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sinodali
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Siti del cammino sinodale delle Chiese italiane
https://camminosinodale.chiesacattolica.it/
Sito della Segreteria generale del Sinodo dei vescovi
http://secretariat.synod.va/content/synod/it.html
Manuale operativo di
sinodalità
1.
L’inizio
Quando si riesce a definire almeno
sommariamente il contesto teologico di ciò che oggi si vuole intendere con sinodalità
si pensa di essere a buon punto nel realizzarla, e invece non si è nemmeno
iniziato.
La teologia contiene molta immaginazione
resa coerente dalla logica. La realtà è fatta di persone e delle loro società,
che è tutt’altro. Finché si rimane nel campo della spiritualità personale è
possibile che tutto fili liscio, perché noi abbiamo un’una buona capacità di
interiorizzare i sogni altrui; quando invece si passa a cambiare le società cominciano
i problemi, se non si riesce o non si vuole comprendere ciò che c’è e come
veramente sono. Non sto ad argomentare ulteriormente sul punto: è un dato di
esperienza. Inutile chiacchierarci sopra, si provi sul campo e si veda come va.
Quello che ho detto è la ragione per la quale le riforme religiose non
dovrebbero mai essere guidate da teologi, ma solo da loro ispirate. Storicamente
purtroppo si è fatto diversamente. Nella nostra Chiesa ci sono stati
certamente, ad esempio, Papi dissoluti, ma essi non fecero tanto danno quanto i
Papi teologi. Capita anche noi, nella molto più piccola scala delle nostre
collettività di prossimità, essenziali per la nostra vita di fede.
Cominciamo con l’osservare che la sinodalità totale
di cui ci parla papa Francesco
c’è veramente da poche parti. Va anche considerato che una vita
realmente comunitaria non è praticabile se non in piccoli gruppi, quelli
nei quali ci riesce a chiamare tutti per noi, e questo per nostri limiti
cognitivi di specie non superabili. Costituiamo certamente collettività
immensamente più grandi, caratterizzate dalle loro intense relazioni sociali,
ma esse non potranno mai essere comunità, come lo fu il mio
gruppo scout, o il nostro gruppo di Ac. Una comunità realizza quello che mio
zio Achille, con altri suoi colleghi sociologi, chiamava mondi vitali, e
ha un particolare effetto sulle persone, perché dà loro il senso della vita.
Quest’ultimo risulta sostanzialmente da un complesso di emozioni, che sono
molto importanti per gli esseri umani perché è in base ad esse che si prendono
le decisioni non governate da semplici automatismi fisiologici. Questo rende
chiaro che le collettività umane sono governate sempre sulla base di emozioni e che un raccordo delle
società più grandi con i mondi vitali è indispensabile. Le società totalitarie,
come la nostra Chiesa a lungo è stata dall’Ottocento, cercano anche di
controllarli.
La costruzione della sinodalità va adattata
alla collettività di riferimento, sia o non sia una comunità. Naturalmente
in una comunità è più semplice
essere sinodali, ma rimanendo a quel livello più che altro si gratifica
se stessi, non si producono in particolare quei cambiamenti particolarmente
significativi dell’ambiente umano che definiamo storici.
La nostra collettività di riferimento è la parrocchia.
Nel diritto canonico viene ora descritta come
una comunità, e anche, come già prima delle innovazioni prodotte negli
anni ’80, come una istituzione. La nostra è società la quale,
secondo stime attendibili, può ipotizzarsi coinvolga circa 8.000 persone di
tutte le età, delle quali circa 1.000 vanno regolarmente in chiesa, e poche decine l’animano
nei vari servizi istituiti, preti e
diaconi compresi. Questi ultimi
esprimono il governo della parrocchia, che formalmente è accentrato
nell’ufficio del parroco, ma nella pratica non potrebbe svolgersi senza la
collaborazione di altri volenterosi.
