Come siamo popolo?
(il post è dopo l'avviso per la riunione di domani)
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Sabato 10 Ottobre, ore 17
1° riunione
nell’anno associativo 2020/2021 del gruppo AC San Clemente, in parrocchia,
nella sala rossa
E’ da
febbraio che non ci incontriamo di persona. L’evoluzione della pandemia di
Covid 19, che comunque è ancora in atto e nel Lazio sta peggiorando, ci
consente di riprendere a vederci.
Ricorderemo il nostro caro Ciccio, proiettando due brevi filmati di lui
nel gruppo.
Vedremo
poi un filmato in cui mons. Gualtiero Sigismondi, Assistente ecclesiastico
generale, ci presenterà il Vangelo del prossimo anno liturgico.
Infine
saremo invitati a presentare brevemente una esperienza significativa vissuta
durante i mesi del lockdown.
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Bisognerà
indossare correttamente la mascherina facciale, rispettare un distanziamento
minimo di due metri, igienizzarsi le mani, prima di sedersi, con l’apposito
disinfettante che metteremo a disposizione. Bisognerà evitare di venire a) se
si hanno la febbre o sintomi respiratori, in particolare la tosse e l’impulso a
sternutire; b) se nelle ultime due settimane si è stati, per più di quindici
minuti, vicini a persone poi risultate contagiate; c) se, comunque, si hanno
altri motivi di sospettare di essere stati contagiati.
Sintomi frequenti di
possibile contagio da Covid 19 sono: febbre oltre i 37,5%, tosse insistente,
congiuntivite, perdita del gusto, affanno respiratorio insorto di recente,
sensazione di grande spossatezza. Basta che se ne abbia uno solo per sospettare
di essere stati contagiati, con la conseguente necessità di ridurre i contatti
personali fino ad accertamenti sanitari che lo escludano.
Ricordiamoci che la vita delle persone è più importante della pratica
liturgica o associativa.
Come fu
scritto nell’enciclica Il Vangelo della
vita, diffusa nel 1995 sotto l’autorità
del papa Giovanni Paolo 2°:
« Il Vangelo della vita sta al cuore del messaggio
di Gesù. Accolto dalla Chiesa ogni giorno con amore, esso va annunciato con
coraggiosa fedeltà come buona novella agli uomini di ogni epoca e cultura.
[La vita terrena è] realtà sacra che ci viene affidata perché la custodiamo con senso di
responsabilità e la portiamo a perfezione nell'amore e nel dono di noi stessi a
Dio e ai fratelli.
Il Vangelo dell'amore di Dio per l'uomo, il Vangelo della dignità della
persona e il Vangelo della vita sono un unico e indivisibile Vangelo.»
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Per richiedere altre informazioni e per
comunicazioni inviare una email a
mario.ardigo@acsanclemente.net
Come siamo popolo?
“Come siamo popolo?” è in tema dell’incontro che avremo in Meet
il prossimo 17 ottobre alle 17.
Si invece fosse stato “Che cos’è il
popolo?” ognuno avrebbe potuto sfruttare le risorse di conoscenze di una
vita e tutto sarebbe stato più semplice. Dare una definizione consente di agganciarsi a una tradizione
e quest’ultima è ritenuta, in genere, uno degli elementi culturali che rendono
riconoscibile un popolo, insieme alla lingua, al modo di vestirsi, ad altre
abitudini quotidiane piuttosto diffuse e a un modo di immaginare il proprio
passato comune e i legami con esso. E questo, naturalmente, sempre però tenendo
conto che quando usiamo la parola popolo non vi viene in mente nessuna
persona particolare o nessun gruppo di persone specifiche, perché ce ne
serviamo proprio per indicare una massa di gente che non ci è nota nelle
individualità particolari e personali che la compongono. Il nostro gruppo
parrocchiale di Azione Cattolica, ad esempio, è una piccola società, ma non ci
serviremmo della parola popolo per descriverla. Questo perché ci
conosciamo tutti personalmente, per nome. Se, invece, parlassimo della
parrocchia, anch’essa una piccola società ma di dimensioni più grandi di quelle che
consentono una conoscenza personale, potremmo anche riferirci a chi la
frequenta come a un popolo. Nel codice di diritto canonico del 1917 si
parlava di popolo come della porzione
di una popolazione assegnata ad una
Diocesi e a quella sua parte territoriale che era considerata la
parrocchia. In quello attualmente
vigente la parrocchia viene invece definita come una
determinata comunità di fedeli che viene costituita stabilmente nell'àmbito di
una Chiesa particolare, la cui cura pastorale è affidata, sotto l'autorità del
Vescovo diocesano, ad un parroco quale suo proprio pastore. La differente definizione, come spiegato nel capitolo 4
del libro di Repole sull’ecclesiologia di papa Francesco che ho sintetizzato
ieri, dipende dall’idea della Chiesa come popolo di Dio deliberata
durante il Concilio Vaticano 2° (1962-1965). Che c’è in fondo di diverso? C’è
che un popolo può essere tale
anche solo perché sottomesso ad
un certo potere, mentre da una comunità ci si aspetta un ruolo più attivo.
