarsi nella natura, ad esempio con il Sole appunto,
ma anche in una persona, ad esempio in un sovrano. L’onnipotenza non era
attributo del dio. Costantino 1°,
imperatore romano nato in Serbia e morto in una città dell’Anatolia
vicina all’attuale Istanbul che regnò nel 4° Secolo, fece del Sole il simbolo
del suo potere. Ho letto che lo chiamava compagno Sole. Egli, che
costruì intorno a quel potere anche una mitologia cristiana, nell’indire e
presiedere il Concilio ecumenico
svoltosi a Nicea – in Anatolia – nell’estate del 325, il primo fondamentale
concilio riconosciuto come ecumenico,
volle anche chiamarsi compagno
vescovo. La differenza non è da poco. E’ tra l’essere compagno di un dio e l’essere compagno di chi ritiene di essere incaricato da Dio di
prendersi cura di una Chiesa. Tuttavia
Costantino d’istinto – non era un dotto ma aveva ricevuto formazione da
politico e comandante militare -, nel costruire il proprio mito, operò una
sintesi che ebbe molta fortuna nelle nostre Chiese: su ispirazione del vescovo
Eusebio di Cesarea (città della Palestina), divenuto suo consigliere, si
presentò come Vicario della
Potenza celeste:
Per definire la natura
divina del potere imperiale e la sacralità della persona stessa
dell’imperatore, Eusebio adotta modelli neoplatonici e scritturali: già
nel Triaconteterico e
ora nella Vita
Constantini, lo definisce «icona» del Padre e «imitazione» del Figlio,
attribuendogli la funzione di «interprete» e di «vicario sulla terra» sia di
Dio-Re, sia del Logos-Cristo70.
Si tratta di un livello di idealizzazione che conferma la sacralità del potere
imperiale senza sollevare particolari problemi di natura dottrinale, in quanto
non scalfisce, comunque, i principi della trascendenza del divino rispetto
all’umano. [dalla voce “Costantino tra divinizzazione e santificazione.
Una sepoltura contestata”, scritta da Giorgio Bonamente nell’Enciclopedia
Costantiniana Treccani on line
La
divinità di Gesù venne creduta molto
presto tra i suoi seguaci, fin dai primi decenni dopo la sua morte; questa fede
è documentata dai primi scritti del Nuovo Testamento, le lettere di Paolo di
Tarso. Costantino, nel suo grandioso disegno di riforma dell’antico Impero
romano teologica costruì ideologicamente,
sulla base di quella credenza, la sacralizzazione
del suo potere politico secondo la fede cristiana e, così facendo, le
impartì una struttura politica che
ancora dura, in particolare, con molta
forza, nella Chiesa cattolica. Ne inventò la sacra gerarchia. Fino al
Quarto secolo l’unità tra le Chiese cristiane era stata fatta sulla base della
fede comune, dal Quarto secolo progressivamente si fece nella soggezione a
sovrani cristianizzati. Questo principio è, ad esempio, al fondamento della legge secondo cui si deve
praticare la religione del luogo in cui si vive, decisa dal sovrano, deliberata nel Seicento, per porre fine ad un lunghissimo e sanguinoso periodo di guerre a
sfondo religioso, nel complesso di
trattati che viene indicato con la definizione Pace di Westfalia e che pose le basi dell’assetto politico
dell’Europa moderna. Quel principio fu progressivamente abbandonato da fine
Settecento, con l’affermarsi delle rivoluzioni democratiche; ad esso si
richiamano gli attuali sovranismi europei per discriminare i credenti in altre
fedi giunti da fuori. In correlazione agli sviluppi
politici, istituzionali e dogmatici prodottisi nel 4° Secolo si affermò la festa
del Natale/Epifania (che celebrano lo stesso evento): si festeggia la stabilità
rinnovata dell’ordine universale, l’unione tra Cielo e Terra.