La prima cosa da osservare, all’inizio di una
costruzione sinodale, è l’atteggiamento verso di essa del gruppo di governo
della collettività. Quest’ultimo è un piccolo gruppo, che genera intense
relazioni di mondo vitale. Nessuna meraviglia: anche lo stesso governo
nazionale è un piccolo gruppo o il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, l’organo di governo
collettivo che, formalmente, è il più
potente mai costituto nella storia dell’umanità. Quando si propone a un piccolo
gruppo di governo di modificare il proprio modello di governo inevitabilmente
si incontra una resistenza, e ciò a prescindere dal fatto che sia o non sia
costituito da persone virtuose, dal punto di vista della religione o umano in
generale.
Una cosa è organizzare una specie di sondaggio
cercando animare gruppi estemporanei che si radunano in base ad un appello e
che rapidamente si sciolgono: è quello che s’è fatto finora nel nostro processo
sinodale parrocchiale. Ben altra è cambiare veramente il modo di decidere le
cose che riguardano tutti. Si ricorda il detto medievale secondo il quale le
cose che riguardano tutti, devono essere decise da tutti. Il presidente del
Meic, prof. D’Andrea, nella conferenza tenuta il 10 dicembre scorso su Zoom,
ha osservato che questo principio è alla base della pratica democratica. Naturalmente,
dal punto di vista storico, nella nostra Chiesa in quei tutti non si
sono mai comprese veramente tutte le persone di fede, anche quando si è voluti
essere sinodali. Tutti è stato
sempre inteso nel senso delle persone alle quali nella società religiosa veniva
riconosciuto un qualche potere collettivo, fossero del clero, religiosi, o
anche sovrani o funzionari civili. La sinodalità che ora viene proposta va
molto oltre. Tuttavia rimane il problema di incidere sul nostro piccolo gruppo
di governo, sul quel mondo vitale che finora, in definitiva, è stato la
parrocchia, senza disarticolare la parrocchia come istituzione capace di
suscitare anche una vita comunitaria, e questo è molto importante.
Bisogna imparare dalla storia: le rivoluzioni,
vale a dire i cambiamenti radicali di governo, basate su palingenesi,
vale a dire sul proposito di spianare tutto ciò che c’era prima per ricostruire
qualcosa di totalmente nuovo, non hanno mai funzionato. Anche qui non sto a
dilungarmi, perché è cosa che deriva dall’esperienza storica ed è necessario
che ciascuno si informi, in particolare facendo memoria dei suoi studi scolastici.
Le società umane, come i viventi che le compongono, evolvono, non rinascono
dal nulla. Dal nulla non viene fuori nulla.
In principio
Dio creò il cielo e la terra.
Il mondo era vuoto e deserto,
le tenebre coprivano gli abissi
e un vento impetuoso soffiava sulle acque.
[dal libro della Genesi 1, 1-2 – Gn 1,1-2 –
versione TILC – Traduzione interconfessionale in lingua corrente]
Quando viene spiegato
questo brano biblico, si fa osservare che si presenta un inizio che precedeva cielo
e terra, in cui non è che non ci
fosse nulla: c’erano gli abissi, c’era il vento e c’erano le
acque, un bel po’ di roba. Cerchiamo di seguire quell’antica saggezza che
cerca di rendere l’idea di come tutto fu fatto agli inizi e abbandoniamo
l’idea, che talvolta ho sentito correre in parrocchia, che occorre far
piazza pulita di tutto, nelle persone e nella società, per poter costruire
secondo la nostra fede. Ho sempre
molto disprezzato questo assurda pretesa di andare addirittura oltre ciò che si
dice che Dio fece in principio, perché, lo dico francamente a costo di
scontentare qualcuno, è da stupidi, ma non solo, da cattivi. Così facendo,
infatti si può fare veramente molto male alle persone, con il pretesto della
religione. Del tutto a ragione, allora, una religione così verrebbe
contrastata.
Ci dicono che la
sinodalità deve essere animata da una profonda spiritualità, ed certamente
vero, ma essa va costruita, penso, principalmente su basi bibliche, per non
cadere preda di fantasie malvagie, come purtroppo mi pare che sia accaduto non
poche volte nella nostra tremenda storia ecclesiale.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma,
Monte Sacro, Valli