Noi e la teologia
Sulla
nostra strada di persone di fede incontriamo la teologia, di solito nelle
parole dei nostri preti.
La teologia è il racconto della fede della Chiesa.
Alle origini nacque come riflessione di
sapienti. Poi, in una storia di aspri conflitti, cadde nel dominio dei vescovi
e poi degli imperatori romani.
Dal Dodicesimo secolo divenne disciplina universitaria, quindi una scienza, insieme alle scienze giuridiche, dalla quali imparò ad argomentare. Fino
al Cinquecento la teologia scientifica dominò. Dal Seicento, nella Chiesa
cattolica, cadde nel dominio totalitario dei Papi, e sostanzialmente lo è tuttora.
Dal Secondo secolo il problema fondamentale della teologia fu il governo delle Chiesa cristiane.
Attualmente
la teologia è un insieme di discipline scientifiche molto vasto.
Di solito consideriamo
scienze
principalmente quelle della natura e, in
particolare, quelle che adottano il metodo sperimentale e dell’osservazione (non tutti i fenomeni
naturali sono riproducibili sperimentalmente). In realtà in ambito universitario
si considera scienza la disciplina che si dà un metodo rigoroso, vale a dire che stabilisce
certi presupposti e criteri razionali dell’argomentare e li rispetta. Sotto
questo profilo anche la teologia è scienza.
Una
partizione molto importante in teologia, che viene prima di tutte le altre, è
tra dogmatica
e pastorale.
La prima ragiona sulla Rivelazione, sulla base delle
fonti
che ammette, ad esempio la Scrittura, gli
scritti di autori antichi considerati particolarmente autorevoli, gli insegnamenti
di vescovi, e tutto il resto che viene fatto rientrare nella Tradizione, vale a
dire ciò che è stato creduto e fatto fin dall’antichità con la convinzione che
si dovesse fare così. Sulla base di queste fonti la teologia
dogmatica sviluppa dei ragionamenti rigorosi, nel senso che ho sopra indicato,
per spiegare che cosa deve essere creduto per essere considerati cristiani. Ciò che
definiamo verità è appunto questo: ciò che deve
essere creduto. Attualmente la verità, così intesa, nella nostra Chiesa è caduta nel
dominio del Papato. La storia della nostra Chiese e quelle delle altre Chiese
cristiane dimostra che non è sempre stato così. Nel ragionare sulla Rivelazione
la teologia dogmatica pensa di farlo su cose eterne e immutabili, distinte da ciò
che muta e che, nel gergo teologico, viene definito il secolo o le cose
temporali,
nel senso che cambiano a seconda dei tempi. In realtà la storia dimostra che, sempre, in teologia dogmatica è
venuto prima il problema del governo, quindi il secolo, e poi, stabilito ciò che serviva
per il governo, si sono sviluppati i ragionamenti su ciò che doveva essere
creduto.
Del resto, anche nella vita degli esseri umani in generale, la psicologia l’ha
dimostrato, prima si decide che fare e poi se ne danno motivi ragionevoli, se
servono in società.
La teologia
pastorale invece ha il problema di come essere Chiesa e necessariamente tiene conto delle società
intorno, quindi osserva il mondo in cui vive. Il suo principale
problema è sempre il governo della
Chiesa, ma nei ragionamenti che fa, sempre a posteriori, vale a dire dopo aver deciso
che fare in una certa società, invece di argomentare come fanno i giuristi,
adotta il metodo della politica, quindi anche parla con la società, che, invece, per
la dogmatica, non rileva più di tanto (da ciò, spesso, una sua certa disumanità).
E’ ciò che accade quando oggi trattiamo di sinodalità, che è prettamente
materia di teologia pastorale.
Riassumendo:
a)
teologia dogmatica: che cosa deve essere creduto;
b) teologia pastorale: come essere Chiesa.
In entrambi
i casi la teologia è solo uno strumento narrativo. E’ indebito sacralizzarla. Noi dobbiamo fedeltà e
amore solo a ciò che definiamo Parola di Dio: le teologie, a questo punto teniamo conto che
sono un complesso di scienze non una sola disciplina, ne sono solo interpretazioni, che sono variate
moltissimo nel tempo. E nemmeno, come persone di fede, dobbiamo accettare
passivamente di farci tiranneggiare alle teologie. Non è peccato scagliarsi contro
la tirannia di teologie che fanno tanto soffrire, come quelle che, ancora oggi,
umiliano e disprezzano le persone laiche, presentandole come semplice gregge davanti a degli autocrati umani,
vale a dire in una condizione animalesca, storpiando indebitamente la metafora
evangelica. Solo davanti al Cielo si è gregge, teologi o non teologi.
Al centro
della vita di fede vi è l’agàpe, che non è teologia: è vangelo praticato. Il Cielo
parla
a ciascuno di noi, anche prima che degli scienziati
universitari
specializzati in una qualche teologia ci dica che cosa credere e come essere Chiesa.
Senza
questo presupposto non avrebbe senso parlare di sinodalità totale, nella quale ogni persona di
fede deve avere voce.
Storicamente
le teologie, in varie epoche storiche, sono state particolarmente mortifere,
letteralmente. Di teologia si è morti su larga scala.
In generale
nella nostra Chiesa la teologia dogmatica si è sempre messa di traverso nei
processi di riforma, da quando è stata asservita al Papato. In effetti nella nostra
Chiesa non c’è (ancora) libertà di teologia e, tra le Congregazioni che costituiscono
l’organizzazione principale del Papato, ve ne è una che è sostanzialmente un
organo di polizia ideologica molto pervasiva, che però ai tempi nostri affligge
prevalentemente clero e religiosi, mentre noi persone laiche rischiamo al più l’emarginazione
ecclesiale. La democrazia contemporanea ci dà libertà di associazione e di
pensiero e, come avvenuto in passato, alle deficienze ecclesiali possiamo
sempre rimediare da noi stessi.
Ci sono due
modi, però, per reagire alla tirannia della teologia normativa quando si fa
oppressiva. Il primo è mettendo in luce i danni che fa al corpo ecclesiale: in
questo campo non è necessario essere teologi per farlo. Si mostrano le proprie
ferite. Il secondo è accettando il metodo che la comunità scientifica dei teologi
si è data nelle questioni scientifiche: qui è indispensabile essere teologi e,
quindi, sviluppare argomentazioni in modo che siano riconosciute valide. Ci si
può cominciare a considerare teologi
quando si è conseguito un dottorato (un titolo superiore alla laurea) in una
disciplina teologica.
Alle
persone di fede non occorre questo, ma certamente, anche semplicemente per esporre
i danni che le teologie provocano, occorre essere acculturati alla teologia, quindi comprenderne
sommariamente le questioni, saper almeno leggere un
testo del Magistero che parla teologico. Questa formazione è assolutamente carente, di
solito, nelle realtà di base.
Io ho
ricevuto una certa acculturazione teologica in Azione Cattolica.
Sarebbe bene
organizzare una specifica formazione in questo campo fin da quando si è
bambini, seguendo i progressi negli studi scolastici, che di solito sono invece
totalmente ignorati. Infatti non credo sia possibile pensare di poter realizzare
una vera sinodalità se una donna o un uomo che vi vengono coinvolti hanno una acculturazione
alla fede bambinesca o si lasciano semplicemente condurre (vale a dire tiranneggiare) da una qualche guida. Spesso noi persone
laiche ci troviamo in questa umiliante condizione.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa -
Roma, Monte Sacro, Valli