Ecologia integrale e pianificazione. Sullo spunto dell’intervento
del prof. Kevin Ahern, presidente internazionale di Pax Romana, sull’ecologia integrale alla 14° Assemblea nazionale del Movimento Ecclesiale di Impegno
Culturale, svolto il 16-4-21
[video su https://meic.net/2021/04/16/assemblea2021-diretta-prima-sessione/ ]
La necessità di fronteggiare la pandemia da Covid 19 con misure
politiche di pianificazione ha fatto emergere i problemi che ci sono sulla via
di quella che viene definita ecologia integrale.
L’ecologia è un complesso di scienze che studiano le interrelazioni tra
i viventi e l’ambiente e tra loro nell’ambiente di riferimento. Ma
definisce anche un orientamento culturale e politico secondo il quale la vita
delle specie si basa sul mantenimento di un certo equilibrio tra loro e con
l’ambiente di riferimento e vuole contrastarne con azioni collettive, sociali,
l’alterazione. La dimensione politica si fa fortissima quando si ritiene che
anche il destino dell’umanità come specie dipenda da un’ecologia di
mantenimento di un certo equilibrio nell’ambiente, perché questo richiede di
limitare lo sfruttamento delle risorse naturali, in tutti i sensi in cui le si può intendere, come
materie prime, spazi geografici, possibilità di disfarsi di sostanze nocive
derivate da attività produttive rilasciandole nell’ambiente, sfruttamento
industriale delle altre specie, produzione e impiego di energie che comportino
la creazione anche di sostanze nocive e
via dicendo, trattando ogni campo della antropizzazione,
che è il modificare l’ambiente di
riferimento per le esigenze umane. Si parla della nostra epoca come di antropocene, perché l’umanità si è
dimostrata capace di trasformare tanto significativamente l’ambiente di
riferimento da incidere sull’ecologia globale del pianeta.
Si parla di ecologia integrale intendendo un insieme di politiche che comporti
anche di incidere sulle strutture delle società umane, addirittura a livello
globale, in modo da renderle capaci di sviluppare politiche di equilibrio
ecologico che comprendano anche quella che storicamente è stata definita giustizia sociale, vale a dire una
distribuzione sociale delle ricchezze prodotte ispirata a criteri di
razionalità ecologica, nel senso di dare ad ogni persona almeno ciò che le è
indispensabile per sopravvivere e possibilmente anche ciò che, nella civiltà di
riferimento, viene considerato utile e necessario per la felicità,
cercando di contenere ogni eccesso. In
questo consiste la pianificazione,
che ideata storicamente dal socialismo marxista, tutti gli stati avanzati
adottano in forme più o meno intense. L’Italia, ad esempio, ha un tipo di
pianificazione della finanza pubblica definito dal Documento di economia e finanza - DEF progettato dal Governo,
approvato dal Parlamento con risoluzioni delle Camere e presentato alla
Commissione Europea e al Consiglio dell’Unione Europea, che sono organi di
pianificazione in sede europea. Poiché l’Italia ha un sistema economico
capitalista, la gran parte della pianificazione economica è lasciata alle imprese
che operano sul mercato, che la svolgono secondo criteri privatistici.
La progettazione, produzione, commercio,
distribuzione e somministrazione dei vaccini contro il virus SARS-Cov-2, responsabile della malattia Covid 19, è stata pianificata dalla maggior parte degli
stati del mondo.
In Occidente, che ha economie capitalistiche, i governi hanno concluso,
quando ancora si era a livello della ricerca scientifica e tecnologica, contratti di ingentissimo valore con le imprese
che apparivano di poter giungere allo sviluppo di vaccini, in sostanza
finanziandole massivamente per rendere più veloci i processi di ricerca,
sperimentazione e produzione, e ciò ancor prima, quindi, che i vaccini
potessero essere commercializzati, mettendo nel conto ingenti perdite nel caso
si fallisse. E’ divenuto molto evidente che gli stati nei cui territorio e
sotto la cui giurisdizione si trovavano le imprese produttrici sono stati
privilegiati al momento della commercializzazione. Questo è stato eclatante in particolare negli Stati Uniti d’America, in Gran Bretagna e nella Repubblica
popolare di Cina, che sono gli stati che sono più avanti nella vaccinazione
della popolazione. Questo risponde alla legge universale della socialità umana
secondo la quale la società, gruppo, centro di comando, persona, che raggiunge
il potere di accaparrarsi una risorsa scarsa certamente lo farà, nonostante i
suoi dichiarati principi umanitari, fino a quando non troverà un contropotere
capace di contrastare questa azione.
In Italia i vaccini sono distribuiti gratuitamente dal Sistema Nazionale
Sanitario. La Sanità è materia di competenza delle Regioni e lo Stato, in particolare nelle attività di prevenzione e cura delle
epidemie, ha compiti di pianificazione generale. Ricevuti i vaccini per la
distribuzione su base di pianificazione territoriale, le autorità sanitarie
regionali ne hanno programmato la somministrazione secondo vari criteri che,
con tutta evidenza, risentivano molto dell’azione di influenza politica dei
gruppi che avevano prevalso nel controllo del governo regionale. C’è stata,
però, a questo punto, l’interferenza del governo nazionale che ha agito come
contropotere che validamente si è contrapposto all’eclettica pianificazione
regionale. Va detto che, a questi livelli, l’azione pubblica è completamente tracciabile
e quindi ricostruibile a posteriori, è infatti un’attività ad evidenza pubblica e già questo
costituisce una remora all’appropriazione egoistica della risorsa scarsa
costituita dai vaccini, che giungono all’Italia in misura insufficiente a coprire
le esigenze programmate per raggiungere velocemente un elevato livello di
immunizzazione della popolazione, intorno al 60% delle persone.
Nell’attività di somministrazione in sede locale si sono verificati i
problemi più grossi. La risorsa era scarsa, i criteri di priorità c’erano, concordati
tra Regioni e Governo nazionale, ma, una volta che gli operatori hanno avuto la
disponibilità del farmaco sono stati tentati dall’azzardo morale di
accaparrarselo a beneficio di amici e familiari, non trovando un contropotere
valido. Quest’ultimo era costituito dalle attività di polizia giudiziaria e
amministrativa che però di solito riescono a individuare un numero molto
limitato di abusi. Una parte degli operatori tentati hanno ceduto alla
tentazione, confidando nell’inefficacia investigativa e della repressione.
Questo accadde, su scala molto più larga, in tutte le economie di orientamento
socialista e populista, costituendo la principale causa del fallimento di quei
regimi, che finirono per impoverire la generalità della popolazione. In una
pianificazione economica generalizzata gestita da un regime autoritario o
addirittura totalitario si arricchiscono i pianificatori e tutti coloro ai
quali è affidata la distribuzione di una risorsa scarsa, che se ne
impadroniscono nel proprio interesse.
Un regime economico di libero mercato è più efficiente sotto questo
aspetto, perché ogni operatore ha il potere di verificare personalmente l’equilibrio
concordato contrattualmente dello scambio. Tuttavia nel regime capitalista ogni
impresa pianifica la sua attività nel tentativo di demolire la quota di mercato
della concorrenza e, se non trova un sufficiente contropotere, in particolare
nelle altre imprese o in autorità regolatrici che impediscano di controllare in
tal modo l’intero mercato, certamente vi riuscirà e condurrà a termine questo
proposito senza alcuno scrupolo morale, nonostante i suoi costi sociali, ad
esempio in termini di disoccupazione.
La pianificazione economica fu ideata dal socialismo marxista quale
sostituto del criterio di distribuzione di risorse basato sui rapporti di
classe, che determina inevitabilmente l’impoverimento della maggioranza e l’arricchimento
di chi riesce a controllare produzione e commercio. Tuttavia essa non ebbe mai
successo, se condotta con criterio autoritario o totalitario, perché in questo
modo si limitò a sostituire la classe privilegiata, che da quella dei
capitalisti passò ad essere quella dei pianificatori.
D’altra parte, la pianificazione pubblica esige di essere autoritativa,
perché ogni potere economico privato, potendo esimersene, quindi qualora non
sia obbligato ad adeguarvisi, certamente se ne esimerà, e comunque cercherà di esimersene
con metodi fraudolenti o elusivi, confidando di non essere sanzionato.
Solo qualora un potere economico trovi un contropotere della stessa
natura in grado di opporglisi cercherà una transazione, un accordo. Che è come
dire che la possibilità di un accordo consegue solo alla possibilità di un
conflitto in cui nessuno dei contendenti sia certo di vincere, anche alla
lunga.
Questo problema non è ben trattato dai teorici
dell’ecologia integrale. Quest’ultima
si prefigge di raggiungere un equilibrio non distruttivo mediante accordi a vari livelli, fino ad arrivare a quello internazionale, ma
questo risultato, gli accordi, non si può ottenere se non generando
contropoteri sociali in grado di opporsi ad ogni altro potere, senza però che
riescano a prevalere definitivamente, con il che si avrebbe un regime
autoritario che squilibrerebbe il sistema. Insomma, per raggiungere gli scopi
di un’ecologia integrale occorre mantenere in tensione i sistemi
sociali, mantenendo le situazioni di conflitto, quindi suscitando contropoteri
verso i poteri che si vogliono contenere, ma in modo che ogni potere ne risulti
limitato senza la possibilità di dominio incontrastato, compreso il potere
pubblico degli stati e delle organizzazioni regolatrici internazionali. La pace attraverso il conflitto controllato:
questo storicamente si è rivelata l’unica
via valida alla giustizia sociale. Di fatto la situazione di notevole incremento
di benessere sociale che si ebbe tra gli anni ’50 e gli anni ’70 fu ottenuta in
Occidente proprio su queste basi, inculturando il metodo della pianificazione
economica nei principi delle democrazie avanzate del secondo dopoguerra, che
sono quelle piene di diritti sociali,
vale a dire del riconoscimento di pretese pubbliche giuridicamente azionabili
da parte delle singole persone appartenenti alle classi che di solito avevano
avuto la peggio nei regimi capitalistici del passato, in particolare quella dei
lavoratori dipendenti, dipendenti dal capitalista per il loro sostentamento. Come
hanno rilevato gli specialisti di storia economica che se ne sono occupati, dagli
anni ’80 la situazione politica in Occidente è cambiata, con conseguente
progressiva rimozione dei contropoteri sociali al capitalismo privato, con
conseguente inevitabile impoverimento delle classi che erano risultate
subalterne, ciò che viene di solito espresso come aumento delle diseguaglianze sociali. Su questo scenario si è
abbattuta la pandemia di Covid 19 che
ha fatto risaltare particolarmente i danni che quelle politiche avevano
provocato, a cui si è cercato frettolosamente di porre rimedio. Si è visto, in
particolare, che gli stati e le unioni di stati hanno pochi strumenti per
riuscire a pianificare le attività, essenziali per la salute pubblica, delle
multinazionali del farmaco, che, non trovando efficienti contropoteri e
sfruttando le rivalità e gli egoismi nazionali, hanno pianificato nel proprio
esclusivo interesse economico. Così come si è avuto la riprova che, ogni qual
volta la distribuzione di una risorsa scarsa sia fatta a discrezione di un’autorità
pubblica, a prescindere da scambi contrattualizzati, l’azzardo morale porterà
all’appropriazione arbitraria da parte degli operatori di quell’autorità di una quota di quella risorsa, non trovando quel potere un valido contropotere, ad
esempio nei pazienti, che si presentano come semplicemente sottomessi a quel
potere sanitario e spesso trovano più vantaggioso trattare privatamente con chi ha abusato della risorsa, per accaparrarsela a loro volta.
Nelle economie sociali di mercato europee il problema è stato parzialmente risolto realizzando forme di redistribuzione sociale delle ricchezze con lo strumento fiscale, drenando risorse dalle classi dominanti in favore delle classi sfavorite e dando così a queste ultime i mezzi per trattare contrattualmente l’acquisto di risorse scarse. Questo sistema si è rivelato più efficiente di quello della distribuzione autoritativa di risorse scarse praticate nei regimi socialisti e populisti. Dagli anni ’80, tuttavia le ideologie di pianificazione che hanno prevalso in Occidente sono state nel senso di ridurre la pressione fiscale, nel presupposto, rimasto indimostrato e anzi smentito dalla realtà, che arricchendo i capitalisti questo avrebbe intensificato la produzione e il commercio recando beneficio anche alle classi di popolazione sfavorite, sia aumentando il gettito fiscale, sia aumentando l’occupazione. In realtà queste politiche si sono accompagnato ad un atteggiamento riduzionista della pressione fiscale, con diminuzione della quota del gettito redistribuibile, i capitalisti hanno delocalizzato la produzione in Oriente per lucrare sul minore costo del lavoro, con pesanti riflessi sull’occupazione, hanno protetto i propri ricavi finanziari trasferendoli nei cosiddetti “paradisi fiscali”, ed infine hanno manovrato per ridurre la concorrenza per avere il potere di “fare” il prezzo. L’unico elemento incomprimibile viene ritenuto, secondo questa mentalità, il profitto del capitalista.
Può una rete di movimenti di ispirazione religiosa, ad esempio di quelli
federati in Pax Romana tra i quali il MEIC, costituire un
contropotere valido per riequilibrare in senso ecologico i sistemi sociali? Può
essere tale la Chiesa cattolica nel suo complesso o addirittura un’intesa fra
varie confessioni religiose a livello mondiale? Papa Francesco ha operato per
realizzare qualcosa di simile: vedremo che risultati potranno essere ottenuti.
Osserviamo, per inciso, che le organizzazioni ecclesiastiche, a partire dalla Santa Sede, protetta dallo scudo della Città del Vaticano, nell’amministrazione dei loro ingenti patrimoni mobiliari e immobiliari appaiono adeguarsi alle regole spietate del capitalismo neo-liberista contemporaneo.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San
Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli.