La sinodalità come costruzione sociale
Il movimento che il
Papa ha innescato in tutto il mondo darà sicuramente i suoi frutti, che ci
sorprenderanno. Questo perché coinvolge moltitudini di persone suscitandone la
partecipazione attiva e questa è stata da sempre, nelle civiltà umane, la via
del progresso. Infatti si impara gli uni dagli altri e le soluzioni più
efficaci si diffondono rapidamente se si riesce a mantenere aperta la
comunicazione tra le società, ed anche aperte le società stesse al loro
interno.
Probabilmente il nuovo che ci farà uscire dall’attuale stagnazione ecclesiale
non verrà da noi italiani, proprio
perché tra noi si ha difficoltà ad aprire veramente. E’ cosa talmente evidente
che non mi pare necessario insistervi sopra. Deriva essenzialmente da ragioni
storiche e, in particolare, al pesante assetto istituzionale nel quale le
nostre Chiesa sono come ingabbiate. Ne ha scritto oggi Enzo Bianchi su La
Repubblica.
Ho vissuto gran parte delle ere della nostra parrocchia e certamente mi
sorprende come si sia passati dalla vivissima effervescenza ecclesiale che
vivemmo negli anni ’70 all’attuale situazione di sostanziale incomunicabilità.
In quel passato si aveva più fiducia nel vangelo come fonte di rinnovamento
sociale, del resto questa visione ottimistica permeava la nostra Chiesa,
nonostante i tempi piuttosto pericolosi e gravidi di sciagure. Basti pensare
alla profonda frattura che attraversava l’Europa con potenti apparati militari
che si fronteggiavano dalle due parti, un po’ come sta di nuovo accadendo ora,
anche se le persone, abituate evidentemente a un lunghissimo periodo di pace,
non ne mostrano chiara consapevolezza.
Iniziai a partecipare consapevolmente ad una comunità ecclesiale quando
da scout nella vicina parrocchia degli Angeli Custodi, a piazza Sempione ebbi
l’incarico di caposquadriglia, e si era nel 1970. Erano passati solo
venticinque anni dalla fine della Seconda guerra mondiale e gli adulti ne
avevano ancora un ricordo vivissimo. Il ritorno della pace dopo un lunghissimo
periodo di conflitti sanguinosi che avevano coinvolto gli europei, nel nostro
continente e nelle guerre coloniali, era coinciso con la costruzione della
nuova democrazia repubblicana italiana, nella quale i cattolici avevano avuto
un ruolo centrale, così come il Papato. E questo, tutto sommato, inaspettatamente
dopo una dura emarginazione che si era protratta praticamente dalla fondazione
del nuovo Regno unitario. Inaspettatamente per chi non conosceva da vicino la
nostra Chiesa. L’eclatante successo politico dei cattolici italiani era stato
meticolosamente preparato dagli anni ’30, sotto il fascismo mussoliniano nella
fase di massima affermazione sociale, nei settori universitari dell’Azione
Cattolica e nell’Università cattolica del Sacro Cuore. Da qui, già durante la
fase declinante del fascismo italiano, emerse una nuova classe dirigente
capace, in particolare, di realizzare ciò che non s’era mai fatto prima, vale a
dire di catalizzare la cooperazione di forze sociali apparentemente divise da
radicali differenze di impostazione, che a lungo si erano aspramente
combattute. La dolorosa esperienza bellica aveva ammaestrato duramente i popoli
italiani sulla falsità delle prospettive di rinnovamento sociale basate
sull’annientamento degli avversari e della corrispondente propaganda di regime,
ma anche, per certi versi di opposizione. Gli italiani ne avevano avuto
abbastanza di sangue e violenza. E’ in questo contesto che la dottrina sociale,
sviluppata secondo idee opposte, si affermò rapidamente, influenzando anche gli
storici oppositori.
Bisogna anche dire che, alla fine della Seconda guerra mondiale e negli
anni ’70, c’erano molte più persone giovani di oggi. L’età media più anziana
certamente influisce sugli atteggiamenti della popolazione e questo è particolarmente sensibile negli ambienti
ecclesiali, dove sempre più spesso ci ritroviamo tra persone che hanno i
capelli bianchi.
Capisco lo scoramento che può prendere i nostri preti, i quali si sono
giocati la vita sulla religione, di fronte a platee di fedeli particolarmente
passive e piuttosto diffidenti. Penso che per loro sia però consolante il
lavoro con i più giovani, i quali tuttavia in genere ci lasciano proprio quando
inizierebbero ad esserci più utili. Del resto è facile vedere che in una
parrocchia come la nostra c’è poco spazio per loro.
I preti si sono abituati a fare da sé e, da parte delle persone laiche,
ci si è abituati a lasciarli fare. Ecco che allora le forze appaiono impari. Ma
veramente non c’è alternativa?
Non dobbiamo pensarlo.
Bisognerebbe però, appunto, come s’è detto, aprire un po’ di più.
Veramente non c’era altra soluzione, per un
evento sinodale come quello che
abbiamo celebrato ieri in parrocchia che strutturare tutto intorno ai preti?
Davvero non si poteva informare un po’ di più sul senso di ciò che si stava
facendo? Del resto, sia per il cammino sinodale universale che per quello delle
Chiese in Italia, ora sono disponibili dei sussidi che spiegano bene tutto.
In questi giorni ho guardato su Netflix la serie di cartoni di Zero Calcare Strappare
lungo i bordi. Il parlato è quello dei giovani della nostra città, anche
del nostro quartiere, e quindi è abbastanza sboccato. Ma la trama è molto
profonda. Si affronta di sfuggita anche il tema religioso. Il protagonista va
con due suoi amici a Biella per un funerale di una loro amica che si è
suicidata. La cerimonia funebre si tiene nella palestra di pugilato dove la
ragazza morta si era molto impegnata da ultimo. Ma lui pensava che si sarebbe
fatta in una chiesa e immaginava il pippone [termine dal gergo popolare romano: significa discorso lungo, noioso, autoreferenziale, scollegato con ciò che interessa coloro che ascoltano, che toglie spazio agli altri] del prete e che gli sarebbe
risultato insopportabile. Invece tutto è organizzato dai genitori della morta e
dai suoi amici. Ecco, bisognerebbe dare ascolto a questa storia e cercare di
non risolvere sempre tutto con un pippone, soprattutto quando si
dovrebbe produrre qualcosa sinodalmente e non solo aria fritta,
vale a dire limitarsi a tirar fuori quello che il pippone ci suggerisce nei secondi successivi a quando
ci viene somministrato (lo scrittore Bruce Marshall scrisse che i pipponi dei preti lasciano traccia per una decina di
minuti nei fedeli che ascoltano e molto meno in chi li fa). Perché, in questo
modo, non si costruisce nulla. La gente parla, ma le si dà poco credito, e,
anzi, fatalmente, se c’è un prete nei paraggi, quello è tentato di proseguire
con il pippone di cui si diceva.
Sapendo come vanno di solito queste cose, e che si sarà comunque sovrastati dal
pippone, la gente se l’aspetta e non sta tanto a tirare le conclusioni,
in particolare, ad esempio, a mettersi d’accordo per organizzare impegni
collettivi. Lascia fare al prete.
Questa volta, questo bisognerebbe chiarire bene, non si tratta di perfezionare
la nostra spiritualità, ma di costruire sinodalmente, quindi con un
ruolo attivo, un modo nuovo di essere e di fare Chiesa.
Quello che c’è non va?
Certo che non va. E’ proprio per questo che il Papa ha ordinato i
cammini sinodali, quindi non solo ha deciso di convocare il vescovi, ma tutta
la Chiesa, noi compresi.
Cominciamo, allora, a darci da fare. Non ci
sono strutture adeguate? Costruiamole. Sinodalità è costruzione
sociale, o non è tale.
Lasciandoci, ieri sera al termine della prima assemblea sinodale
parrocchiale, non abbiamo saputo se e quando ci saremmo rivisti, che avremmo
fatto le prossime volte e come, e, infine, se per noi ci sarebbe stato un ruolo un po’
più coinvolgente di semplici produttori
di aria fritta a seguito di pipponi. Francamente io non ricordo più
nemmeno tutti i nomi di quelli che c’erano nel mio gruppo. Ora mi rendo conto,
però, che avrei potuto proporre qualcosa, essere più attivo, invece di lasciar
fare come al solito. Le prossime volte, se e quando ci saranno, farò
diversamente.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San
Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli