Natale 2021
Il Signore mi ha concesso di essere ancora tra voi in questo Natale. Sono cose che alla mia età, ho sessantaquattro anni, non sono assolutamente scontate, specie dopo certe emozionanti esperienze come quella che ho trascorso qui a Roma ieri e l’altro ieri. Mani sapienti hanno cercato di salvarmi e altre mani hanno reso confortevole il mio soggiorno: più di un lavoro, sicuramente, perché ha così da vicino a che fare con l’interiorità umana che il Maestro, nel manifestare agli inizi il suo vangelo, si volle presentare come guaritore.
Davanti all’ingresso principale del Policlinico Gemelli c’è un’opera d’arte molto significativa, in metallo, dell’artista Gianni Gianfrocca: una sfera che rappresenta il mondo fatto di mani distese fino a toccarsi con le dita. A volte sottovalutiamo l’importanza, per la nostra sopravvivenza, dei legami che, di mano in mano, ci uniscono con tutta l’altra umanità. Gli altri, dunque, non sono solo l’inferno, come scrisse un grande filosofo francese qualche decennio fa. Mi pare che proprio le consuetudini natalizie, ma anche le teologie che stanno dietro ad esse, vogliano convincercene. È un pensiero che riguarda Dio secondo la concezione cristiana, e che quindi parte dalla vita degli esseri umani e, per questo, non è campato in aria ma veramente molto radicato in noi. Infatti nel Cristo, ci insegnano i nostri pastori, è risolta la separazione tra Cielo e Terra e, dunque, anche quella tra noi. Alla base della sinodalità che di questi tempi siamo chiamati a impersonare c’è proprio questo: ecco perché si raccomanda di aprire ogni evento sinodale con un’invocazione allo Spirito. Ed è anche il fondamento dell’annuncio del Natale: Dio tra noi per unirci, superando ciò che si era guastato tra noi e lui e quindi fra noi. Hanno ragione i nostri pastori: difficile pensare altrimenti l’unione universale tra noi. E questo modo di pensare è ciò che ci distingue da ogni altro vivente sulla Terra che conosciamo. Quando non ci abbandoniamo agli istinti ancestrali che, per discendenza biologica da antiche belve, abbiamo in noi, come emozioni che ci spingono ad agire come loro nelle difficoltà della vita, allora siamo umani e pensiamo Dio in qualche forma, anche senza rappresentazioni numinose, e un modo molto ardito di farlo è quello da cristiani, anche se non è il solo. Ed è ardito fondamentalmente perché ingloba una teologia di gioia universale. Questo fu, in particolare, il primo annuncio soprannaturale del Natale:
Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce, ed essi ebbero una grande paura. L’angelo disse: «Non temete! Io vi porto una bella notizia che procurerà una grande gioia a tutto il popolo: oggi per voi, nella Città di Davide, è nato il Salvatore, il Cristo, il Signore. Lo riconoscerete così: troverete un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia».
Subito apparvero con lui molti altri angeli. Essi lodavano Dio con questo canto:
«Gloria a Dio in cielo
e sulla terra pace per quelli che egli ama».
[Lc 2, 9-14 – versione TILC]
Spesso i miti unificanti servono a fare muro contro altri gruppi umani o ad organizzarsi per predarli, e in questi casi si è ancora all’interno dei modi delle belve sociali. L’idea dell’unificazione benevola e solidale su scala universale, come quella implicata nella teologia cristiana dell’Incarnazione, che sta dietro le narrazioni degli eventi natalizi, è tutt’altro.
Gli episodi delle spontanee tregue di Natale avvenuti dalla vigilia del Natale 1914, durante la Prima guerra mondiale, tra soldati inglesi e tedeschi che erano stati coinvolti in scontri feroci, intensamente brutali, furono manifestazioni popolari di quella teologia cristiana, profondamente incarnata in quella gente in guerra, costretta (si trattò infatti di un dovere sociale) a combattersi dai ceti egemoni dalle loro parti e dalle loro ideologie di rapina nonostante la comune fede religiosa.
Crediamo interiormente nella possibilità di una riconciliazione e questo è il fondamento della nostra gioia, essenzialmente radicato in una speranza che sorge nella nostra interiorità. Possiamo dunque dire in ogni occasione, come fece san Wojtyla a Sarajevo, in Bosnia, dopo un’altra orrida e spregevole guerra, in una storica omelia del 13 aprile 1997:
Carissimi Fratelli e Sorelle! Quando nel 1994 desideravo intensamente venire qui tra voi, facevo riferimento ad un pensiero che s'era rivelato straordinariamente significativo in un momento cruciale della storia europea: «Perdoniamo e domandiamo perdono». Si disse allora che non era quello il tempo. Forse che quel tempo non è ormai giunto?
Ritorno oggi dunque a questo pensiero e a queste parole, che voglio qui ripetere, affinché possano discendere nella coscienza di quanti sono uniti dalla dolorosa esperienza della vostra città e della vostra terra, di tutti i popoli e le nazioni dilaniate dalla guerra: «Perdoniamo e domandiamo perdono». Se Cristo deve essere il nostro avvocato presso il Padre, non possiamo non pronunciare queste parole. Non possiamo non intraprendere il difficile, ma necessario pellegrinaggio del perdono, che porta ad una profonda riconciliazione.
«Offri il perdono, ricevi la pace», ho ricordato nel Messaggio di quest’anno per la Giornata Mondiale della Pace; ed aggiungevo: «Il perdono, nella sua forma più vera e più alta, è un atto d'amore gratuito», come lo fu la riconciliazione offerta da Dio all'uomo mediante la croce e la morte del suo Figlio incarnato, il solo Giusto. Certo, «il perdono, lungi dall'escludere la ricerca della verità, la esige», perché «presupposto essenziale del perdono e della riconciliazione è la giustizia». Ma resta sempre vero che «chiedere e donare perdono è una via profondamente degna dell'uomo».
Mentre oggi appare chiaramente la luce di questa verità,
i miei pensieri si rivolgono a Te, Madre di Cristo crocifisso e risorto,
a Te che sei venerata e amata in tanti santuari di questa terra provata.
Impetra per tutti i credenti il dono di un cuore nuovo!
Fa' che il perdono, parola centrale del Vangelo, divenga qui realtà.
Saldamente aggrappata alla croce di Cristo,
la Chiesa riunita oggi a Sarajevo Ti chiede questo,
o Clemente, o Pia,
Madre di Dio e Madre nostra,
o dolce Vergine Maria!
Amen.
In questo Natale 2021 nel quale noi europei viviamo, apparentemente ancora incapaci di trovare risorse ideali di pace, come intontiti dai colpi della pandemia, crescenti pericoli di un conflitto catastrofico nelle regioni orientali del nostro Continente, desidero, nell’unirmi all’amen del santo, inviarvi di cuore auguri natalizi di gioia e di pace. Possiate seguire il comando di misericordia universale portato in Terra dal Cristo che venne, rimane e tornerà tra noi.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli