VENERDI 10 DICEMBRE 2021
ore 18-20
Convegno su piattaforma ZOOM
" Il Sinodo e il ruolo del
Meic - Movimento ecclesiale di impegno culturale "
relatore: prof. Luigi d'Andrea -
Università di Messina - Presidente nazionale del Meic
Appunti dalla
conferenza a cura di Mario Ardigò, non rivisti dal relatore
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Il tema proposto ci impegna come
soci del Meic, ma anche come cittadini. Dobbiamo infatti rendere significativo
per la società italiana il cammino sinodale della Chiesa e ciò che accade nella
società italiana per la Chiesa.
Dal 9 e 10 ottobre scorsi, e dal 17 ottobre a
livello di Diocesi, si è avviato un processo sinodale a più livelli, universale
e locale, che ci impegnerà fino al 2023 ed oltre.
Il termine sinodo è ritenuto
sinonimo di concilio. In qualche
modo il processo appena iniziato avrà qualche cosa di un concilio. La sua peculiarità è che
si tratta di un sinodo sulla sinodalità. C’è quindi una correlazione tra
la procedura che si seguirà e l’oggetto del cammino sinodale. Questo è un dato
significativo. Dobbiamo imparare a
camminare e, camminando, ragioneremo su come camminare.
Il termine sinodo rimanda etimologicamente all’idea di cammino
comune, al camminare insieme.
Quindi, in questa prospettiva, il
processo è già un risultato. Il
camminare è già riflettere su come si cammina.
Qualche giorno fa, nel corso di un
convegno su Francesco Saverio Nitti, si rifletteva su come Nitti, da Presidente
del Consiglio dei ministri, aveva organizzato un’azione diplomatica che, pur
non andata a buon fine, non era stata inutile, perché aveva consentito ad
alcuni Paesi di conoscersi, e questo successivamente era servito.
Ogni visione un po’ rigida,
meccanicistica, tra processo e risultato, secondo la quale il processo ha
successo se conduce al risultato che era stato preventivato, va corretta,
perché già attivare processi è un
risultato.
La categoria di sinodalità rimanda ai contenuti più profondi della
Rivelazione cristiana. In merito cita il documento della Commissione teologica
internazionale La sinodalità
nella vita e nella missione della Chiesa [pubblicato
nel marzo 2018], nel quale proprio all’inizio, si legge:
“Sinodo” è
parola antica e veneranda nella Tradizione della Chiesa, il cui significato
richiama i contenuti più profondi della Rivelazione. Composta dalla
preposizione σύν, con, e dal sostantivo ὁδός, via,
indica il cammino fatto insieme dal Popolo di Dio. Rinvia pertanto al Signore
Gesù che presenta se stesso come «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6),
e al fatto che i cristiani, alla sua sequela, sono in origine chiamati «i
discepoli della via» (cfr. At 9,2; 19,9.23; 22,4; 24,14.22).
Nel greco
ecclesiastico esprime l’essere convocati in assemblea dei discepoli di Gesù e
in alcuni casi è sinonimo della comunità ecclesiale. San Giovanni Crisostomo,
ad esempio, scrive che Chiesa è «nome che sta per cammino insieme (σύνoδος)».
La Chiesa infatti – spiega – è l’assemblea convocata per rendere grazie e lode
a Dio come un coro, una realtà armonica dove tutto si tiene (σύστημα), poiché
coloro che la compongono, mediante le loro reciproche e ordinate relazioni,
convergono nell’ἁγάπη e nella ὁμονοία (il medesimo
sentire).
Dunque
la sinodalità è una categoria che ci conduce al cuore dell’essere cristiani e
dell’essere Chiesa.
Il
termine σύν rimanda alla coordinata spaziale “Con chi camminiamo”, mentre il termine ὁδός rimanda alla categoria
della “via” che è insieme spaziale
e temporale, perché la via che si percorre la si percorre nel tempo, i
passi si succedono nel tempo. Camminare significa impiegare del tempo
per percorrere una strada.
Queste due
coordinate spazio-temporali devono guidarci sia nel leggere la realtà quale è e
sia nel progettare il cammino da fare.
Occorre leggere non solo il presente e il futuro, ma anche il passato. Tanto le
persone con le quali ci incamminiamo né la strada che percorriamo sarebbero
leggibili senza un’attenzione alla storia, al cammino che ci ha condotti fin
qua. Le relazioni che abbiamo vissuto ci
hanno portato ad essere ciò che siamo, perché l’essere umano è un vivente in relazione.
Il conferenziere fa un appello al
realismo nella lettura, che sappia tracciare ciò che abbiamo alle spalle, ma
anche all’apertura a risultati non preventivati, a lasciarsi sorprendere dallo
Spirito.
Indica
tre punti di riferimento, sulla base del documento citato della Commissione
Teologica Internazionale.
Al numero
64 si legge:
Questa visione ecclesiologica [la visione del
Popolo di Dio] invita a promuovere il dispiegarsi della comunione sinodale tra
“tutti”, “alcuni” e “uno”. A diversi livelli e in diverse forme, sul piano
delle Chiese particolari, su quello dei loro raggruppamenti a livello regionale
e su quello della Chiesa universale, la sinodalità implica l’esercizio
del sensus fidei della universitas fidelium (tutti),
il ministero di guida del collegio dei Vescovi, ciascuno con il suo presbiterio
(alcuni), e il ministero di unità del Vescovo e del Papa (uno). Risultano così
coniugati, nella dinamica sinodale, l’aspetto comunitario che include tutto il
Popolo di Dio, la dimensione collegiale relativa all’esercizio del ministero
episcopale e il ministero primaziale del Vescovo di Roma.
Queste tre
polarità [tutti, alcuni, uno]
sono una formidabile chiave di lettura per il cammino intrapreso e quando poi
studieremo questo sinodo, sia in chiave descrittiva, del leggere la realtà così
come veramente è, quanto in chiave prescrittiva, cioè della progettazione in
chiave pastorale del cammino da farsi.
Si dice
che, diversamente dal passato, in cui ci si è mossi dall’alto verso il basso,
ad esempio come nel Concilio di Trento, dove il Magistero era in alto, e in
basso i fedeli solo come discepoli, meri uditori dell’autorità, ci si vorrebbe
muovere dal basso. Ma occorrerebbe evitare le visioni unidirezionali,
sia nel senso alto/basso si
all’inverso, perché non ci aiuta a leggere la realtà così com’è. Il processo è
circolare nel quale alto e basso
si rincorrono nell’orientare i
processi. Basti considerare che questo sinodo è stato avviato dal Papa, quindi
dall’alto, così come il Concilio Vaticano 2° nacque quando, nel 1959, il
papa Giovanni 23°, davanti ad una platea attonita nella Basilica di San Paolo
fuori le mura annunciò un nuovo concilio. Quel processo tuttavia animò un
processo dal basso, che rispose con dinamismo all’appello dall’alto.
Il conferenziere ritiene che anche ora debba essere così. Non dobbiamo rimanere
intrappolati in una lettura unilaterale che contrappone alto e basso.
Che questa
sia la chiave di lettura preferibile della sinodalità è confermato da un altro
passaggio del documento della Commissione Teologica internazionale, nel
quale al n.106, lettera a), si legge:
Nella prospettiva della comunione e
dell’attuazione della sinodalità, si possono segnalare alcune fondamentali
linee di orientamento nell’azione pastorale:
a.
l’attivazione, a partire dalla Chiesa particolare e a tutti i
livelli, della circolarità tra il ministero dei Pastori, la partecipazione e
corresponsabilità dei laici, gli impulsi provenienti dai doni carismatici
secondo la circolarità dinamica tra “uno”, “alcuni” e “tutti”; […]
L’uno, nel documento citato, è il
Papa; i tutti siamo noi fedeli; gli alcuni sono i vescovi e il presbiterio. Guardando i
processi a livello di comunità laica, bisogna però ragionare
diversamente: c’è il singolo, vale a dire ciascuno di noi; poi ci
sono le aggregazioni, le formazioni sociali, i circuiti
comunitari che siamo in grado di
animare; e poi ci sono i tutti, vale a dire l’universo di riferimento, che,
sul piano laico, può essere l’intera umanità, o la comunità dei credenti nel
suo insieme, ma, in ogni caso, siamo sollecitati dal cammino sinodale a
strutturare le relazioni virtuose tra il singolo, le aggregazioni
pluralistiche che la vita sociale quotidianamente manifesta e
l’universalità di riferimento. Dal punto
di vista ecclesiale ne viene fuori una prospettiva molto interessante.
Nel documento della Commissione Teologica
Internazionale manca il rilievo del singolo, inteso come ciascuno di
noi. Certo, c’è il riferimento all’io che deve volgere verso il noi, ma
questo non significa che l’io debba essere considerato come un mera parte di
un tutto che lo ingloba, lo metabolizza e lo trascende, annullandolo. Secondo
la visione del personalismo cristiano, pensa a Maritain e a Mounier,
intellettuali di riferimento nella famiglia del Meic, ciascuno di noi è un
tutto, perché per ciascuno di noi Cristo è morto e risorto. La parabola della
pecora smarrita si può leggere come manifestazione dell’esigenza che di nessuno
si faccia a meno e anche del fatto che,
nel gregge, ciascuno a un significato: non potremo avere un vero gregge se ogni
pecora non potrà dire la sua. La sinodalità
è un inno alla capacità delle parti di costituire un tutto. Senza l’io
non ci sarà nessun noi reale, ci sarà solo l’omologazione dall’alto.
Senza un’attenzione all’io,
compresi i percorsi più discutibili, anche quelli più lontani dai paradigmi più
consueti, se non si parte dal vissuto di ciascuno, non ci sarà verso di
costruire i tutti nella Chiesa, ma neppure un nostro contributo
all’umanità intera.
Il Meic, come le altre aggregazioni, è un luogo in cui si strutturano relazioni
tra i singoli, che devono potervi svolgere la loro personalità, la loro
singolare e irripetibile vocazione, aprendosi tuttavia alle Chiese locali, dove
il credente vive la fede radicato in un territorio, e alla Chiesa universale. Chi ha
responsabilità universali è chiamato ad interrogarsi sulla capacità di rimanere
in dialogo e di essere attento a ciò che accade nella società pluralistica, in
particolare quanto ai più piccoli. Tutte le dimensioni, singolo, aggregazioni,
tutti, sono relazionate reciprocamente e inevitabilmente.
Nella lettura della realtà e nell’animazione
del Meic occorre essere attenti a quelle relazioni.
Anche nel costituzionalismo europeo
contemporaneo, espresso anche nella nostra Costituzione, i diritti del singolo,
anche nelle formazioni sociali, sono in
relazione con la dimensione repubblicana, i tutti, animata democraticamente.
Strutturare questo sistema di relazioni, animarlo, è la vita repubblicana, la
vita civile.
Il cammino sinodale si inserisce quindi in
quello di ricostruzione del nostro Paese molto impegnativo a cui siamo chiamati
– ad esempio on il PNRR -: vi è una forte analogia tra di essi.
In questa prospettiva occorre strutturare i
rapporti tra comunità civile e comunità ecclesiale. Il cammino sinodale va
letto quindi sia in una prospettiva intraecclesiale che extraecclesiale.
E’ importante che il cammino della comunità
civile sia significativo per la comunità ecclesiale e che il processo sinodale
sia significativo per la comunità civile.
Dentro questa prospettiva generale si inquadra
il rapporto tra sinodalità e democrazia, dove il termine democrazia rimanda
alla dimensione della società civile. Certo le due categorie non si possono
sovrapporre. La democrazia non è sic et simpliciter sinodalità e la sinodalità non è sic et
simpliciter democrazia: democrazia e
sinodalità non si possono risolvere l’una nell’altra. Tuttavia le analogie tra
le due categorie sono forti e non vanno negate. Si ricorda spesso il principio
ecclesiologico medievale che ciò che riguarda tutti deve essere approvato da
tutti. Questo è un modo di dire la democrazia. Ed è
nello stesso tempo un modo di dire la sinodalità. E la nostra
sensibilità per la sinodalità si spiega anche con la nostra frequentazione dei
meccanismi democratici, che ci sono ormai familiari. C’è l’esigenza di
partecipazione, di ascolto di tutti, di soppesare gli argomenti, di ascoltare
anche i pareri apparentemente più lontani dall’ “ortodossia”, da pensiero
dominante, che è al contempo manifestazione di genuina sinodalità e di genuina
democrazia. La sinodalità è una forma di democrazia vissuta in modo più
integrale di quanto spesso si faccia quando si dà più importanza agli aspetti
procedurali, dimenticando le basi di valori della democrazia.
Comunità civile e comunità ecclesiale devono
entrare in relazione imparando anche a limitarsi nelle loro reciproche pretese.
Devono imparare l’una dall’altra. In questo senso il rapporto tra processi
sinodali e processi democratici è significativo. Nella democrazia e nella
sinodalità c’è un elemento da tenere in conto: la capacità di dare spazio, nel
dibattito, a tutti, anche a chi dissente, anche a chi si muove in direzione che
non condividiamo. Non bisogna mai cessare di consentire di parlare a tutti. E’
importante ascoltare anche i più lontani: non retorica, è la vita del sistema
democratico, che si manifesta nella possibilità di assumere vere deliberazioni.
E’ il problema anche di attuare una sinodalità che riguardi anche il momento
decisionale. Ma al di là di chi decide, che naturalmente è importante, c’è
l’esigenza che si decida in una forma che dia spazio, peso, al rapporto tra gli
argomenti, tra vantaggi e svantaggi, tra alternative disponibili, con realismo,
con coraggio, con prudenza audace, pesando argomenti elaborati,
documentati, numeri e carte alla mano. Questo è decisivo per la Chiesa, se
intende percorrere la strada a cui è chiamata, senza lasciarsi troppo
condizionare dal passato, pur rispettosi per il senso della tradizione viva,
che è importanza anche per la democrazia.
Ad esempio, sui temi eticamente sensibili,
come l’eutanasia, l’orientamento sessuale, la riproduzione, abbiamo un servizio
da dare, come credenti, alla Chiesa e alla società civile ed è prendere il
bagaglio di tutto ciò che è implicato, compreso ciò che un tempo appariva sicuro,
stabile, che sta alle nostre spalle ma che è ancora un paradigma importante, e
mettere il passato in rapporto con la sensibilità moderna. Oggi ad esempio
nessuno si riferirebbe agli omosessuale nel modo in cui lo si faceva solo
una o due generazioni fa. Dobbiamo
declinare le categorie ricevute dalla tradizione dentro la sensibilità moderna,
ad esempio la tensione moderna verso la corporeità e l’autopercezione, alla
soggettività, anche non corrispondente all’oggettività. Di tutto questo
dobbiamo farci carico sia nella dimensione ecclesiale che in quella civile.
Dobbiamo, infine, trovare protocolli,
procedure, formali e informali mediante i quali i laici riescano a interloquire
fra loro sulla politica, sul diritto, sulla società italiana. Dobbiamo evitare,
ad esempio, che si debba chiedere al Presidente della CEI un giudizio sulla
riforma costituzionale; i laici i laici
devono trovare la forza, la capacità e il modo di avere una loro soggettività
riconosciuta nella Chiesa, la capacità di palare, di elaborare, di fare
discernimento comunitario, di discorrere tra loro. Su questo punto il cammino
da fare è tanto. In questo non tutto ci aiuta, soprattutto il passato più
recente.
Il ruolo del Meic deriva da quello che s’è
detto. La nostra tradizione culturale ci mette nella giusta prospettiva.
La realtà
è superiore alle idee, ma le idee non sono irrilevanti per leggerla.
Dobbiamo quindi spendere quella “C” che sta nel nostro acronimo, impegnandoci
in quella direzione, come singoli e anche tutti insieme.
Dobbiamo anche alleggerirci nel viaggio e per
il viaggio, in questo cammino. Bisogna saper guardare all’essenziale. Il caduco
merita di cadere e di essere consegnato al passato. Non dobbiamo rimanere
attaccati a questioni inutili. Come ha detto papa Francesco lo scopo del sinodo
non è di produrre documenti ma di far germogliare sogni e profezie, fiorire
speranze, stimolare fiducia, guarire ferite, intrecciare relazioni, suscitare
un’alba di speranza, imparando gli uni dagli altri, creando un immaginario
collettivo che illumini i tempi, riscaldi i cuori, ridoni forza alle mani.