Il Natale e l'Epifania furono in realtà due feste che, non attestate
nel sec. I della Chiesa, cominciano ad apparire vagamente nei secoli II e III,
"nel corso del sec. IV, in una data che non si può precisare, cominciarono ad essere
celebrate dappertutto" (H. Leclercq, Epiphanie, in Dict. d'arch. chrét., V, i,
coll. 197-202). In quel secolo infatti l'Occidente prendeva dall'Oriente la
festa dell'Epifania e l'Oriente dall'Occidente la festa del Natale del 25
dicembre (v. anche befana e befanata).
[voce Epifania, di
Umberto Fracassini, Giuseppe De Luca, Giuseppina Soave, in Enciclopedia
Italiana Treccani on line
https://www.treccani.it/enciclopedia/epifania_%28Enciclopedia-Italiana%29/
]
Con l’affermarsi, tra il 6° e l’8° secolo, del computo del tempo secondo un’era
cristiana decorrente dalla data stimata di nascita di Gesù, il suo giorno
natale, la più antica celebrazione dell’inizio dell’anno, collocata nel
mese di gennaio dedicato al dio Giano, fu anch’essa inglobata nella celebrazione del Natale
cristiano e, nella liturgia
cattolica, conclude l’Ottava di Natale: ai tempi nostri, e dalla riforma
liturgica del 1965, vi si celebra la solennità di Maria Madre di Dio.
Quella sopra descritta è però solo una delle polarità
della festa del Natale cristiano,
che presenta una forte tensione interna tra la celebrazione della sovranità
universale e la critica del modo di essere sovrani secondo le
potenze della Terra. Però spiega perché il Natale si festeggia anche come si fa in genere, con pranzi, musica,
balli, luminarie, scambi di doni ecc., vale a dire nello stesso modo di tutte
le altre feste. Si festeggia la nascita di un sovrano universale dal quale si
attende stabilità e prosperità.
L’altra polarità è quella del Dio che
nasce nell’umiltà della condizione umana, ben rappresentata nella
teologia francescana del presepe. Si narra che, in occasione
dell’allestimento di quella prima sacra rappresentazione della natività, il
santo volle che fosse celebrata la messa, a significare che, in quell’umiltà,
in quel bambino accudito amorevolmente da mani umane, Dio è realmente
presente tra noi.
La tensione tra queste due polarità riflette
aspre controversie teologiche che travagliarono la cristianità tra il Quarto e
l’Ottavo secolo, con importanti riflessi politici. In particolare, è l’umanità reale del Cristo a fondare la plausibilità di
un potere politico sacralizzato di un suo Vicario, garante visibile
dell’ordine universale.
Di solito il clero critica gli eccessi
festaioli dei fedeli in occasione delle festività natalizie, richiamandosi alla
teologia dell’umiltà, e tuttavia nelle
liturgie che inscena ne mantiene il fondamento. In effetti i due poli del Natale sono stati mantenuti, così come la
fede nella divinità e, insieme, nell’umanità del Cristo. Così, non si può dire
che fare festa a Natale sia
sbagliato, da un punto di vista della fede. Il diffuso profluvio consumista
diffuso nei sistemi capitalistici avanzati dà solo più materiale per far
festa. Anche senza averne piena consapevolezza teologica, quando si fa
festa a Natale si celebra sempre la
fiducia che l’universo abbia un suo ordine stabile, in Cielo come in Terra. Ma,
certamente, se si rimane a questo si è
un po’ superficiali.
La memoria della nascita di Gesù, che non può
essere considerata una reale memoria storica secondo i criteri che oggi ci
diamo per l’affidabilità storica di una narrazione, rimanda a un tempo in cui
egli fu tra noi senza essere ancora il Maestro. Egli era, però, l’Atteso.
E questo dell’attesa è un
elemento che, più in generale, può contribuire a spiegare il sorprendente
sviluppo dei cristianesimi in società che inizialmente, e a lungo, li
considerarono pericolosi elementi di instabilità e di sedizione. Nelle regioni
intorno al Mediterraneo, nel Primo secolo,
c’era da tempo una profonda insoddisfazione per l’antica religione
politeistica e i suoi rivolti politici.
Qual è l’ultima parola sugli esseri umani?
Essi sono condannati a fondare le loro società su violenza, rapina e
sopraffazione, perché nessun potere politico può ordinare la società senza quei mezzi, oppure è data
agli umani la possibilità di essere diversi? Il centro del vangelo cristiano è
che, sì, è possibile essere diversi ed essendolo le nostre società ne possono
uscire trasfigurate in ciò che viene definito agàpe, un modo benevolo,
solidale e misericordioso di convivenza che ci stacca marcatamente dalle consuetudini delle antiche belve dalle quali biologicamente discendiamo. In questa prospettiva la
legge del potere è questa:
Tra i discepoli sorse una
discussione per stabilire chi tra essi doveva essere considerato il più
importante. Ma Gesù disse loro:
— I re
comandano sui loro popoli e quelli che hanno il potere si fanno chiamare
benefattori del popolo. Voi però non dovete agire così! Anzi, chi tra voi
è il più importante diventi come il più piccolo; chi comanda diventi come
quello che serve. Secondo voi, chi è più importante: chi siede a tavola
oppure chi sta a servire? Quello che siede a tavola, non vi pare? Eppure io sto
in mezzo a voi come un servo. Voi siete quelli rimasti sempre con me,
anche nelle mie prove. Ora, io vi faccio eredi di quel regno che
Dio, mio Padre, ha dato a me. Quando comincerò a regnare, voi mangerete e
berrete con me, alla mia tavola. E sederete su dodici troni per giudicare le
dodici tribù del popolo d’Israele.
[Dal Vangelo secondo Luca,
capitolo 22, versetti da 24 a 30 – Lc 22, 24-30 – versione TILC – Traduzione interconfessionale
in lingua corrente]
Questa del potere come servizio
della gente, non di un sovrano, è un’idea
centrale della democrazia come oggi la concepiamo. Un’altra è questa:
I farisei fecero una riunione per
trovare il modo di mettere in difficoltà Gesù con qualche domanda. Poi gli
mandarono alcuni dei loro discepoli, insieme con altri del partito di
Erode. Gli chiesero:
— Maestro, sappiamo che tu sei sempre
sincero, insegni veramente la volontà di Dio e non ti preoccupi di quello che
pensa la gente perché non guardi in faccia a nessuno. Perciò veniamo a
chiedere il tuo parere: la nostra Legge permette o non permette di
pagare le tasse all’imperatore romano?
Ma Gesù sapeva che avevano intenzioni cattive e
disse:
— Ipocriti! Perché cercate di imbrogliarmi? Fatemi
vedere una moneta di quelle che servono a pagare le tasse.
Gli portarono una moneta d’argento, e Gesù
domandò:
— Questo volto e questo nome scritto di chi
sono?
Gli risposero:
— Dell’imperatore.
Allora Gesù disse:
— Dunque, date all’imperatore quello che è
dell’imperatore, ma quello che è di Dio datelo a Dio!
A queste parole rimasero pieni di stupore; lo
lasciarono stare e se ne andarono via.
[Dal Vangelo secondo
Matteo, capitolo 22, versetti da 15 a 22 – Mt 22, 15-22 - versione TILC – Traduzione interconfessionale in lingua
corrente]
Esprime
il principio della desacralizzazione assoluta del potere politico (non quello
della ripartizione di competenze tra gerarchie politica e religiosa), nel senso
che nessun potere politico può sottrarsi alla critica sociale – e in particolare
religiosa – con la pretesa di essere voluto da un dio. Per realizzare,
ciononostante, la sacralizzazione della politica cristianizzata si sono
presentati i sovrani come vescovi universali, in questo senso Vicari del Cristo, quindi suoi inviati per rendere presente
il suo potere. Dal Secondo millennio il Papa romano pretese l'esclusività di questo ruolo. Gli antichi imperatori
romani cristianizzati che ebbero sede a Bisanzio / Costantinopoli furono tuttavia, in
questo, il modello di ogni successivo potere sovrano cristianizzato e della
corte che l’attorniava, così come dello splendore liturgico destinato a manifestarne
la maestà, e in larga parte lo rimasero anche per il Papato romano, almeno fino
agli scorsi anni Sessanta.
L’altra
idea fondamentale della democrazia come oggi la intendiamo è il limite di ogni
potere politico nel consenso popolare e non trova espressi agganci evangelici,
perché il Maestro non intese lasciarci massime in merito né creare, nella sua vita terrena, un’organizzazione
territoriale della sua Chiesa. Girava predicando e guarendo, ma non lasciava suoi delegati nelle zone che aveva visitato. Tuttavia alle origini quel principio dell'investitura per consenso dei fedeli fu largamente e a lungo praticato nell’assegnare
funzioni ecclesiali. Si ricorda di solito, ad esempio, la designazione popolare come vescovo di Milano di Ambrogio,
che era un funzionario imperiale (non ancora battezzato), nel bel mezzo del
fatidico 4° secolo.
Ai tempi
nostri abbiamo uno sguardo realistico su ogni forma di potere, ma questo non
impedisce il processo di sacralizzazione, anche senza riferimenti cristiani. Un
potere politico sacralizzato appare sostanzialmente quello del cinese Xi
Jinping. Lo è ancora, marcatamente, quello del Papa romano, sebbene dagli anni
Sessanta se ne stiano progressivamente abbandonando certe insegne. Quando, di
fronte alle crisi sociali ricorrenti, sogniamo un demiurgo che riporti le cose
a posto, sostanzialmente ragioniamo sacralizzando. Immaginiamo
di affidarci a un potere Vicario di potenze superne come
lo costruirono i sovrani delle dinastie cristianizzate. E, indubbiamente, nelle
feste natalizie popolari si manifesta anche questa prospettiva.
L’altro
polo della festa, quello del Dio tra noi, uomo tra gli uomini, ci mette in questione più direttamente. Fare
atto di sottomissione ad un sovrano sacralizzato è, tutto sommato, semplice. Ci
si umilia di fronte a lui sperando di esserne protetti e beneficati. Ma, in
fondo, nella propria interiorità si rimane quelli di sempre. E' anche possibile far mostra insincera di sottomissione. Praticare l’agàpe è molto più impegnativo, anche se
assolutamente alla nostra portata, così come la violenza belluina. Richiede di
cambiare se stessi come via per cambiare la vita collettiva. E la violenza, naturalmente, ci viene più istintiva. L'agàpe è democratica perché tutti possono collaborarvi contribuendo
a costruire una società diversa. Non occorre essere sapienti, addestrarsi con
le armi, essere ricchi, insomma padroneggiare qualche tipo di potere
riconosciuto in società. Liturgicamente è rappresentato dall’Eucaristia, il
centro delle celebrazioni cristiane. Che c'è di più semplice del condividere il pane? L’umanità è capace di manifestare il
divino, inteso come ciò che rimane e che ci distingue dal resto dei viventi.
Di
questi tempi, nelle nostre Chiese, siamo chiamati proprio a quell’impegno, vale
a dire alla sinodalità, come via di riforma. Ci ha convocato colui che
oggi impersona ancora il potere sacralizzato organizzato a partire dal 4° secolo intorno
all’esercizio della religione, un potere divenuto progressivamente autocratico
e autoreferenziale. Si sono messe così in comunicazione le due polarità che possono essere individuate nelle
celebrazioni natalizie.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente
papa – Roma, Monte Sacro, Valli