Documento assembleare proposto per l’approvazione della 17° Assemblea nazionale dell’AC
“Ho un popolo numeroso
in questa città”
Dal 25-4-21 al 2-5-21
Diretta su
https://xviiassemblea.azionecattolica.it/
dalla 15:00 del 25 aprile
Sintesi [di Mario Ardigò]
1. Il documento non è di facile lettura. Infatti è scritto in ecclesialese, il gergo infarcito di
teologismi e di espressioni di ossequio istituzionale che viene utilizzato per comunicare con la gerarchia.
Il documento, scritto dal
Consiglio nazionale, spiega come l’Azione Cattolica vuole muoversi nei prossimi
tre anni. E’ proposto per l’approvazione da parte dell’Assemblea Nazionale, il
nostro Parlamento, che si terrà
dal 25 aprile al 2 maggio.
2. All’Assemblea nazionale partecipano i
presidenti diocesani, altri rappresentanti eletti dalle Assemblee diocesane
e i membri del Consiglio Nazionale.
Quest’ultimo, che è il Governo, dell’associazione, è eletto dall’Assemblea
nazionale. Il Consiglio nazionale nomina i vice presidenti della Presidenza
nazionale e propone la nomina del Presidente alla Conferenza Episcopale
Italiana, che vi provvede con delibera del suo Consiglio permanente (le uniche
nomine associative sottratte in Azione Cattolica a procedure democratiche, che sono
invece la regola per tutte le altre
nomine, sono quelle del Presidente nazionale e dei presidenti diocesani e
parrocchiali).
3. Il documento è diviso
in sei parti:
- Un’Azione Cattolica
che abita la storia con gli occhi della fede;
-l discernimento,
stile per abitare la storia;
- Scelte che guardano
al futuro;
- Tutto ciò che è
umano ci riguarda;
- Per una rinnovata vocazione educativa;
- Camminare
nella storia illuminati dalla Parola di Dio
La politica delle citazioni fornisce qualche
informazione sui referenti culturali.
Sono 37:
n.27 da documenti pubblicati sotto l’autorità di papa
Francesco o da suoi discorsi;
n.5 dal Progetto
formativo di AC “Perché in voi sia formato Cristo”, AVE 2020;
n.4 da altri documenti dell’AC;
n.1 da Vittorio Bachelet, Azione Cattolica e impegno politico,
1973.
Quindi: l’Azione cattolica italiana si interroga su come recepire nella
sua azione sociale il Magistero di papa Francesco. E trova qualche difficoltà ad inquadrarlo in un insieme
coerente nella precedente dottrina sociale, che non è citata.
2. Tornare a Corinto, affidati a Dio
e alla Parola della sua Grazia.
Per far intendere il quadro generale su cui si
riflette, si parte dalla citazione di un brano della prima lettera di Paolo ai
Corinti, dal capito secondo, versetti da 3 a 4:
Mi
presentai a voi debole, pieno di timore e di preoccupazione. Vi ho predicato e
insegnato senza abili discorsi di sapienza umana. Era la forza dello Spirito a
convincervi. [1Cor 2,
3-4; versione TILC]
Paolo ricorda il periodo della sua
predicazione nella città greca di Corinto.
1.4 […] La città di Corinto, con due
porti, pullula di persone di culture e religioni diverse, che soffrono lo
sradicamento e la disparità sociale. Paolo si stabilisce nella casa di Aquila e
Priscilla che, arrivati a Corinto da Roma “in seguito all’ordine di Claudio di
allontanare i giudei”, condividono con lui non solo la condizione di
forestiero, ma anche l’attività professionale, cioè la costruzione di tende. Da
quel momento la loro casa si impregna della luce del Vangelo, diventa una “casa
della Chiesa”, una domus Ecclesiae, un luogo di condivisione della Parola e del
Pane. (cf. 1Cor 16,19).
1.5. È significativo che la presenza
della Chiesa a Corinto parta dalla “casa”, in un ambiente domestico, familiare,
laico. L’apostolo mette da parte la sua sapienza, di cui aveva dato prova ad
Atene, per tornare al nucleo della predicazione, che non gli risparmierà un
rapporto tormentato coi cristiani di Corinto: “battaglie all’esterno, timori
all’interno” (cf. 2Cor 11).
1.6. Il contatto con il mondo del lavoro
manuale, spazio privilegiato di testimonianza cristiana, e la frequentazione
della sinagoga, fanno maturare in Paolo l’esigenza di “persuadere Giudei e
Greci” (cf. At 18,4).
[…]
tra l’apostolo delle genti e chi lo
ospita si crea un circolo virtuoso: pastore e comunità camminano solo e sempre
insieme, nel superamento reciproco di ogni mentalità clericale.
Ha anche una visione, nel corso
della quale gli viene detto:
«Non aver paura! Continua a predicare, e non
tacere, perché io
sono con te! Nessuno potrà farti del male. Anzi, molti abitanti di questa città
appartengono già al mio popolo». [Dagli
Atti degli apostoli, capitolo 18, versetti 9 e 10; versione TILC]
Secondo il Documento, Paolo, in base a quell’esperienza di predicazione a
Corinto e a quella visione, elaborò una nuova teologia del popolo, rivolgendo l’evangelizzazione anche al di
fuori dell’originario ebraismo.
1.8 […] Il Signore, infatti, ci precede
sempre, non attende che siamo noi a seminare: egli ha già sparso il seme della
Parola nel cuore di ogni uomo, ha già redento il mondo prima ancora della
nostra azione. A noi lascia il compito di scoprire i “semi del Verbo” ovunque;
a noi affida la missione educativa di irrigare con cura il buon seme, senza
correre il rischio di estirparlo insieme con la zizzania. Tutto questo, Paolo
lo scopre a Corinto, dove impara “ad annunciare il Vangelo, non con sapienza di
parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo” (1Cor 1,17).
Secondo il Documento
nel Magistero di papa Francesco c’è «una forte consonanza e connaturalità con la “teologia del popolo” di san
Paolo, che viene ripresa ed elaborata in termini pastorali», in particolare nel
guardare al mondo moderno senza ostilità, facendosi costruttori di ponti,
irrigando con cura il buon seme, senza correre il rischio di estirparlo insieme
con la zizzania.
1.8 [Quel
popolo numeroso] possiamo scorgerlo, è formato anche dai tanti uomini e donne che abitano il
nostro “villaggio globale” pur non essendo consapevolmente parte del “gregge”
della Chiesa: ad essi Dio si rivolge per mezzo del suo Spirito non meno che ai
cristiani, ai quali è richiesta un’esigente e coerente testimonianza di
accoglienza del Dio fatto uomo e del suo Vangelo. “Tornare a Corinto”, per la
Chiesa e per la nostra Associazione, significa mettersi alla scuola di Paolo,
il quale non guarda il mondo pagano con ostilità ma con gli occhi della fede:
sceglie lo sguardo che lo spinge ad aprire un varco tra il Vangelo e la sete di
verità che inquieta il cuore umano; sceglie di farsi “pontefice, costruttore di
ponti”, realizzando uno straordinario esempio di inculturazione del messaggio
della fede. Paolo non è stanziale, ha il
carisma dell’evangelizzatore più che del pastore: dopo aver impiantato la
comunità cristiana la lascia ma non l’abbandona, affidandola “a Dio e alla
Parola della sua grazia” (At 20,32).
Viene in rilievo il problema dei pastori,
vale a dire con il clero, e
del rapporto con loro. Si cammina insieme, o almeno si cerca di farlo, ma la
relazione non soffre per un certo
distanziamento.
1.9 […] Paolo non è stanziale, ha il
carisma dell’evangelizzatore più che del pastore: dopo aver impiantato la
comunità cristiana la lascia ma non l’abbandona, affidandola “a Dio e alla
Parola della sua grazia” (At 20,32).
Siamo affidati dunque a Dio e alla Parola della sua Grazia, dunque: il fondamento
della nostra libertà.
3. Riconoscere la complessità, interpretare, scegliere.
L’Azione Cattolica riconosce la
complessità della realtà in cui viviamo, insieme a tutti gli altri, e si
impegna a cercare comprenderla senza cercare di costringerla in stereotipi,
lavorando collettivamente. Questo al fine di scoprire come operare in essa.
2.5 […]Di fronte alla realtà, siamo
chiamati a fare memoria di quello che abbiamo vissuto, a guardare con serietà e
attenzione a quanto sta succedendo, a progettare con creatività il percorso che
ci si apre davanti.
Questo lavoro sarà il cuore pulsante dell’associazione:
è il discernimento comunitario.
Non ci lasceremo sfiancare dalla burocrazia ecclesiale.
Cercheremo invece di rivitalizzare tutte le sedi di partecipazione:
2.8 […] sono i consigli pastorali
diocesani, le consulte per le aggregazioni laicali, gli organismi di pastorale
giovanile, la Caritas, gli altri organismi diocesani e nazionali di
condivisione e lavoro comune, comprese tutte quelle alleanze in cui
l’associazione è impegnata. Ci impegniamo affinché ognuno di questi luoghi, e
tutti i luoghi della vita in cui siamo chiamati, diventino occasione di
sinodalità e discernimento comunitario.
Cercheremo di farlo portando un
contributo di creatività e audacia, spingendo per superare le cose che si sono
sempre fatte, quando non vanno più bene. Non saremo conservatori, ma adotteremo
uno stile missionario
L’Azione Cattolica vuole adottare il metodo
consigliato nell’Esortazione apostolica La
gioia del Vangelo:
2.12 […] facciamo nostri i tre verbi con
cui viene descritto il processo del discernimento in Evangelii gaudium,
riconoscere, interpretare, scegliere
[EG 51].
6.4 […] Desideriamo continuare
a mettere in atto percorsi di educazione alla passione politica, accompagnando
e sostenendo quanti si spendono con generosità e competenza per il bene comune,
ripensando la scuola, il lavoro, la città, l’utilizzo delle risorse ambientali
e affrontando in modo positivo i cambiamenti.
4. In continuità con una storia associativa: la scelta religiosa, la sinodalità
partecipativa.
L’azione associativa manterrà
il riferimento ai principi deliberati nel Concilio Vaticano 2° e la fedeltà alla scelta religiosa
adottata negli anni ’60 e ’70. Significa
ripudiare ogni strumentalizzazione della fede: non è il rifiuto della politica.
3.4. […] La scelta religiosa può essere
descritta come “la capacità di aiutare i cristiani a vivere la loro vita di
fede in una concreta situazione storica, ad essere “anima del mondo”, cioè
fermento, seme positivo per la salvezza ultima, ma anche servizio di carità non
solo nei rapporti personali, ma nella costruzione di una città comune in cui ci
siano meno poveri, meno oppressi, meno gente che ha fame» [V.
Bachelet, Azione Cattolica e impegno politico, 1973].
In questo lavoro nella società, vogliamo mettere
la vita laicale al centro dell’attenzione e dedizione associativa.
3.6 […] La vita laicale è,
dunque, vocazione vera, fondata sul Battesimo, per essere nel mondo alla
sequela del Signore e, in quanto tale, deve essere sempre posta al centro della
nostra attenzione associativa.
Questa dignità religiosa della vita
laicale esige la corresponsabilità nell’azione ecclesiale.
3.10. La nostra stessa
vita associativa scaturisce e cresce nella corresponsabilità che è, insieme,
sua radice e suo frutto maturo. Il convocarsi, il ritrovarsi, il crescere
insieme, il confronto comune, il discernimento associativo, il farsi carico gli
uni degli altri, il mettersi a servizio della comunità sono tutti dinamismi che
raccontano la corresponsabilità. Essa si esprime e si realizza, altresì, nel
perseguire un dialogo continuo con i vari soggetti presenti nella comunità
ecclesiale e nella ricerca di alleanze per il bene comune nella società civile.
Senza corresponsabilità non vi è piena
partecipazione ecclesiale e, dunque, neanche sinodalità.
3.13 […] La partecipazione attiva alla vita della Chiesa locale scaturisce da un
ascolto e confronto reciproco tra tutte le componenti la comunità e dal sapersi
educare a vivere il discernimento comunitario come abitudine basilare per la
missione della Chiesa nel mondo. In questo suo essere presente dentro la vita
della Chiesa locale, l’AC presenta, come suo tratto distintivo, l’ascolto e il
dialogo con il proprio Vescovo; compito dei responsabili associativi è favorire
ed alimentare quest’incontro, unitamente al dialogo da condurre con i sacerdoti
nelle parrocchie e/o negli ambiti interparrocchiali.
Ci impegniamo a vivere questa sinodalità partecipativa
anzitutto in Azione Cattolica:
3.15. In
associazione, lo stile sinodale è anche proposto e vissuto, in modo peculiare,
nella scelta unitaria e nel dialogo intergenerazionale tra adulti, giovani e
ragazzi; vivendo compiutamente la scelta unitaria e il dialogo
intergenerazionale, la vita associativa si può presentare come esempio ed
esercizio di sinodalità, contribuendo così alla sua diffusione e al suo
rafforzamento all’interno della comunità.
5. Essere associazione
popolare
La popolarità dell’Azione Cattolica si
esprime nella consapevolezza che si opera all’interno di una fitta rete di
relazioni, che danno senso e gusto all’esistenza e nell’interesse anche verso tutte le persone che vivono insieme a noi, nelle
nostre città, “membra di un popolo da tenere unito, da accompagnare, da amare e
di cui essere riconoscenti.”
3.18. Vogliamo
“popolarizzare l’Azione Cattolica” aprendo le porte delle parrocchie per
accompagnare tutti a entrare e, senza richiedere esami di accesso, incoraggiare
ognuno a intraprendere con noi la scelta del servizio, della formazione e
dell’impegno associativo. Allo stesso tempo vogliamo “popolarizzare l’Azione
Cattolica” incoraggiando tutti noi a vivere in ogni ambiente di vita (in
famiglia, a lavoro, a scuola, nella parrocchia, nell’impegno sociale e politico
…) il gusto della quotidianità, la nostra missione di popolo e la nostra
responsabilità laicale.
[…]
3.20 […]l ’AC si sente chiamata a dare forma e
sostanza a comunità ecclesiali “in uscita” e a comunità civili solidali ed
inclusive,
6. Incontrare le persone
dove vivono
L’Azione cattolica rifiuta la
globalizzazione dell’indifferenza, vuole farsi prossima all’umanità, oltre ogni
appartenenza, fede, cultura: l’essere persone umane ci accomuna. Per questo
vuole promuovere una cultura della fraternità: la considera la nuova frontiera
del cristianesimo, a cominciare dalle realtà parrocchiali.
4.5. […] Come ci
ricorda il papa “il modo migliore per dialogare non è quello di parlare e
discutere ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare
progetti: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona
volontà”.
7. Educare ed educarci
L’Azione cattolica ritiene che l’intera comunità sia impegnata nel lavoro
di educazione. La considera come “testimonianza corale ed organica che prende
per noi la forma dell’associazione”.[ Progetto Formativo pag. 20]. A partire
dalle associazioni parrocchiali si propone di essere protagonista attiva.
5.4 […] Il Progetto,
recentemente ripensato, intende l’azione missionaria [Progetto Formativo pag.
5] come esperienza formativa, autenticamente in dialogo con il mondo che cambia
e si trasforma. Dunque non risposte preconfezionate, ma linee guida, affidate
soprattutto a chi ha delle responsabilità, che aiutino a porsi in dialogo in
maniera sempre più incisiva con i luoghi dove ciascuno si trova a vivere e
operare, per cercare risposte evangelicamente ispirate e radicate nelle scelte
formative compiute dall'associazione nel corso della sua storia.