Riflettere per approfondire la fede.
Note per giovani divenuti anziani
Miei appunti da una
meditazione tenuta il 9-2-13 presso l'Università Gregoriana dal padre Sandro
Barlone ad un gruppo di vecchi membri di un gruppo giovanile della parrocchia
di San Saba all'Aventino degli anni 1982/1986.
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L'Anno
della fede è un'occasione propizia per riflettere, approfondire e pregare, allo scopo di maturare un rapporto
personale migliore con il Signore.
Il provvedimento motu proprio "Porta Fidei" ("La porta della fede")
con cui è stato indetto l'Anno della Fede,
nel 50 anniversario dell'apertura del Concilio Vaticano 2°, ha ricordato che il
concilio ha marcato profondamente la storia recente della Chiesa. Molte cose
sono cambiate da quando, ancora sotto il papa Pio 12°, la Chiesa era concepita
come esercito schierato. Sono state attuate nuove forme di relazioni tra Chiesa
e stati e un modo diverso di essere Chiesa. Sotto questo profilo il Concilio
Vaticano 2° è uno spartiacque.
In particolare è mutata la concezione del
rapporto tra Chiesa e mondo, che prima era stata segnata da una forte corrente
negativa. La Chiesa vedeva sé stessa come un fortino impegnato nella difesa da
ciò che proveniva dall'esterno. Dopo il Concilio Vaticano 2° si è cercato di
andare oltre le logiche del sospetto, quindi di capire ciò che si muoveva nel
mondo. Si è compreso che non era solo colpa del mondo se c'erano cattive
relazioni con la Chiesa. Causa
dell'ateismo non era solo un pensiero contro la trascendenza. C'erano stati
anche annunci e forme storiche non coerenti con i principi, che avevano creato
un'immagine falsata della Chiesa e della fede. Si era presentata una realtà di
fede diversa da quella autentica. E' un problema che c'è ancora. Molte delle
polemiche antireligiose erano dirette contro questa immagine falsa della fede.
Così, a volte in non credenti polemizzano con una fede diversa da quella dei
credenti. Storicamente anche i credenti
hanno contribuito all'equivoco.
Spesso ad esempio si è polemizzato contro una
concezione protestante della fede, quella ad esempio dei filosofi Hegel e Kant.
in questa visione la fede viene presentata come unica interpretazione della
realtà, ciò da cui poi deriva un contrasto tra fede e ragione che è originario
e irrisolvibile.
Ma il problema si era già presentato nel
confronto tra le filosofie di Giovanni Duns Scoto (1266-1308) e quella di
Guglielmo di Occam (1280-1349). In Duns Scoto c'è un divorzio fra fede e
ragione, per salvaguardare la libertà di Dio e cosicché il male e il bene dipendono dal suo
arbitrio. Viene quindi scisso il legame
che S. Tommaso aveva instaurato tra fede e ragione, per cui il bene
corrispondeva a una struttura della realtà e della creatura. La concezione del
dio-despota (in cui per fede si accetta tutto e il contrario di tutto) genera
concorrenza con la creatura e ribellione, l'idea di una struttura della realtà
che sia slegata dalla volontà dispotica di Dio.
Un esempio pratico dei problemi causati dalle
varie concezioni di fede si ebbe nella controversia tra immaculisti (che ritenevano
che Maria, madre di Gesù, fosse stata concepita senza peccato, quindi
distinguendola dagli altri esseri umani) e maculisti
(che erano dell'opposta opinione, ritenendo l'universalità della grazia). Pio
9°, nel 1854, risolse la questione proclamando il dogma dell'Immacolata Concezione, però legando la
condizione della Madonna ai meriti di Cristo.
A volte bisogna rivedere i nostri modi di
comprensione della fede.
Secondo l'insegnamento del papa Benedetto 16°,
mediante la ragione la religione può riconoscere la propria identità attraverso
la lettura della struttura della realtà. Nel libro Ragione e fede in dialogo (2005), che riporta conversazioni tra
Benedetto 16° e il filosofo Jurgen Habermas, è scritto che una religione che va
contro la ragione non è una religione vera, non ha una comprensione autentica
della realtà e di Dio. Occorre ricomporre la frattura tra fede e ragione. Non
costruendo una religione a misura della ragione (come nel pensiero del filosofo
Immanuel Kant (1724-1804), ma ponendo l'una accanto all'altra, non l'una contro
l'altra. La fede indica prospettive che la ragione non coglie. Ma se la fede va
contro la ragione deve interrogarsi.
La fede non è più un presupposto ovvio del vivere comune (è scritto in Porta Fidei). Non c'è più un tessuto
culturale unitario. La fede va quindi in crisi.
Nel Vangelo ricorre spesso il tema della fede
(ad esempio in Mc 4, 39-41: "Perché
avete tanta paura? Non avete ancora fede?". Ma che cos'è la fede?
La fede non significa mettersi sotto scacco,
deve essere invece un atto libero e responsabile (così proclamato durante il
Concilio Vaticano 1°). La risposta dell'essere umano al Dio che si rivela ha
senso all'interno di un rapporto. Il pensiero insegna ad essere responsabili;
perché, allora, si deve avere paura del pensiero? E' giusto concepire la
relazione tra Dio e l'essere umano come quella tra padrone e schiavo? Ci sono
sempre più piani di comprensione della realtà, che, anche per il credente,
richiedono una riflessione non superficiale. Ad esempio nel cartiglio Rex Judeorum (il re dei Giudei) fatto
affiggere da Pilato sulla Croce di Cristo con intenzione di irridere il
condannato si è giunti a vedere, ad un livello più profondo, la vera realtà di
Gesù, manifestata inconsapevolmente dal procuratore romano.
Nella cultura moderna l'ermeneutica (lo studio
dell'interpretazione) è una grande scienza. La verità necessita di una lettura,
di un interprete, anche in materia di fede. In particolare Gesù è una persona
che deve essere conosciuta nella sua complessità.
E' sempre attuale la distinzione di S.Agostino
(354-430) tra fides qua (le
motivazioni della fede) e fides quae
creditur (i contenuti della fede). La fede è un atto umano, presenta
aspetti e motivazioni personali, ma ha anche dei contenuti condivisi. La realtà
personale, la vita di ciascuno di noi, non è senza significato per la fede: è
un criterio di interpretazione della fede. In teologia si riassume questo
dicendo che si crede deo (a Dio:
aspetto personale della fede) deum (i
contenuti della fede) in deo (verso
Dio: la fede è un itinerario personale, per cui credendo ci si mette in
viaggio). Nella fede c'è una risposta ad
attese personali che produce una ricerca. Ma ogni traguardo raggiunto non
esaurisce la ricerca, non è esaustivo; consente invece di contemplare orizzonti
più vasti (questo aspetto è trattato nelle Confessioni
di S. Agostino). L'essere umano ha una originaria percezione della propria
grandezza e per questo è sempre alla ricerca, finché non riposi in Dio. Il teologo Karl Rahner (1904-1984) ha parlato
di uditore alla parola, per dire che
l'essere umano è per natura capace di Dio,
se Dio gli giunge.
Nel libro L'ombra
di Pietro, il teologo Pierangelo Sequeri ha trattato del tema della qualità
e diversità della fede cristiana rispetto ad altre concezioni religiose. La
fede cristiana va molto oltre ogni fantasia e suscita legami. Non bisogna
sottrarsi al confronto con i dogmi della fede, ma approfondire l'aspetto della
motivazione personale della fede, per capire se il nostro è un credere in
cammino o una stasi.
Non basta credere,
come a volte si sostiene, quindi aderire a dei contenuti di fede. I cristiani si sono combattuti per secoli in
nome di Dio. Ecco la necessità di una riflessione ulteriore, di una più forte
motivazione personale.
Nel mistero del Natale la fede coglie nella
semplicità tutta l'immaginazione su Dio. Parlando di fede, il cristiano non
indica il cielo, ma un bambino; osa indicare la terra. Non indica verso l'alto o
verso l'interiorità, ma verso il bambino di Maria. Il primo vagito del bambino
Gesù è la prima definizione che Dio dà di sé.
Fatto uomo non è una metafora.
Gli esseri umani guardano Gesù agire,
affezionarsi, interagire. Questo non cambia solo lo sguardo su Dio, ma anche
quella su di noi stessi. Bisogna imparare alla scuola di Gesù ad entrare in
relazione con gli esseri umani. Non si finisce mai di imparare, altrimenti si
ricade nelle vecchie diatribe.
San Paolo insegna che nello Spirito del Padre
possiamo dire a Dio Abbà - Padre. Non
siamo più schiavi. Non rallegra Dio vederci comportare come schiavi, abbattuti
e prostrati al modo di schiavi. Anche nella religione dobbiamo sentirci
impegnati a liberarci dello spirito di schiavitù. Da come si prega si capisce
se uno si considera figlio o schiavo.
L'obbedienza cristiana è un compito impegnativo, significa non rassegnazione
dell'anima. C'è un legame indissolubile tra fede in Dio e amore del prossimo ed
esso deriva dal legame filiale con Dio, che ci porta ad agire per riscattare
gli assoggettati alla schiavitù. La relazione di assoggettamento, ad esempio
degli israeliti al Faraone egiziano, è diversa dal legame filiale cristiano a
Dio insegnato da Gesù.
Una forma di schiavitù è quella di chi viene
illuso da concezioni di fede basate sulla semplice propaganda religiosa. La
propaganda non fa pensare, illude e non di rado inganna. Certe volte questa illusione consiste nel
proporre forme di spiritualità più intensa, come se la normalità del Popolo di Dio apparisse inadeguata. Dobbiamo fare
molta attenzione a questo aspetto e, soprattutto, evitare, nella nostra opera
missionaria, di pescare di frodo tra
la gente, manifestando di operare al servizio della Chiesa e in realtà essendo al servizio di una nostra
particolare concezione. La fede si serve, non ci si serve di essa. Bisogna
recuperare uno spirito di servizio comunitario, di koinonìa anche nel lavoro missionario. E bisogna sempre ricordare
l'importanza che nell'atto di fede hanno la coscienza della persona e la
riflessione sulle motivazioni personali del credere.