La mente e la sinodalità
Crediamo
con la mente o con il cuore?
I saggi della Bibbia non fanno differenza. Le scienze contemporanee danno loro
ragione!
Ecco come un amico che sa di biologia e di filosofia mi ha spiegato la
cosa:
L'encefalo non è il
centro di comando; piuttosto, comanda ed è comandato. Gli organi si comandano
tutti gli uni gli altri: ad esempio, nella seconda fase del ciclo mestruale
l'ipofisi encefalica controlla (stimolandolo) l'ovaio, che poi a sua volta
controlla (inibendo) l'ipofisi e l'ipotalamo; dunque encefalo e ovaio si
controllano e governano a vicenda; è per questo che oggi si parla di sistema
neuro-endocrino-immunitario. Vi sono poi casi in cui l'encefalo non entra per
nulla nella catena di comando; ad esempio, il pancreas controlla
sostanzialmente per conto suo la glicemia, essendo provvisto di
recettori propri e producendo alternativamente insulina o glucagone a
seconda della concentrazione del glucosio nel sangue. Infine, in molti casi l'organismo
è controllato dall'esterno; ad esempio, la temperatura ambientale provoca
reazioni diverse come la sudorazione o i brividi; il feto induce le contrazioni
del parto; i nostri batteri intestinali possono indurci a mangiare zuccheri
perché loro ne hanno bisogno. Ovviamente, se passiamo ad altre
specie, l'assenza di un centro unico di comando è ancora più evidente: qual è
il cervello delle margherite? La ricerca del centro di comando è tanto
improduttiva che, storicamente, esso è stato localizzato in organi diversi: ad esempio, secondo
Aristotele il cervello serve a raffreddare il sangue.
Di solito si pensa che si creda con la mente
e che questa risieda nel cervello, all’interno del cranio, il capo.
Questa idea è alla base delle metafore organiciste della struttura delle società, in base alle quali
essa ha un capo, nella testa appunto, e poi altri organi che gli
ubbidiscono svolgendo altre funzioni: tutti sono indispensabili per la salute
del corpo, ma ciascuno nel proprio ordine, secondo le proprie funzioni.
Ne troviamo una nella prima lettera
di Paolo ai Corinzi, al capitolo 12, versetti da 12 a 31 – 1Cor 12,12-31:
Cristo è come un
corpo che ha molte parti. Tutte le parti, anche se sono molte, formano un unico
corpo. E tutti noi credenti, schiavi o liberi, di origine ebraica o
pagana, siamo stati battezzati con lo stesso Spirito per formare un
solo corpo, e tutti siamo stati dissetati dallo stesso Spirito. Il corpo
infatti non è composto da una sola parte, ma da molte. Se il piede
dicesse: «Io non sono una mano, perciò non faccio parte del corpo», non
cesserebbe per questo di fare parte del corpo. E se l’orecchio dicesse:
«Io non sono un occhio, perciò non faccio parte del corpo», non cesserebbe per
questo di essere parte del corpo. Se tutto il corpo fosse occhio, dove
sarebbe l’udito? O se tutto il corpo fosse udito, dove sarebbe l’odorato? Ma
Dio ha dato a ciascuna parte del corpo il proprio posto secondo la sua
volontà. Se tutto l’insieme fosse una parte sola, dove sarebbe il
corpo? Invece le parti sono molte, ma il corpo è uno solo.
Quindi l’occhio non può dire alla mano: «Non
ho bisogno di te», o la testa non può dire ai piedi: «Non ho bisogno di
voi». Anzi, proprio le parti del corpo che ci sembrano più deboli, sono
quelle più necessarie. E le parti che consideriamo meno nobili e decenti,
le circondiamo di maggior premura. Le altre parti considerate più nobili
non ne hanno bisogno. Dio ha disposto il corpo in modo che venga dato più onore
alle parti che non ne hanno. Così non ci sono divisioni nel corpo: tutte
le parti si preoccupano le une delle altre. Se una parte soffre, tutte le
altre soffrono con lei; e se una parte è onorata, tutte le altre si rallegrano
con lei.
Voi siete
il corpo di Cristo, e ciascuno di voi ne fa parte. Dio ha assegnato a ciascuno
il proprio posto nella chiesa: anzitutto gli apostoli, poi
i *profeti, quindi i catechisti. Poi ancora quelli che fanno
miracoli, quelli che guariscono i malati o li assistono, quelli che hanno
capacità organizzative e quelli che hanno il dono di parlare in lingue
sconosciute. Non tutti sono apostoli o profeti o catechisti. Non tutti
hanno il dono di fare miracoli, di compiere guarigioni, di parlare in
lingue sconosciute o di saperle interpretare. Cercate di avere i doni
migliori
Sviluppando quella metafora, Papa
e vescovi ritengono di costituire manifestare il capo del corpo ecclesiale, stabilendo poi una supremazia
gerarchica sulle altre parti.
Il papa
Eugenio Pacelli – Pio 12° ne trattò in
un’enclica del 1943 intitolata Del Corpo
Mistico di Cisto - Mystici corporis Christi, nella quale si legge «Si deve, sì, ritenere in ogni modo che quanti usufruiscono della
sacra potestà, sono in un tal corpo membri primari e principali, poiché per
loro mezzo, in virtù del mandato stesso del Redentore, i doni di dottore, di
re, di sacerdote, diventano perenni.» Su questa concezione incise profondamente
la Costituzione dogmatica sulla Chiesa Luce per le genti – Lumen gentium,
deliberata durante il Concilio Vaticano 2°:
32. La santa
Chiesa è, per divina istituzione, organizzata e diretta con mirabile varietà.
«A quel modo, infatti, che in uno- stesso corpo abbiamo molte membra, e le
membra non hanno tutte le stessa funzione, così tutti insieme formiamo un solo
corpo in Cristo, e individualmente siano membri gli uni degli altri » (Rm
12,4-5).
Non
c'è quindi che un popolo di Dio scelto da lui: « un solo Signore, una sola
fede, un solo battesimo » (Ef 4,5); comune è la dignità dei membri per la loro
rigenerazione in Cristo, comune la grazia di adozione filiale, comune la
vocazione alla perfezione; non c'è che una sola salvezza, una sola speranza e
una carità senza divisioni. Nessuna ineguaglianza quindi in Cristo e nella Chiesa
per riguardo alla stirpe o nazione, alla condizione sociale o al sesso, poiché
« non c'è né Giudeo né Gentile, non c'è né schiavo né libero, non c'è né uomo
né donna: tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28 gr.; cfr. Col 3,11).
Se quindi nella Chiesa non tutti camminano per la stessa via, tutti però
sono chiamati alla santità e hanno ricevuto a titolo uguale la fede che
introduce nella giustizia di Dio (cfr. 2 Pt 1,1). Quantunque alcuni per volontà
di Cristo siano costituiti dottori, dispensatori dei misteri e pastori per gli
altri, tuttavia vige fra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e
all'azione comune a tutti i fedeli nell'edificare il corpo di Cristo. La
distinzione infatti posta dal Signore tra i sacri ministri e il resto del popolo
di Dio comporta in sé unione, essendo i pastori e gli altri fedeli legati tra
di loro da una comunità di rapporto: che i pastori della Chiesa sull'esempio di
Cristo sono a servizio gli uni degli altri e a servizio degli altri fedeli, e
questi a loro volta prestano volenterosi la loro collaborazione ai pastori e ai
maestri. Così, nella diversità stessa, tutti danno testimonianza della mirabile
unità nel corpo di Cristo: poiché la stessa diversità di grazie, di ministeri e
di operazioni raccoglie in un tutto i figli di Dio, dato che « tutte queste
cose opera... un unico e medesimo Spirito» (1 Cor 12,11).
I
laici quindi, come per benevolenza divina hanno per fratello Cristo, il quale,
pur essendo Signore di tutte le cose, non è venuto per essere servito, ma per
servire (cfr. Mt 20,28), così anche hanno per fratelli coloro che, posti nel
sacro ministero, insegnando e santificando e reggendo per autorità di Cristo,
svolgono presso la famiglia di Dio l'ufficio di pastori, in modo che sia da
tutti adempito il nuovo precetto della carità. A questo proposito dice molto
bene sant'Agostino: « Se mi spaventa l'essere per voi, mi rassicura l'essere
con voi. Perché per voi sono vescovo, con voi sono cristiano. Quello è nome di
ufficio, questo di grazia; quello è nome di pericolo, questo di salvezza ».
Naturalmente i teologi dogmatici, con metodo
analogo a quello utilizzato dai giuristi, hanno costruito un’interpretazione sistematica
di quei due testi apparentemente
contraddittori, elidendone l’apparente contrasto. Non sono un teologo e quindi
a questo non mi dedico.
Mi
limito ad osservare che la metafora organicista del Corpo mistico non corrisponde alla realtà
del corpo fisico descritto dalle scienze biologiche contemporanee. Prende come
riferimento qualcosa che non c’è e che tuttavia viene comunemente creduto;
lo fa per rendere un’immagine schematica di ciò che vuole intendere. In
questo, viene prima la teologia
dogmatica, vale a dire ciò che si vuole venga creduto, e poi quello che comunemente si crede del funzionamento del nostro corpo, che però
ora si sa che non corrisponde alla realtà. Del resto, come è stato osservato,
siamo più disposti a confidare in ciò che crediamo che in ciò che sappiamo.
E qui possiamo
riprendere il tema di partenza, quello della mente.
Dal
punto di vista biologico, la mente è un effetto prodotto dall’intero nostro organismo.
Non dobbiamo quindi pensare che la mente sia la sede della razionalità, che
funzioni un po’ come uno dei nostri computer. La razionalità è una conquista
che si raggiunge quando, uscendo dalla nostra interiorità, si entra in dialogo
con le altre menti.
Nell’effetto
mente contano moltissimo le
emozioni, anch’esse un prodotto del nostro organismo: esse sono tanto importanti
da essere alla base della nostra volontà. La nostra, l’ha spiegato il premio
Nobel Daniel Kahneman è una mente emotiva. E, come tale, può essere
facilmente ingannata, molto più facilmente di quanto siamo disposti a credere.
E infatti gli esperimenti che la psicologia cognitiva conduce in merito ci appaiono
paradossali, poco credibili. Bisogna fare uno sforzo notevole per
convincersi che colgono nel segno, che ci rimandano un’immagine veramente realistica
di come funziona ala nostra mente.
I monaci
orientali, compresi quelli di una corrente delle Chiese ortodosse cristiane,
hanno sviluppato tecniche di meditazione spirituale basate sul respiro. La
psicologia clinica statunitense le ha sfrondate della coloritura religiosa e le
ha proposte ai malati per superare momenti critici: è, ad esempio, la mindfulness
elaborata dal Jon Kabat-Zinn Funzionano
anche private dei connotati religiosi. Determinano una condizione di benessere
che può incidere anche su parametri clinici non psicologici.
Associare
una concezione della gerarchia sociale che si propone alla biologia corporea
così come in genere si crede che
funzioni, nonostante che non funzioni realmente così, può essere considerato
come uno di questi inganni.
Bisogna
dire che, per sopravvivere in un mondo di cui sappiamo sempre poco nonostante
che se ne sappia molto di più di un tempo, noi abbiamo bisogno di quel genere di inganni, per avere rapidamente
una visione semplificata, schematica, della realtà che ci consenta di andare
avanti.
Nel
teatro e nel cinema ci lasciamo volentieri ingannare. Nonostante che i
veri attori in campo siamo al
massimo una decina o poco più – la nostra mente non riesce più a orientarsi in
una storia nella quale ci siano più di una trentina di personaggi -, ciò che viene
messo in scena, anche su palcoscenici veramente limitati come a teatro, riesce
anche a renderci l’idea di
moltitudini. Così la storia, il messaggio che gli autori vogliono
trasmetterci, ci risulta intellegibile. Questa è ciò che definiamo la magia del teatro.
Però
bisogna intenderci: ciò che è solo artificio per metterci in grado di orizzontarci in una realtà complessa è cosa
diversa da quella realtà, e ogni schema deve essere costantemente adattato secondo le nostre esigenze in quella realtà,
altrimenti non funziona più bene e contro quella realtà ci sfracelliamo.
Così,
nonostante la metafora organicista del Corpo, non dobbiamo pensare che
non sia possibile, per natura, una organizzazione non centralista, totalitaria,
della nostra Chiesa o che, addirittura, una Chiesa non totalitaria non
sarebbe più tale.
Ha
osservato quel mio amico di cui dicevo all’inizio:
Se si riesce a far capire come funziona effettivamente un organismo si può
conservare la metafora paolina dell'organismo (1 Cor 12), senza farne la
giustificazione dell'assetto gerarchico comando/obbedienza. Tra l'altro,
in Paolo non compare una decisa gerarchia, se non nel dire che prima
(proton) vengono gli apostoli, poi via via gli altri; e se afferma che
alcuni carismi sono più grandi (meizona), subito dopo attacca con l'inno
alla carità, e non certo con l'inno al papato; inoltre, il capo è
comunque Cristo.
Il problema, allora, è
come rendere una certa armonia nell’organismo sociale, un po’ come c’è in
quello biologico. Questo è appunto al centro della sinodalità, come oggi
viene proposto di praticare per apprendere. Però, poiché in
realtà un modello di questa neo-sinodalità non preesisteva, si tratta più che altro
di sperimentarne varie forme, fino a trovare quello che funziona.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente
papa – Roma, Monte Sacro, Valli