Difficili incontri
I cristiani, specialmente quelli italiani e
tedeschi, hanno avuto un ruolo determinante nella costruzione dell’unità
europea al termine della Seconda guerra mondiale. In particolare lo ebbero i
cristiani democratici, quelli che, da fine Settecento e discostandosi da un
atteggiamento intransigente verso la modernità che non fu solo del Papato
romano, cercarono di assimilare l’ideologia
democratica caratterizzandola con i valori umanitari di ispirazione religiosa.
Una delle virtù che risultò loro più utile per questa grandiosa opera,
mai tentata prima nella storia dell’umanità (solo superficialmente la si
avvicina a quella dell’incolto despota medievale Carlo Magno), fu la loro
capacità di riuscire a ottenere la collaborazione tra fazioni che si
presentavano come avversarie, focalizzando la loro attenzione sui vantaggi che
si sarebbero potuti conseguire in un’ottica di bene comune invece che
progettando conflitti per affermare la rispettiva supremazia.
Ancora nella politica italiana di oggi, questo che possiamo considerare
un vero e proprio carisma mette personalità provenienti dal cattolicesimo
democratico al centro della vita pubblica, nonostante che, essenzialmente a
causa delle politiche della gerarchia cattolica attuate con pervicacia degli
anni ’90, il peso del cattolicesimo democratico come tale, come movimento, sia
ormai azzerato.
Considerando il cattolicesimo democratico, si tratta di un movimento
politico che si è basato su una certa autonomia rispetto alla gerarchia del
clero che ha consentito di affrontare in termini meno controproducenti il tema
della libertà delle persone, in ogni sua dimensione. Esso si è radicato in
particolare nell’esperienza dell’Azione cattolica italiana, che, costituita ad
inizio Novecento come braccio politico del Papato intenzionato ad influire
sulla politica democratica del Regno d’Italia dopo decenni di strenua lotta
senza quartiere basata sulla radicale separazione, divenne altro.
Oggi l’Azione cattolica italiana è la maggiore agenzia di formazione alla
politica in Italia e anche tra i pochissimi ambienti in cui fedeli laici possono fare esperienza di
autonomia ecclesiale. In essa non si rifiuta la complessità, non si propongono
seducenti narrazioni mitologiche semplificate per rendere credibile il poco che
si sa e farselo così bastare, ma si spinge a ricercare ciò che serve per avere
un quadro realistico della società intorno. Questo metodo facilita gli incontri e, soprattutto, il loro esito produttivo.
Nell’enciclica Fratelli tutti, alla quale abbiamo dedicato gran parte del
lavoro svolto quest’anno nel nostro gruppo parrocchiale di Azione cattolica, siamo
esortati all’incontro. Essenzialmente
si tratta di incontri con realtà sociali al di fuori degli spazi
ecclesiali; di quelli all’interno si è trattato nell’esortazione apostolica La gioia del Vangelo.
C’è un incontro quando non si limita a fronteggiare le altre persone,
stretti nei propri miti e nei propri ruoli, ma si avvia un dialogo per capire
meglio la situazione, i conflitti, il da farsi, le via per una collaborazione
invece che per uno scontro.
Tuttavia nella nostra Chiesa si è in genere pochissimo abituati a
praticare l’incontro come metodo di costruzione sociale, anzi se ne diffida.
Ognuno rimane così prigioniero della propria narrazione sociale, che integra il
poco che sa e lo convince che sia abbastanza per andare avanti, e del proprio
ruolo. Questo in genere è lo spirito con cui si va in chiesa.
Naturalmente questa è una realtà ecclesiale che è totalmente differente
da quella idealizzata dal Magistero e dalla sua attuale teologia di
riferimento.
Così, quando vengono pubblicati i risultati dei sondaggi che cercano di
capire come è fatta realmente la
Chiesa, essi sono in genere un forte shock per gli addetti ai lavori.
Poiché la capacità di autocritica è praticamente assente nella gerarchia
e, in genere, nel clero ma anche e particolarmente nei religiosi, tutta la
colpa viene data ai laici e così nascono
anche le barzellette sul laico tonto e
menfreghista che so circolare negli
ambienti religiosi.
Così
poi la gente rimane distante dagli ambienti ecclesiali, se non quando tornano
utili per solennizzare gli eventi principali della vita personale, insomma per fare festa sacralizzandoli, e dentro
rimangono quelli che, per vari motivi, sono divenuti insensibili alle
umiliazioni. E questi ultimi sono in
genere i meno propensi agli incontri, perché sanno bene che qualsiasi incontro
nella Chiesa si risolve in guai e fastidi, in quanto ai cosiddetti pastori non va mai bene come il gregge si raduna, perché
appunto ne hanno una immagine molto irrealistica, e preferirebbero tenerlo
chiuso nell’ovile, ciascun gruppo nel proprio stallo. Ogni incontro
richiede infatti di revisionare le narrazioni poste a base delle realtà sociali
di riferimento, integrandole inserendo le persone con cui ci si vuole
incontrare e i loro modi di presentarsi e di essere, e questo richiede fatica
e, soprattutto, in quanto reale novità
sconcerta in chi è abituato semplicemente a seguire
un pastore.
Nelle nostre realtà ecclesiali, Azione Cattolica e poche altre
aggregazioni a parte, gli incontri vanno in genere effettivamente a finire
male. La presa di coscienza che ci sono altre persone che non sono allineate
con la propria ideologia ecclesiale di riferimento disturba e così, anche
quando di teologia si sa poco o nulla, si arriva in breve a scambiarsi accuse
di eresia e anatemi, imitando così i bellicosi e poco virtuosi esempi dei
cosiddetti Padri dell’antichità.
Si parla di processo sinodale. Ciò comporterebbe di
confrontarsi realisticamente con l’umanità ecclesiale che c’è e di provare ad
incontrarla e a suscitarvi veri
incontri.
In passato, un nostro importante esponente della gerarchia criticò la
liturgia post conciliare che aveva portato il celebrante, durante la messa, a
rivolgersi verso il popolo,
sostenendo che era manifestazione di una ecclesiologia che era troppo centrata
sulla comunità e troppo poco sulla
sacralità e che era meglio concentrarsi su quest’ultima perché il popolo non era un bello spettacolo. Proprio
così disse. Si rese conto che ciò che aveva detto era un insulto verso i fedeli laici? Probabilmente no. Del resto è un modo di predicare che si pratica
con disinvoltura nel nostro clero, confidando che il popolo si tenga tutto,
senza replicare, ad esempio, ribattendo che anche dall’altra parte certamente
non ci sono dei gran belli spettacoli,
nonostante l’aura di sacralità con cui ci si vuole avvolgere, ciò che è stato
definito muro d’incenso.
Così procedendo, le possibilità di reali incontri in processi
sinodali diffusi sono veramente
striminzite. La gente va in chiesa per guardare il prete celebrare e per vivere
un’esperienza di sacro ed è poco interessata a incontrare: quando esce dagli spazi liturgici, cambia registro e
passa nella modalità della lotta di tutti contro tutti e si salvi chi può.
Come cambiare?
Non è facile al punto in cui siamo. Ma certamente occorrerebbe suscitare
una maggiore ed effettiva partecipazione dei laici, perché altrimenti i preti
non ce la possono fare. Senza però far
passare i laici da uno stato di soggezione clericale ad un altro
para-clericale, che significa anche passare da un’autorità di persone che hanno
avuto una formazione molto completa, addirittura in genere post universitaria, a
quella di gente che ne sa molto meno e
che, nonostante questo, pretende obbedienza filiale o servile, con il pretesto
che così vuole la comunità e che se non ci si adegua si è egoisti. La partecipazione che serve è quella che riesce a
praticare la libertà e il rispetto della dignità propria e altrui.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San
Clemente papa - Roma, Monte Sacro Valli