Il metodo del dialogo
L’enciclica Fratelli
tutti è dedicata alla politica.
Quando lo scrivo alcuni si adombrano, ma è proprio così, in senso letterale.
Chi ha letto il documento ne è consapevole. Ma molti non lo hanno fatto e si
limitano a generiche espressioni di ossequio e di compiacimento del tipo “E’ una bella enciclica” o anche “E’ una bellissima enciclica”. Ma di che
tratta non l’hanno capito. Per capirlo bisogna leggere. L’enciclica è stata
scritta per essere letta. Da chi? Da tutti.
Tutti fratelli!
«8. Desidero tanto che, in questo tempo che ci è
dato di vivere, riconoscendo la dignità di ogni persona umana, possiamo far
rinascere tra tutti un’aspirazione mondiale alla fraternità.
[…]
Sogniamo come un’unica umanità, come viandanti
fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita
tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni,
ciascuno con la propria voce, tutti fratelli!»
Al suo centro ci sono i capitoli
quarto e quinto, dedicati rispettivamente a “Un
cuore aperto al mondo intero” e,
appunto, alla “migliore politica”. Il primo è centrato sull’interdipendenza dei
sistemi politici e sull’esigenza di
affrontare i problemi sociali come famiglia
umana e il secondo sul concetto di popolo, che storicamente è stato un
ostacolo a quel modo di concepire la politica.
Il capitolo sesto, “Dialogo e
amicizia sociale”, tratta del metodo per realizzare una migliore politica, per ragionare come famiglia umana, e lo individua in quello
del dialogo. “Dialogo” significa
“parlare per comprendersi”.
Ordinare, minacciare, proclamare,
sono altre forme di parlare caratterizzate dal cercare di sottomettere quella
che, a quel punto, non è più una persona con la quale si interloquisce, si
dialoga appunto, ma che semplicemente si vuole che ascolti e ubbidisca. Spesso
sono queste le forme del parlare in religione perché si pensa di dover partire
da una qualche verità, vale a dire da
un valore sul quale non si accetta che si discuta, quindi sul quale non solo
non si accetta di discutere, ma proprio non si accetta che nessun discuta, e il
solo fatto che se ne discuta è visto come oltraggio e peccato. Una abitudine
che risale alle origini e che quindi ci è connaturata. Perché, però, dovremmo
correggerci? Lo si capisce facendo memoria veritiera della nostra storia e
capendo quando male è scaturito da quel modo di fare e, come insegna il
vangelo, l’albero si riconosce dai frutti e, dunque, se il frutto è malvagio,
assassini, stragi, oppressione e altre sofferenze sociali, anche l’albero lo è,
ma l’albero non è il vangelo, nel quale tutto quel male non c’è, ma il modo
come l’abbiamo inteso praticare (male). Alcuni pensano invece che ragionare
così sia il male, perché mette in questione fede e religione: dopo che san
Karol Wojtyla ci ha guidato sulla via della purificazione della memoria non è
più possibile ragionare così, per tentare di silenziare chi ricorda.
Nell’enciclica, il capitolo settimo “Percorsi
di un nuovo incontro”, inizia con una sezione dal titolo “Ricominciare dalla verità” e la verità
da cui si è invitati a ricominciare non è quella dogmatica, ma quella storica,
chiamata anche memoria penitenziale,
quella che facendo luce su ciò che realmente è accaduto è riuscita talvolta a
impedire la vendetta sociale (è accaduto in Sud Africa).
«Solo dalla verità
storica dei fatti potranno nascere lo sforzo perseverante per
liberare il futuro dalle proprie insoddisfazioni, confusioni e proiezioni. Solo
dalla verità storica dei fatti potranno
nascere lo sforzo perseverante e duraturo di comprendersi a vicenda e di tentare una nuova sintesi per il bene di tutti.»
Verità è raccontare la storia come realmente è
andata, perché «il popolo ha diritto di sapere che cosa è successo».
L’enciclica va in quella direzione, ma certamente è ancora
insufficiente. E’ comunque un inizio significativo. Il male che c’è nella
storia è troppo grande per un uomo solo, quale il Papa indubbiamente è. Quello
che si intravvede tra le nebbie ideologiche tra le quali è ancora arduo farsi
strada è, ad esempio, che l’evangelizzazione delle Americhe fu attuata con un
genocidio. Come confrontarsi con questo rimanendo cristiani? Eppure, poiché
pretendiamo di rimanerlo, e di rimanerlo facendo memoria penitenziale, ad un certo punto dovremo arrivarci.
Però, lo ripeto stesso, il passato non può
essere cambiato. Il solo modo per impedire che nel presente ci travolga è
metterci all’opera per un futuro diverso. E’ il percorso indicato
dall’enciclica, la sua via politica,
che significa quindi per il cambiamento della società, e anche per la politica, quindi anche la sua
proposta di metodo, il dialogo appunto.
Noi di Ac San Clemente certamente non siamo di quelli che hanno
occhieggiato distrattamente l’enciclica. Vi stiamo dedicando un intero anno
associativo e vedremo come mettere anche in pratica, a cominciare dalla realtà
parrocchiale, quello che ne abbiamo tratto.
Al centro del capitolo sulla migliore politica leggiamo:
«176. Per molti la politica oggi è una brutta
parola, e non si può ignorare che dietro questo fatto ci sono spesso gli
errori, la corruzione, l’inefficienza di alcuni politici. A ciò si aggiungono
le strategie che mirano a indebolirla, a sostituirla con l’economia o a
dominarla con qualche ideologia. E tuttavia, può funzionare il mondo senza
politica? Può trovare una via efficace verso la fraternità universale e la pace
sociale senza una buona politica?»
Proporre
un insegnamento sotto forma di domanda è espressione tipica del metodo dialogico, come si insegnava alla scuola
del filosofo greco Socrate, vissuto ad Atene nel Quinto secolo dell’era antica.
Furono gli antichi greci a teorizzare il dialogo come forma di apprendimento
relazionale, ma non come pratica di popolo, bensì solo per illuminati. La
politica degli antichi greci fu ben poco dialogica ed infatti essi si
sfiancarono il continue e tremende guerre che finirono per metterli nelle mani
dei barbari macedoni. Fu l’impero assoluto di questi
ultimi a fare unità e pace, diffondendo nel contempo la sofisticata filosofia
greca nel mondo mediterraneo: a partire da lì essa divenne poi universale,
innervando profondamente anche la teologia cristiana. Questa lezione prettamente
politica fu introiettata dall’ideologia del Papato
romano, attraverso quella bizantina. L’idea di un impero cristiano universale fu a lungo la via della pace idealizzata dal
Papato romano, ad esempio anche quando richiede un’autorità mondiale che metta
ordine tra gli stati. L’enciclica propone una via alternativa. Del resto quella
dell’impero universale è una ambizione religiosa che è stata demolita
dalla storia, dopo essere stata a lungo coltivata. La via dell’impero, infatti,
richiede, facendosi sempre più esteso il dominio, sempre maggiore coercizione,
e quindi violenza, politica, e la pace ne esce pregiudicata alla fine
pregiudicata, e con essa anche la religione dei cristiani.
I numeri
da 219 a 224, all’interno del capitolo sul metodo
per una migliore politica, contengono
indicazioni pratiche che mi paiono molto importanti perché non riguardano solo
la politica civile, ma anche, ad
esempio, la vita comunitaria che si fa in una parrocchia come quella di San Clemente. Esse sono riassunte
nella proposta della gentilezza come atteggiamento nell’incontro per dialogare
con gli altri, una sorta di prerequisito del dialogo. Non si tratta solo di
cortesia e buona educazione, quindi di quelle che vengono anche definite virtù borghesi, ma di uno stile di vita
che esprime stima e rispetto per gli interlocutori, e di un modo dialogico di
dibattere e confrontare le idee. In parrocchia, tra gruppi, poche volte ne
siamo stati capaci.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente
papa - Roma, Monte Sacro, Valli