Quest’idea di comunità
attiva c’è anche nel concetto di popolo di una repubblica, che si ha quando il
potere pubblico è diffuso in vari centri di deliberazione, ciascuno in
relazione con altri e con limiti precisi a ciò che può decidere, viene
esercitato nell’interesse della generalità secondo ragionevolezza, quindi in
modo non arbitrario, e la gente è in
qualche modo, con qualche procedura, chiamata a dare un contributo decisionale
ed è effettivamente in grado di
darlo. Questa partecipazione agli affari
pubblici è definita come dovere civico, nel senso esercitarla obbliga in
coscienza e fa parte dell’etica pubblica.
Però, nel definire repubblica
si usa anche il concetto di popolo,
per dire che la gente non è in mani altrui, né è sottomessa ad interessi
particolari e, questo significato, si contrappone ai sovrani del passato, vale a dire a quelle autorità
pubbliche, in genere tali per diritto ereditario dinastico, che avevano il
popolo in proprie mani e nel proprio interesse e rifiutavano di riconoscere
autorità superiori alla propria.. Infine la parola popolo viene spesa anche per spiegare come tutti coloro
che sono riconosciuti cittadini, anche
le persone non titolari di una qualche altra investitura o ufficio possano
partecipare comunque al governo, con certe procedure, e, allora, in questo
senso, popolo si contrappone alle altre autorità pubbliche.
Nello sviluppo delle concezioni repubblicane si è affermata l’idea che anche
il popolo, nell’esercizio dei suoi poteri-doveri di partecipazione al
governo degli affari pubblici incontri dei limiti nei principio umanitari
fondamentali: è il caso della nostra Costituzione, dove si legge, all’art.1, 2°
comma, che «la
sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della
Costituzione». La sovranità
significa non ammettere nessun
potere sopra il proprio e, quindi, non ammette limiti. Una sovranità limitata non è più sovranità.
Nelle repubbliche avanzate non si ammette più alcuna arbitrarietà nell’esercizio
dei poteri pubblici, quali essi siano, anche posti al massimo livello.
La nostra Chiesa, dal
punto di vista istituzionale, è una autocrazia feudale. La sua struttura di
potere, per quanto più volte riformata e soprattutto dopo il Concilio Vaticano
2° è essenzialmente un’eredità di una lunga tradizione che risale all’Undicesimo
secolo. La reale globalizzazione ecclesiastica l’ha resa piuttosto obsoleta, in
particolare in relazione alle idee di Popolo di Dio e di comunità di fedeli derivate dai deliberati di quel Concilio. Fino
alla metà del secolo scorso seguì le linee della colonizzazione europea del
mondo: erano gli europei a dettare legge al mondo nelle cose di fede. Ora la
nostra Chiesa è molto cambiata e si è sviluppata una reale autonomia di molte
Conferenze episcopali nazionali (non quella italiana, tuttavia, molto legata
per ragioni storiche al Papato romano). Questo processo si è manifestato in modo spettacolare nell’America
Latina e papa Francesco, da vescovo, ne è stato uno dei protagonisti, in particolare
a partire dalla Conferenza generale svoltasi nel 2007 ad Aparecida, in Brasile.
Il trapasso da un modo di
essere popolo, nel senso di gente assegnata al potere di un certa autorità, a quello di popolo
in quanto comunità di fedeli è tuttora in corso e
non è facile. In particolare perché quella di Popolo di Dio è un’idea universale di popolo, priva di connotati culturali a
parte quelli religiosi, mentre nella concezione di popolo corrente la religione è solo una delle caratteristiche culturali che, nell’insieme,
definiscono ciò che in una determinata
regione e in un determinato tempo si intende per popolo. Fatalmente le
due diverse modalità di essere popolo entrano in conflitto, perché la fede ci spinge
ad essere missionari, quindi a oltrepassare i nostri confini culturali,
ma così facendo ci stacchiamo inevitabilmente dalle culture in cui siamo
inclusi. Papa Francesco, sulla base dell’esperienza latino-americana propone un
modo di essere popolo che non
significhi ripudiare le proprie culture di origine, che definiscono,
includono ma anche limitano.
Al tempo in cui il popolo della Chiesa era considerato l’insieme dei fedeli soggetti all’autorità del Papa le cose erano più semplici. Perché, poi, storicamente si era diventati capaci di distinguere giuridicamente il potere del Papa, sovrano nel suo ordine, da quello degli stati, anch’essi sovrani nel proprio, e di distinguere i doveri che derivavano dalla sottomissione al Papa, da quelli che conseguivano all’essere sudditi di uno stato. C’era una sorta di condominio sul popolo, che quando si riusciva ad ottenere, veniva regolato con particolari tipi di trattati chiamati Concordati. Ora le cose si complicano perché tutto viene fatto partire dalle comunità di fedeli, soggetti attivi che, contemporaneamente e senza possibilità di divisione, sono anche parte delle altre comunità che reggono gli stati, liberati dai sovrani del passato. La conciliazione non può più essere affidata a Concordati che vedano i cittadini-fedeli in posizione passiva, ma attraversa le coscienze delle persone, le quali, dunque, devono cominciare con il chiedersi come sono popolo.
Mario
Ardigò - Azione Cattolica in San
Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli.