Problemi di costruzione ecclesiale
Ogni
generazione, e dunque anche quelle viventi oggi in Italia, ha avuto il problema
di costruire una propria religiosità, a partire dalla tradizione ricevuta dal
passato. Nessuna persona è capace di inventare
una fede e una corrispondente religione: questo perché la religione è un
fatto culturale, e dunque sociale. Non si parte mai dal nulla. E, tuttavia, ciò
che si è ricevuto, lo si modifica e quello che si tramanda alle nuove
generazioni non è mai uguale a quello che si è ricevuto. Studiando la storia
delle religioni ce se ne può convincere abbastanza presto. Dunque, l’immagine
di un deposito di fede che deve passare intatto di generazione in
generazione è fuorviante, anche se esprime la realtà del carattere culturale della
religiosità e dunque del collegamento con quella appresa e, in tal modo, ricevuta.
A lungo i cristiani furono ossessionati dalla pretesa di mantenere l’identità del deposito di fede, mentre
ora si parla piuttosto di integrità. Si è infatti accettata
l’idea che in religione vi siano
elementi culturali legati a certe epoche storiche e altri che, anche se
espressi in modi che variano, rimangono caratteristici e quindi non mutano. La
concezione del cambiamento come peccato contro la divinità costituisce un
retaggio culturale dell’antico ebraismo, dal quale i cristianesimi presero a
separarsi nel corso del Primo secolo. Se fosse stata meno forte nelle questioni
ecclesiali, probabilmente la storia dei cristianesimi sarebbe stata meno
cruenta. Sebbene si cerchi sempre di collegarsi alle origini, è un bene che ai
tempi nostri la si pensi diversamente: questa è la base del processo ecumenico,
che ebbe una forte espansione durante il Novecento, in particolare, nella
Chiesa cattolica, negli scorsi anni ’50.
Ora che in molti sentiamo l’esigenza di una riforma ecclesiale e ci sentiamo anche impegnati a parteciparvi e
a impersonarla, la questione dell’integrità
nella fede ricevuta, e quindi
dell’individuazione di ciò che può cambiare senza lederla, è di grande
attualità.
La nostra Chiesa è organizzata secondo strutture che, nei principi
fondamentali che le reggono, non sono molto cambiate dall’Undicesimo secolo. La
nostra è ancora, in fondo, la Chiesa del Secondo Millennio: quella del Primo
Millennio fu molto diversa. Nel Primo millennio, poi, bisogna distinguere le
Chiese delle origini, vale a dire quelle del Primo secolo, da quelle dei
successivi tre secoli e poi quelle dei rimanenti secoli del Millennio, quando
il cristianesimo divenne la base di una nuova ideologia politica dell’Impero
romano. La necessità di una riforma fu avvertita ed espressa con molta
chiarezza e forza in particolare dal papa Karol Wojtyla, regnante come Giovanni
Paolo 2°, dal 1978 al 2005. Dopo il regno del papa Joseph Ratzinger, Benedetto
16°, dal 2005 al 2013, nel quale si fu più attenti al rinnovamento spirituale
come base per dinamiche ecclesiali più virtuose, il tema è ora al centro del
magistero di papa Francesco, ma in un modo nuovo, per cui i processi di riforma
dovrebbero partire dalle esperienze delle comunità periferiche, non dall’alto,
né dalle singole persone, secondo l’esperienza fatta nelle Chiese Latino-americane
a partire dagli anni Cinquanta.
La sua lunga storia istituzionale pesa sulla Chiesa cattolica, così come
la necessità di amministrare ingenti patrimoni accumulati nei secoli e
addirittura una specie di stato su uno dei colli di Roma, la cui proprietà e condizione
giuridica fu negoziata con Benito Mussolini come parte del prezzo per deporre l’ostinato
astio derivato dal compimento dell’unità nazionale italiana, con la conquista
di Roma nel 1870. Benché il diritto canonico e la teologia ci si provino, è piuttosto arduo convincersi che tutto ciò rientri veramente in ciò che è
necessario mantenere per l’integrità del deposito di fede. Ma, al tempo stesso,
tutto ciò si è talmente fuso con quello che realmente la costituisce che appare
complicato scindere i lasciti culturali inessenziali da ciò che
invece non lo è, così come in un bel castello di carte da gioco è difficile
estrarre una delle carte che lo compongono senza demolire tutto, e questo anche
se si capisce che, costruendolo, si è andati un bel po’ avanti rispetto all’originaria
struttura composta da due carte appoggiate l’uno all’altra, a formare una
casetta stilizzata, l’essenziale.
E non è detto che in
questo lavoro aiuti la grande cultura. E’
stato scritto che il fatto di essere stata promossa da un professore di
teologia non ha fatto tanto bene alla grande Riforma religiosa avviata nel
Cinquecento. Un matematico come il gesuita Matteo Ricci, più o meno nella
stessa epoca, ci riuscì meglio, ma, bisogna dire, con risultati meno duraturi. Nella
costruzione sociale occorre molto pragmatismo e una certa capacità di aderenza
alla realtà. Nella matematica e nelle scienze che ne fanno applicazione nello
studio della realtà naturale e per la progettazione su di essa, l’immaginazione
che c’è nella matematica viene messa alla prova della vera realtà e questo
aiuta. Nella filosofia, e ancor più nella teologia, questo può a volte essere
trascurato, con conseguenze spiacevoli quando si cerca di forzare certe
concezioni dentro il mondo come veramente è, società e natura.
Dunque, anche avviare processi di riforma in una realtà sociale tutto
sommato piccola come una parrocchia può risultare macchinoso, perché, innanzi
tutto, c’è di mezzo il diritto, e quindi l’istituzione, le cellule di quell’obsoleta
organizzazione feudale che ordina chi comanda e chi non, poi c’è l’ordinaria
amministrazione di proprietà immobiliare e di denaro che entra, che, come
sempre in materia di ricchezza, può far gola agli ambiziosi, c’è una certa
mitologia immaginata per dare l’idea del raccordo tra Cielo e Terra secondo la
rappresentazione bucolica del Pastore con le sue greggi, e in base ad essa
queste ultime non avrebbero titolo ad aver voce in capitolo, e infine ci sono
diversi modi di immaginare l’essere Chiesa diffusi tra la gente, per cui ognuno
si sente a suo agio nel proprio, diffida di quelli altrui, tutti diffidano del
nuovo, e, insomma, ci si guarda tutti piuttosto sospettosi e critici. Mia
madre, a lungo molto addentro alla vita della nostra parrocchia, mi diceva che
piccoli cambiamento potevano suscitare risentimenti inestinguibili, ad esempio,
mi raccontava, il fatto che una persona e non l’altra fosse incaricata da un
certo momento in poi della raccolta della offerte a messa.
Ogni volta che si sperimenta qualcosa di
nuovo, c’è un flusso di persone che va a lamentarsi dal parroco: se non trovano
ascolta scrivono al vescovo, il cui ufficio è inondato costantemente da questa sciocca
spazzatura generalmente a sfondo calunnioso, che difficilmente i suoi
collaboratori riescono a fronteggiare, e mai a far cessare.
In questa situazione, come cominciare?
Beh, direi, innanzi tutto, armandosi di molta pazienza.
Il suocero di mio fratello, un alto magistrato molto colto,
nel tempo libero costruiva dei modelli di vascelli, addirittura in una
bottiglia. Un lavoro che richiede una pazienza estrema, una costante e
pervicace applicazione, la capacità di non demordere mai di fronte all’insuccesso.
Ma che mirabili risultati! Un esercizio che torna utile, come tirocinio, nella prassi giuridica, in cui, trovandosi ad
operare sulla realtà sociale per scoprirvi la normazione che la pervade e
mettere un po’ d’ordine tra i rissanti, bisogna praticare le medesime virtù.
Penso che non sia male prendere esempio dalla prima comunità raccolta
intorno al Maestro, nella quale, di fronte ad antiche istituzioni religiose
ricevute dal passato, si iniziò un processo di riforma partendo da una delle
periferie dell’epoca, la Galilea delle
genti. Per approfondire il tema, l’ex assistente ecclesiastico del mio
gruppo della FUCI, gli universitari cattolici, qualche anno fa mi consigliò di
leggere di Gerhard Lohfink, Gesù come
voleva la sua comunità - la Chiesa quale
dovrebbe essere, Edizioni San Paolo, tuttora in commercio nella riedizione
del 2015 ad €13,78.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San
Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli