Sabato
Santo 2021
Ho riletto i miei Pensieri di Pasqua degli anni passati, inviati a parenti e amici,
un po’ come mia madre fece per tanti anni fino a che poté.
Ho trovato più
interessanti quelli meno recenti. Tra quegli altri ve ne sono diversi centrati
sul problema della durata della Veglia pasquale
che è specifico della nostra parrocchia: chi voleva che durasse dal tramonto
all’alba, chi che si facesse come dalle altre parti, due ore e mezzo al massimo,
per umanizzarla. In tempo di pandemia di Covid 19 è questione per il momento superata,
perché per le dieci di sera bisognerà essere tutti a casa. L’anno scorso non ci si poté proprio riunire
e il mio Pensiero fu centrato sulla possibilità di fare Chiesa e la Veglia
anche in famiglia: Chiesa domestica come si suole dire.
Tra i discorsi che
feci ne manca però, mi è parso, uno importante che riguarda il fatto che la Pasqua cristiana, benché certamente celebrata con
diverse suggestive liturgie, quindi azioni di popolo, è essenzialmente un fatto
interiore, personale, e ciò, credo, la separi nettamente dalla Pasqua ebraica, alla
quale quelle liturgie e la stessa idea di Pasqua
rimandano. Così, se rimane solo rito, è ben poco. Non è, insomma, il passaggio di un
popolo da una condizione di sottomissione ad una di libertà e, infatti,
l’evento di cui si fa memoria non è l’aver attraversato prodigiosamente un mare
da parte di una massa di gente, separandosi
dal tiranno, ma la resurrezione di una singola e speciale
persona, sulla quale si fonda l’idea, tutta cristiana, di unità del genere umano
fondata sull’unità personale nel divino, su un convergere personale in esso che
poi unisce tutti. Come insegnarono i saggi dell’ultimo Concilio:
Così la Chiesa universale si presenta come un popolo che deriva la sua unità dall'unità
del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.» [Cost. Luce
per le genti, 3]
Al primo evento, la
traversata prodigiosa del Mar Rosso, può riconoscersi carattere mitico senza
che per questo l’identità religiosa di chi ne fa memoria ne risenta; l’irrealtà
mitica del secondo, benché prodigioso, demolirebbe invece la fede cristiana:
non vi è infatti cristianesimo senza reale
resurrezione di Gesù, il Cristo. Essa è infatti resurrezione di Cristo e
fondamento della mia e tua, nostra, personale
speranza di resurrezione. Un popolo
può salvarsi come tale da un oppressore straniero, ma non si risorge come
popolo, bensì solo come persona e, se non c’è questo, non c’è nulla di
cristiano, credo di aver compreso.
La questione non
coincide con quella della salvezza,
di cui si parla molto nella predicazione, e la gente non sempre capisce di che
si tratta. Perché in realtà, tutti, giusti e ingiusti, credenti e non credenti,
soffriamo e moriamo e da questo non c’è salvezza. C’è una vita oltre questa
vita? Questo il punto. La questione della salvezza si pone già in questa vita,
ma poi anche dopo, e la teologia in
genere ce la presenta come una giudizio in cui c’è chi salva e chi no dopo. Che fine fa chi, a quel punto, non
si salva: pena in eterno o svanisce? La teologia contemporanea oscilla tra
questi due estremi, la predicazione propende per il primo, anche se non più in
senso fisico, secondo la rappresentazione dell’Inferno nella Commedia di Dante Alighieri, la punizione come
supplizio eterno. Si dice che chi non si salva è perché non vuole e la sofferenza consisterebbe dalla sua
separazione eterna dall’Altissimo; questo perché non si accetta più l’idea di
un dio-aguzzino, sia pure per ragioni di giustizia, che però ebbe a lungo corso
e fino a non molto tempo fa. Alcuni hanno osservato che l’idea di una pena
eterna contrasta con l’immagine divina amorevole e giusta. Il male che un
essere umano può fare, per quanto immane possa essere, è sempre limitato e una
pena eterna appare sproporzionata. Ma, appunto, tutto questo viene dopo: dopo aver risolto la questione di
una vita oltre la vita. Però questo modo di porre il tema, pensare a una vita oltre la vita, in qualche modo
impedisce di vedere l’essenziale che è questo: è possibile una nostra personale unione con l’Altissimo, il Creatore,
il Fondamento? Perché, se si è convinti che sia possibile, il resto passa
in secondo piano, la vita oltre la vita, la salvezza ecc. “Chi mi potrà aiutare?” recita il salmo, “L’aiuto mi viene dal Signore
che ha fatto cielo e terra.” [salmo 121]. Una volta che si confidi di poter essere in lui…
Secondo la dogmatica
e il Magistero ci sarebbe un dovere di
credere. Ma, per quanto uno si sforzi, dubbi rimangono, li hanno
manifestati anche coloro che sono stati ritenuti santi, anche se spesso il
ricordo della loro fine ci appare alterato in senso fortemente agiografico, e
non è poi sempre certo che, all’ultimo, li abbiano superati. La questione è
seria:
Noi dunque predichiamo che Cristo è risuscitato dai morti.
Allora come mai alcuni tra voi dicono che non vi è risurrezione dei morti? Ma se non c’è risurrezione dei morti, neppure Cristo è
risuscitato! E se Cristo non è risuscitato, la nostra predicazione è senza
fondamento e la vostra fede è senza valore. Anzi finiamo per essere falsi testimoni di Dio, perché, contro
Dio, abbiamo affermato che egli ha risuscitato Cristo. Ma se è vero che i morti
non risuscitano, Dio non lo ha risuscitato affatto. Infatti, se i morti non
risuscitano, neppure Cristo è risuscitato. E se Cristo non è risuscitato, la vostra fede è un’illusione, e
voi siete ancora nei vostri peccati. E anche i credenti in Cristo, che sono
morti, sono perduti. Ma se abbiamo sperato in Cristo solamente per questa vita,
noi siamo i più infelici di tutti gli uomini. [1Cor 12-19]
e c’è questa narrazione
sul Risorto:
Otto giorni dopo, i discepoli erano di nuovo lì, e c’era anche
Tommaso con loro. Le porte erano chiuse. Gesù venne, si fermò in piedi in mezzo
a loro e li salutò: «La pace sia con voi». Poi disse a Tommaso: — Metti qui il dito e guarda le mani;
accosta la mano e tocca il mio fianco. Non essere incredulo, ma credente!
Tommaso gli rispose: — Mio Signore e mio Dio! Gesù gli disse: — Tu hai creduto
perché hai visto; beati quelli che hanno creduto senza aver visto! [Gv 20,26-29].
Ma le difficoltà del
credere furono chiare anche al Maestro, come risulta dalla parabola dell’uomo
ricco e il povero Lazzaro:
«Ma il ricco disse ancora: — Ti supplico, padre Abramo, almeno
manda Lazzaro nella casa di mio padre. Ho cinque fratelli e vorrei che Lazzaro li convincesse a non
venire anche loro in questo luogo di tormenti. «Abramo gli rispose: — I tuoi
fratelli hanno la legge di Mosè e gli scritti dei *profeti. Li ascoltino! «Ma
il ricco replicò: — No, ti supplico, padre Abramo! Se qualcuno dei morti andrà
da loro cambieranno modo di vivere. «Alla fine Abramo gli disse: — Se non ascoltano le parole di
Mosè e dei profeti non si lasceranno convincere neppure se uno risorge dai
morti». [Lc
16,27-31]
Non
si tratta tanto di comprendere la possibilità di una sopravvivenza oltre la nostra fine personale, il che ci è
impossibile e possiamo solo sperarla, quindi la nostra vita terrena, fisica,
quando finirà, a quel punto sarà veramente finita, ma di una unione con il
Creatore, o anche un ritorno a lui e in lui, se consideriamo questa vita come
un esilio da lui. Questa è la vita oltre la vita. E’ vita nell’Altissimo.
Dopo
la sua morte sulla croce, il Maestro non rimase a lungo fra noi, tornò al Padre, si insegna. La Pasqua
cristiana vuole rassicurarci che in quel modo aprì una via per tutti noi, a
ciascuno di noi, personalmente. Intanto ci ha aperto anche la via per essere
diversi in questa vita e, in questo senso, ci ha salvati. Dell’al di là abbiamo solo narrazioni più o meno mitiche,
ma l’inferno lo sperimentiamo già in questa vita, sappiamo bene com’è, è vivere
secondo la nostra natura che ci viene da antiche belve. Vivere invece da
cristiani è bello, molto bello. Ci eleva al di sopra della spietata natura
dalla quale biologicamente discendiamo e della quale pure siamo fatti. In
questo senso vivere da cristiani è soprannaturale,
sebbene si rimanga pur sempre viventi naturali, quindi soggetti al processo
biologico che richiede il succedersi delle generazioni per mantenere la vita
della specie e dunque, la morte di chi è nato, dopo la generazione di nuovi
nati. Questo soprannaturale è
sperimentabile e può essere descritto come una unione con il Creatore, ciò
che, ad esempio, si cerca di manifestare e di vivere nell’Eucaristia. Non è
solo interiorità, perché cambia il modo
in cui viviamo in società e dunque è anche un modo per cambiare la
società intorno a noi, non solo un modo di vederla con altri occhi. Se due o
tre riescono per un po’ a vivere così, ecco è già come se la nuova vita fosse
qui ed ora:
E ancora vi assicuro che se due di voi, in terra, si troveranno d’accordo
su quel che devono fare e chiederanno aiuto nella preghiera, il Padre mio che è
in cielo glielo concederà [Mt 18,19]
Le
teologie poi, sul tema della vita oltre
la vita, hanno costruito molto sopra e le loro costruzioni hanno certamente
anche connotati mitici e dunque veicolano significati che sono meno accessibili
agli umani contemporanei, non per quel loro carattere mitico, ma perché ora
circolano altri miti. Nelle nostre concezioni religiose i miti non sono l’essenziale,
anche se, come tutti i miti, certamente veicolano delle verità. La resurrezione,
però, nel suo significato della possibilità di una unione soprannaturale con l’Altissimo,
ciò che effettivamente possiamo già ora sperimentare, non è un mito, e se fosse
solo un mito come il passaggio prodigioso del Mar Rosso, saremmo perduti.
Ogni
età della vita ha il suo modo di vivere la fede cristiana, perché la nostra
fede è vita, e la vita ha le sue età. Io l’ho sperimentato e vedo che anche per
gli altri è lo stesso.
Quando ero bambino parlavo da bambino, come un
bambino pensavo e ragionavo. Da quando sono un uomo ho smesso di agire così.
[1Cor 13,11]
In
particolare, da anziani bisogna sforzarsi di concentrarsi sull’essenziale.
Nella mia visione, ve la propongo ma non ho titolo per accreditarla perché non
sono né dottore né pastore
e questi ministeri vanno presi sul serio, è quella possibilità di vivere già ora l’unione con l’Altissimo, unione con lui e
unione tra noi nel suo Nome. Per un anziano come me, non è più il momento di
dubitare su questo, perché il tempo è
poco. In questo le liturgie della Pasqua sono un aiuto potente. Quest’anno per
prudenza, essendo ben restaurato ma pur sempre fragile, me ne sono dovuto
astenere, però le seguo nella preghiera personale (questo Pensiero ripercorre quella di questa Settimana Santa) e domani
celebrerò comunque la nostra Pasqua, nell’attesa di quella mia personale.
Il mio
augurio a tutti, allora, è quello vivere,
in questa Pasqua, quella bellissima unione soprannaturale, fonte di vita nuova, perché “Cristo
è risorto, è veramente risorto”.
Buona Pasqua e pace a voi tutti.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San
Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli.