Essere come loro, farli come noi
Parlando con un amico del Sinodo della Chiesa
tedesca, tanto più avanzato del nostro cammino in Italia, mi sono
sentito dire che là era, come sempre, questione di ordinazione sacerdotale delle
donne e di matrimonio dei preti. Questa però è una visione clericale della questione,
adottata spesso inconsapevolmente anche da noi persone laiche.
Farci preti, quindi essere come loro,
per noi persone laiche; sposarsi, quindi farsi come noi, per i preti. Vista con gli occhi del clero e
dei religiosi sarebbe un po’ questo il centro della sinodalità. Ma è un grave errore.
Cominciamo con il precisare che cosa
distingue le persone laiche da preti e religiosi. Di solito si rispondeva
che le persone laiche erano non-chierici, e si era insoddisfatti di questa
definizione. In realtà il nostro tratto distintivo di persone laiche è di
non essere costretti ad assoggettarci all’asfissiante gerarchia nella quale
sono incastrati preti e religiosi. Il non essere liberi distingue da noi persone laiche i preti e i
religiosi. E’ una differenza enorme, specialmente in Occidente, specialmente
nell’Europa di oggi.
Ho conosciuto
preti ai quali sarebbe piaciuto sposarsi, vale a dire essere legati ad una
donna pubblicamente (da sempre c’è il costume diffuso tra loro di esserlo non
pubblicamente, e questo anche senza necessità di relazioni propriamente
sessuali). Ma il matrimonio di un prete che non accetti di cambiare il suo
attuale modo di essere prete, vale a dire parte di un’autocrazia sacrale maschilista,
non credo potrebbe funzionare. Egli infatti sarebbe padre sacrale della propria moglie anche nel tinello di
casa. La cosiddetta gerarchia si
sopporta solo ad una certa distanza.
Non ho invece conosciuto (finora) persone
laiche disposte a rinunciare alla propria libertà per poter fare tutto quello
che fanno i preti.
La gerarchia cattolica, che viene anche definita sacra -
vale a dire intangibile per comando divino - in base ad argomenti che mi sono
sempre sembrati piuttosto labili - preciso però che non sono teologo e quindi la mia capacità di comprensione e quella di sopportazione sono limitate -, da metà Ottocento, vale a dire dal tempo
della pretesa di totalitarismo da
parte del Papato, è diventata sostanzialmente una struttura sociale recessiva,
che noi persone laiche abbiamo dovuto sempre, faticosamente, trascinarci
dietro, nella costruzione di un mondo nuovo. Tutti i muri teologici che
la gerarchia cattolica ha cercato di costruire per fermare la storia sono
rapidamente caduti. E se non ci fossimo stati noi persone laiche a metterci la proverbiale pezza sarebbe finita molto peggio di ora. Ad esempio, alla definizione della pretesa di libertà di
coscienza come errore eretico
fatta negli anni Sessanta dell’Ottocento è seguita un secolo dopo il riconoscimento
da parte del più alto Magistero della medesima libertà di coscienza. E si
potrebbe proseguire a lungo. Questo spiega perché nella formazione religiosa di
base non si fanno riferimenti storici, se non alla cosiddetta storia sacra,
però pesantemente reinterpretata a fini propagandistici.
In genere non si vorrebbe, da parte delle
persone laiche, essere come i preti, e si capisce bene che la pretesa dei preti di essere come noi in qualche
cosa non funzionerebbe, se pretendessero di mantenersi incatenati nell’ordine
gerarchico. Si vorrebbe, invece, da parte di noi persone laiche, che i preti fossero tra noi e insieme
a noi, e quindi avere anche noi voce
in ciò che si decide e si fa in chiesa, non essere emarginati come mero gregge,
in posizione passiva.
Va detto che noi persone laiche appariamo
passivi solo in ambito liturgico e all’interno degli edifici di culto e loro
pertinenze. In realtà, almeno in Occidente, noi governiamo le nostre società e influiamo
in modo determinante anche sul Magistero, che, come osservato una volta da Carlo
Maria Martini, sembra indietro di duecento anni. Ce lo stiamo tirando dietro, recalcitrante, con uno sforzo improbo, dovendo anche sopportare le sue rampogne. L’egemonia del clero in quei ristretti ambiti, nei quali
le persone laiche contano poco, ha però fatto molti danni, in particolare
perché lì si svolge un parte importante della formazione religiosa delle
persone (per molti tutta quella
che riceveranno nella loro vita). L’impostazione datale dal clero fa apparire
inutili la religione e la stessa fede. Quindi poi i giovani si allontanano dalle
chiese, e anche dalla Chiesa, e ritornano saltuariamente solo come utenti di
servizi religiosi.
La sinodalità
totale che viene oggi proposta vorrebbe correggere questa situazione. Per
riuscirci occorre aprire spazi reali di partecipazione e di co-decisione all’interno
della Chiesa. Questo non è clericalismo delle persone laiche, le quali ad essere come
preti e religiosi in genere non
pensano proprio. E questo perché hanno subito troppo a lungo la dura e
umiliante condizione di emarginazione organizzata dai gerarchi e dai teologi
che a loro fanno riferimento, e certamente non vogliono ricadervi.
Dando spazio alle persone laiche, occorre
fare spazio alla libertà nella Chiesa.
Al termine della scorsa assemblea sinodale parrocchiale
abbiamo recitato una preghiera di de Foucauld nella quale si dichiarava di voler
restituire la nostra libertà al Cielo. Di solito non recito mai preghiere simili. La libertà è dono, ma
è anche responsabilità: per questo non possiamo rinunciarvi, e, aggiungo, non
dobbiamo farlo. Sarebbe come disertare. La libertà è infatti parte della missione. Il vangelo, è scritto, rende liberi.
Mario
Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli