La prima assemblea sinodale parrocchiale
Ieri,
alle 16, abbiamo svolto la prima assemblea sinodale parrocchiale.
Eravamo una quarantina.
L’incontro si è svolto secondo il modello che
avevamo già sperimentato nella Quaresima del 2016 e anche seguendo la scheda
preparata dalla Diocesi.
Il tema era la Prima domanda corrispondente ad uno di quelli in cui è articolato, nel Documento preparatorio diffuso lo scorso settembre dalla segreteria
del Sinodo dei vescovi, l’Interrogativo fondamentale per la consultazione sinodale del Popolo di
Dio, vale a dire l’argomento sui compagni
di viaggio.
1.
COMPAGNI DI VIAGGIO
Nella
Chiesa e nella società siamo fianco a fianco sulla stessa strada. Nella nostra
Chiesa locale, chi sono quelli che “camminano insieme”? Chi sono quelli che
sembrano più lontani? Come siamo chiamati a crescere come compagni? Quali
gruppi o individui sono lasciati ai margini?
Le
persone laiche non sembrano essere state coinvolte nella preparazione dell’incontro.
Non erano state individuate le persone che avrebbero dovuto svolgere il ruolo
di coordinatrici nella fase dei lavori per gruppi ristretti. Si è provveduto
nel corso delle riunioni di quei gruppi.
La fase iniziale dell’incontro si è svolta
nella Chiesa parrocchiale secondo lo schema della Liturgia della Parola,
sul brano delle Beatitudini del
Vangelo secondo Marco. Hanno parlato solo i preti. Le persone laiche hanno
svolto il ruolo di semplice platea. Non sono state date informazioni storiche
sul metodo sinodale nelle Chiese cristiane né è stato spiegato lo scopo degli
attuali cammini sinodali.
E’ stata consegnata la scheda per l’incontro
preparata dalla Diocesi, che di seguito trascrivo:
BEATI I POVERI IN
SPIRITO, PERCHÉ DI ESSI È IL REGNO DEI CIELI (MT 5,3)
1. La beatitudine Poveri in spirito.
A differenza di Luca (6,20), che
dice semplicemente «beati i poveri», l’evangelista Matteo specifica il soggetto
della beatitudine attraverso una precisazione (un dativo di relazione): «beati
i poveri in quanto allo spirito». Con questa aggiunta, Matteo definisce più
precisamente il tipo di povertà di cui si sta parlando. Il termine greco
(ptōchoi), infatti, non esprime pienamente il concetto relativo al famoso
termine ebraico veterotestamentario ‘ănāwîm. Il termine «spirito», che nella
Scrittura ricorre con maggiore frequenza in riferimento allo Spirito di Dio,
sembra in questo brano indicare piuttosto lo spirito dell’uomo, il suo intimo
(cf. Mc 2,8). In questo senso essere povero in spirito non vuol dire avere poco
spirito, ma avere lo spirito di chi, riconoscendo la propria povertà, si apre
alla relazione con Dio. In definitiva, la povertà di cui parla la prima
beatitudine non si riferisce semplicemente a una particolare condizione sociale
o economica, ma riguarda appunto lo spirito dell’uomo, il suo atteggiamento, la
sua disposizione interiore.
Come dice Papa Francesco: «i
“poveri in spirito” sono coloro che sono e si sentono poveri, mendicanti,
nell’intimo del loro essere . È povero in spirito chi sa di non poter confidare
in se stesso, ma ripone tutta la sua fiducia in Dio soltanto. È povero in
spirito chi ha fatto esperienza che da solo non può salvarsi e per questo
attende da Dio la salvezza. È lo spirito contrito, il cuore affranto e umiliato
che Dio gradisce come vero sacrificio (cf. Sal 51,19).
Il Regno dei cieli.
Con questa espressione Matteo conferma la
tendenza a evitare il nome di Dio ricorrendo all’impiego di termini
sostitutivi. Il cielo è metaforicamente il luogo della dimora di Dio, il luogo
dell’esercizio del suo potere. In questo senso, come già abbiamo affermato
nell’introduzione generale a queste schede, l’espressione «regno dei cieli» non
indica una realtà diversa da Dio, ma si riferisce a Dio stesso, volendo con ciò
esprimere l’azione regnante di Dio. Il regno dei cieli non è quindi una cosa o
un luogo ma è Dio che esercita il suo dominio. La buona notizia annunciata
nella prima beatitudine è quindi quella della possibilità per l’uomo di avere
Dio come re della sua vita. Come sappiamo dall’AT, la regalità di Dio è
qualcosa di molto concreto. Esprime la cura di Dio nei confronti del suo
popolo, come quella di un pastore verso il suo gregge. Non a caso il modello
del re nell’AT è il pastore (cf. Sal 23; Ez 34), che con premura si dà da fare
in ogni modo affinché il suo popolo possa vivere.
2. Vangelo per la liturgia
domestica: il “buon” ladrone (Lc 23,33-43)
Lo scandalo della sofferenza. Gesù viene
crocifisso in mezzo a due malfattori (in greco il termine indica proprio colui
che ha agito male): un innocente tra due colpevoli. Da più parti gli viene
rivolto l’invito a salvare se stesso, ma egli non risponde nulla, perché non è
venuto a salvare se stesso, ma gli uomini, anche quelli che lo deridono.
Uno dei condannati lo provoca affermando tra
le righe che il Cristo, se davvero è l’inviato di Dio, non può morire in croce
e lasciar morire altre persone (v. 39).
Le parole del malfattore esprimono tutto lo
scandalo che la sofferenza, soprattutto quella degli innocenti, produce nel
cuore dell’uomo. Un Dio che permette e subisce ingiustizia e morte non sembra
in grado di aiutarci. La condanna alla quale ogni uomo è sottoposto.
L’altro condannato esprime una posizione
diversa, alla quale il Vangelo invita ad aderire: «Noi [siamo condannati]
giustamente» (v. 41). C’è un uomo, che nella vita ha agito oggettivamente male,
che in punto di morte rinuncia ad ogni pretesa di giustizia. Egli sa di
meritare la condanna alla quale viene sottoposto e non cerca vie di fuga.
Questo atteggiamento nei confronti della vita è piuttosto raro; molto più
frequentemente siamo inclini a giustificarci e a dare la colpa dei nostri mali
a terze persone e, in ultima analisi, a Dio stesso, che pur essendo il Signore
della storia permette ciò che, secondo noi, dovrebbe impedire.
Se
siamo sinceri, anche noi spesso agiamo male, pensiamo male, parliamo male e nel
nostro cuore, nella mente e sulle nostre labbra sovente troviamo i segni del
male (peccato) che abita in noi.
La
nostra situazione esistenziale è descritta mirabilmente da san Paolo quando
dice: «Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene: in me
c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non
compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che
non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me» (Rm
7,18-20). L’apostolo si vede come un condannato, tanto che arriva ad affermare
quasi in un grido disperato: «Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di
morte?» (Rm 7,24).
Questo ci aiuta ad identificarci con l’uomo
che pende dalla croce. Dio si ricorda dell’uomo. A questo punto il “buon
ladrone” pronuncia le parole più significative per la beatitudine della quale
ci stiamo occupando: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno» (Lc
23,42). Egli è povero in spirito perché rinuncia ad ogni pretesa di salvezza
basata sulle proprie forze o sui propri meriti per rimettersi completamente
alla misericordia di Cristo. Il verbo «ricordare», quando ha come soggetto Dio,
esprime un intervento divino che salva o libera, basti pensare alla moglie di Giacobbe
della quale si dice: «Dio si ricordò anche di Rachele; Dio la esaudì e la rese
feconda» (Gen 30,22). L’invocazione del condannato, quindi, veicola la
richiesta di un intervento di Gesù che ribalti completamente le sorti della sua
vita. È esattamente ciò che produce l’amore di Dio quando si incontra con le
miserie umane. Ricchezza e risurrezione.
Gesù entra nel suo regno attraverso la croce, cioè consolida la sua
signoria sul male e sulla morte, non sottraendosi ad essi, ma prendendoli su di
sé (condanna e morte) e superandoli definitivamente (risurrezione). La
richiesta del malfattore, allora, può essere letta come desiderio di essere
reso partecipe della vittoria di Gesù Cristo su ogni forma di male e sulla
stessa morte. È proprio per questo che i poveri in spirito sono chiamati beati,
perché sono in grado di ricevere la vera ricchezza, quella che viene da Dio. Il
più grande ostacolo a questa salvezza non sono i peccati o gli sbagli della
vita, altrimenti il malfattore non si sarebbe salvato, ma l’atteggiamento di
chi si ritiene già ricco, quindi non bisognoso dell’aiuto e della misericordia
di Dio (l’altro condannato che provoca Gesù).
Oggi. Gesù non solo esaudisce la
sua preghiera, ma lo fa «oggi». Il verbo è al futuro (sarai), ma l’avverbio
rende in qualche modo già presente la salvezza. Questa tensione tra presente e
futuro (che ritroviamo in molte beatitudini) è particolarmente significativa
per noi. Il malfattore sta morendo sulla croce, la sua situazione è quanto di
più lontano ci sia dalla beatitudine e dalla salvezza, eppure le parole di
Cristo gli assicurano che queste arriveranno «oggi». La vicinanza di Gesù («con
me») garantisce la salvezza anche se essa non è ancora sperimentabile in tutta
la sua pienezza. Le parole di Cristo sono il ponte, per il buon ladrone e per
noi, tra la morte e la risurrezione. Ogni volta che veniamo a contatto con la
Parola di Dio siamo messi in condizione di sperimentare questo tipo di
salvezza.
3. Domande per la
consultazione sinodale (Le domande qui riportate fanno riferimento al primo
nucleo tematico del questionario del vademecum, quello dal titolo: “Compagni di
viaggio”)
Lungo la strada verso Gerusalemme
i discepoli litigano tra di loro su chi sederà alla destra e alla sinistra di
Gesù nel suo Regno… ma il Padre aveva preparato diversamente (Mt 20,20-23):
Gesù avrebbe compiuto il suo ultimo “viaggio”, dalla Croce alla Gloria, in
mezzo a due “malfattori”, cioè due persone considerate “maledette” da Dio e
dagli uomini (Dt 21,23; Gal 3,13):
+ Ci sappiamo
fare compagni di viaggio di tutti gli uomini, compresi coloro che abitano nel
nostro stesso quartiere o nel luogo di lavoro? Oppure manteniamo le distanze?
Ci consideriamo migliori perché cristiani o sappiamo di essere peccatori e
bisognosi di salvezza come tutti gli uomini?
+ Ci facciamo
vicini ai “maledetti” di oggi, a quelli che nessuno vuole incontrare?
Preghiera conclusiva (Beato
Charles de Foucauld)
Padre mio, io mi abbandono a te, fa’ di me ciò
che ti piace. Qualunque cosa tu faccia di me ti ringrazio. Sono pronto a tutto,
accetto tutto. La tua volontà si compia in me, in tutte le tue creature. Non
desidero altro, mio Dio. Affido l’anima mia alle tue mani, te la dono mio Dio,
con tutto l’amore del mio cuore perché ti amo, ed è un bisogno del mio amore di
donarmi, di pormi nelle tue mani senza riserve con infinita fiducia perché tu
sei mio Padre.
Ci siamo divisi in tre gruppi di lavoro. In
ogni gruppo di lavoro era presente un prete.
Nel mio gruppo vi erano tre persone
apparentemente ultrasessantenni, mentre le altre erano apparentemente della
fascia 30/60. Tra le persone laiche, uomini
e donne erano nello stesso numero.
La maggioranza dei presenti si è mostrata diffidente verso le persone all’esterno
del piccolo gruppo di abituale riferimento per la propria spiritualità. Se ne
sente respinta.
Quanto alle persone ai margini sono stati menzionati zingari, senza
tetto e immigrati mendicanti.
Se ne è infastiditi. Gli stessi tipi di persone sono stati menzionati quando si
è affrontato l’argomento dell’avvicinarsi ai maledetti , secondo lo schema
della Diocesi [Ci facciamo vicini ai “maledetti” di oggi, a quelli che
nessuno vuole incontrare?], aggiungendo gli uomini che picchiano le
donne. Solo verso questi ultimi la maggioranza è sembrata disposta ad usare
pazienza e amore.
La
maggioranza si è detta convinta che Gesù non abbia condannato nessuno e
i presenti si sono mostrati stupiti quando ho citato i detti evangelici che
trascrivo di seguito integralmente, dal Vangelo secondo Luca 11,42-52:
Quando
Gesù ebbe finito di parlare, un fariseo lo invitò a pranzo a casa
sua. Gesù andò e si mise a tavola. Quel fariseo vide che Gesù non aveva
fatto la purificazione delle mani che era d’uso e se ne meravigliò.
Allora il Signore gli disse: «Voi farisei vi
preoccupate di pulire la parte esterna del bicchiere e del piatto, ma
all’interno siete pieni di furti e di cattiverie.
«Stolti! Dio non ha forse creato l’esterno e
l’interno dell’uomo? Ebbene, se volete che tutto sia puro per voi, date in
elemosina ai poveri quel che si trova nei vostri piatti.
«Guai a voi, farisei, che offrite al Tempio la
decima parte delle piante aromatiche, come la menta e la ruta, e perfino di
tutti gli ortaggi, ma poi trascurate la giustizia e l’amore di Dio. Queste sono
le cose da fare, senza trascurare le altre.
«Guai a voi, farisei, che desiderate occupare i
posti d’onore nelle sinagoghe ed essere salutati sulle
piazze. Guai a voi, perché siete come quei sepolcri che non si vedono e la
gente vi passa sopra senza accorgersene!».
Allora un maestro della Legge disse a
Gesù:
— Maestro, parlando così tu offendi anche noi.
Gesù rispose:
— Sì, parlo anche a voi, maestri della Legge!
Guai a voi, perché mettete sulle spalle della gente dei pesi troppo faticosi da
portare, ma voi neppure con un dito aiutate a portarli. Guai a voi, che
costruite sepolcri per quei profeti che i vostri antichi padri hanno
ucciso! Così facendo, voi dimostrate di approvare ciò che i vostri padri
hanno fatto: essi hanno ucciso i profeti e voi costruite le tombe per
loro. Per questo, Dio nella sua sapienza ha detto: «Manderò loro profeti
e apostoli, ma essi li uccideranno o li perseguiteranno». Ma Dio
chiederà conto a questa gente dell’uccisione di tutti i profeti, dalle origini
del mondo in poi: dall’uccisione di Abele fino a quella di Zaccaria che è stato
assassinato tra l’altare e il santuario. Ve lo ripeto: Dio chiederà
conto a questa gente di tutti questi misfatti!
Guai a voi, maestri della Legge, perché avete
portato via la chiave della vera scienza: voi non ci siete entrati e non avete
lasciato entrare quelli che avrebbero voluto.
La maggioranza dei
presenti si è anche detta convinta che Gesù, morendo, lasciò tutto com’era.
Io ho
ricordato, tralasciando la teologia, che aveva fondato la Chiesa, che poi cambiò
il mondo, e che quindi tutto non rimase assolutamente com’era, anche se certamente si continuò a
violare tutti i precetti del Decalogo, anche da parte dei cristiani. I cammini
sinodali comprendono anche un
elemento penitenziale sul punto. I presenti non mi sono apparsi tanto convinti
di questo.
L’impostazione
spirituale che si è data all’incontro, del resto secondo le indicazioni della Diocesi,
e l’insufficiente preparazione dei presenti (è del tutto mancata una fase
preparatoria), ha impedito anche solo di cercare di fare unità sinodale
intorno ad impegni condivisi. Non vi è stato un vero dialogo, ma solo un accostamento
di prospettive che, così come sono state presentate, sono del tutto inconciliabili,
del resto come erano già apparse nell’incontro sinodale della Quaresima del 2016.
E’, infine, mancato un momento di sintesi durante una ripresa dell’assemblea plenaria. Al termine dei gruppi di lavoro, l’assemblea
si è sciolta.
Il
risultato del gruppo a cui ho partecipato è che la maggioranza non sembra
mostrare interessi religiosi al di fuori dei piccoli gruppi di riferimento e quindi
non è disponibile a praticare la sinodalità come oggi viene proposta. La maggioranza
non ha espresso valutazioni positive per ciò che c’è al di fuori di quei
piccoli gruppi. E’ emerso un evidente fraintendimento dei pericoli per la
nostra società, con sovrastima di quelli collegati alla presenza di fasce di
emarginazione sociale in condizione di povertà assoluta, proprio quelle verso
le quali l’attuale proposta sinodale vorrebbe spingerci con spirito francescano.
Non si è ancora manifestata una qualche consapevolezza storica né una coscienza
realistica delle dinamiche delle società contemporanee, forse anche perché è mancato
il tempo. Gli incontri, però, proseguiranno
con cadenza mensile.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente
papa - Roma, Monte Sacro, Valli