Incontrarsi
L’incontrarsi è alla base di ciò che
intendiamo per comunità. Essa si
manifesta veramente solo nei piccoli gruppi. Aumentando le dimensioni
di questi ultimi ci serviamo del mito per comprenderli e organizzarli: non ci
possiamo fare nulla, dipende da nostri limiti cognitivi di specie.
Nella nostra religione quei miti hanno raggiunto una notevolissima
complessità e nessuno li può veramente utilizzare senza problemi. E’ vano ormai
dar loro coerenza. Vivono di contraddizioni insanabili. Dovrebbero servire ad
unire, ma raffinate teologie li hanno rimodellati per dividere, raggiungendo
soglie di efferatezza incredibili. A partire da essi non è più possibile alcuna
riforma e nessun processo sinodale. La riforma è attuabile solo a partire dall’incontrarsi lasciandoli un po’ sullo
sfondo. Il piccolo gruppo di incontro è la fucina di ogni vera riforma. La
teologia interverrà dopo.
Nel documento approvato domenica scorsa nella 14° Assemblea Nazionale
del Movimento ecclesiale di impegno
culturale si legge:
«La motivazione di una riforma della Chiesa va ricercata nella
constatazione che, purtroppo, in qualche modo si è offuscata la vocazione
profetica in cui deve esprimersi la fedeltà all’insegnamento della Parola di
Dio.
Tre almeno le emergenze che s’impongono
alla nostra attenzione: la sinodalità nella
chiesa, il ruolo dei laici, la questione femminile come “questione
ecclesiale”.
La
riforma della Chiesa deve toccare tre piani: l'autocoscienza collettiva, la
forma delle relazioni, le strutture. La
riforma della Chiesa in senso sinodale non può essere relegata ad un
aggiustamento strategico, ma deve permeare la vita della Chiesa dal basso.
Per arrivare a questa trasformazione occorre investire in formazione dei laici
e dei presbiteri: non si tratta di addestrare, ma di formare coscienze.
La Gaudium et Spes, al n.43, nel richiamare che
“spetta alla coscienza (dei laici), già convenientemente formata, di inscrivere
la legge divina nella vita della città terrena”, sottolinea che la loro responsabilità
riguarda “non solo l'animazione del mondo con lo spirito cristiano, ma anche [l’]essere
testimoni di Cristo in mezzo a tutti”, insistendo perciò sul loro ruolo per
l'evangelizzazione.
Nel documento della Commissione Teologica Internazionale, pubblicato il 2 marzo del 2018, dal titolo La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa si legge che «un pertinente esercizio della sinodalità deve contribuire a meglio articolare il ministero dell'esercizio personale e collegiale della autorità apostolica con l'esercizio sinodale del discernimento da parte della comunità» (n. 69)
Per una
attuazione della sinodalità, decisivo appare il tema della "co-essenzialità
tra doni gerarchici e doni carismatici" ossia l’esercizio dell’autorità da
parte di vescovi e presbiteri deve trovare una sintesi armonica con l’esercizio
del discernimento da parte dell’intera comunità, in uno stile sinodale. Una
loro contrapposizione come anche una loro giustapposizione, sarebbe sintomo di
una erronea e insufficiente comprensione dell'azione dello Spirito Santo nella
vita e nella missione della Chiesa.»
Nelle culture ecclesiali sembra che non si
abbia consapevolezza di altro che non sia gerarchia o carisma. E, sinceramente, non mi è particolarmente evidente il carattere di dono dell’ordinamento gerarchico, che, nella mia
vita tra i cristiani, mi si è presentato in genere come un problema. Così come,
per temperamento, piuttosto freddo, non sono granché sensibile al carisma. I momenti più belli e ricchi
della mia vita di fede sono stati invece quelli in cui ho partecipato a veri incontri. Essi richiedono di volersi
avvicinare da amici abbandonando pregiudizi e precomprensioni, pretese di
dominio e vane dialettiche mitologiche. Se
su un incontro si fa calare uno schema formale, che ne ingabbia i partecipanti, si ottiene una liturgia, che ha i suoi ambiti di
applicazione, ma che non serve quando si cerca di vivere un’esperienza di
riforma. Dove si possono realmente incontrare le altre persone, nascono legami,
innanzi tutto dal puro e semplice vivere insieme. Ma su questo bisogna poi
costruire e, in particolare, ragionare.
Un processo
sinodale di prossimità potrebbe valersi di vere occasioni di incontro.
Oggi in genere sono poche e riempite di
riti. Non di rado peccano di intolleranza. E i contenuti sono poveri. Qualcosa
di diverso si vive in Azione Cattolica e in associazione con essa federate come
FUCI e MEIC. Senza questo metodo la vita in società si
separa da quella religiosa e diventano
impossibili la riforma civile e quella religiosa.
Ma senza i
paraocchi del mito e del rito e il dominio gerarchico che cosa uscirebbe dalla
religiosità della gente? In religione c’è sicuramente una buona dose di eccentricità, in particolare
nella cosiddetta religiosità popolare, quella centrata sui prodigi e i
santuari. Essa, presentata come frutto della cultura popolare, in realtà è
stata spesso storicamente strumentalizzata per dominare la povera gente. Non
sempre, poi, un incontro va a finire
bene: è un rischio che però va accettato. Si cerca di evitarlo, ritualizzando:
allora, quando ci si incontra, ognuno recita ciò che ha sul foglietto che gli viene messo in mano e un vero incontro
non c’è.
In questi mesi
di incontri in Google Meet, noi di AC San Clemente abbiamo sperimentato una
forma di incontro nuova, che potrebbe essere utilmente mantenuta, in un
processo sinodale diocesano. Non si è trattato di un sostituto precario delle
riunioni in presenza: è stata un’esperienza veramente nuova, molto ricca e più
partecipata.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa -
Roma, Monte Sacro, Valli