(Il post è dopo il messaggio informativo sulla riunione in Meet)
dal Monitoraggio settimanale Covid-19 dell’Istituto Superiore di Sanità, report 28 settembre - 4 ottobre 2020
"È essenziale evitare eventi ed
iniziative a rischio aggregazione in luoghi pubblici e privati ed è
obbligatorio adottare con consapevolezza comportamenti individuali rigorosi al
fine di limitare il rischio di trasmissione per evitare un ulteriore e più rapido
peggioramento dell’epidemia."
E' possibile che sia necessario sospendere nuovamente il programma delle nostre riunioni in presenza, in parrocchia. I soci che non accederanno alle riunioni in Meet
verranno così tagliati fuori dalle nostre attività, salvo che per la lettera mensile. Coraggio, dunque! Anche i più anziani mi comunichino amario.ardigo@acsanclemente.net
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Domani, sabato 17 ottobre, ore 17, 1° riunione in Meet
del gruppo Ac San Clemente, sul tema "Come siamo popolo" - Per partecipare richiedere il codice di accesso a:
mario.ardigo@acsanclemente.net
indicando la email con cui ci si è registrati in Google (la registrazione è indispensabile)
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Il mito guelfo
Nel Basso Medioevo,
fino al Trecento, in Italia il partito guelfo
era la fazione che sosteneva il
potere temporale del Papato romano contro il dominio degli imperatori germanici.
Durante il processo di unificazione nazionale italiana, conclusosi il 20 Settembre 1870 con la conquista militare
di Roma e l’abbattimento del regno del Papa nell’Italia centrale, il prete e
politico irredentista Vincenzo Gioberti (1801-1852) nel libro Il
primato morale e civile degli italiani (1842) teorizzò l’unificazione
politica degli stati in cui all’epoca l’Italia era divisa in una confederazione
sotto la presidenza del Papa, quindi un movimento neo-guelfo. In una prima
fase del suo regno (1846-1878), il papa Giovanni Maria Battista Mastai Ferretti
- Pio 9°, sembrò assecondarlo, ma poi si ritrasse e l’unificazione nazionale
lo ebbe come nemico. Egli fu, nel 1870, tra i sovrani italiani sconfitti dal
movimento irredentista sorretto dall’espansionismo del Regno di Sardegna
dominato dalla monarchia Savoia, trasformatosi nel 1861 in Regno d’Italia. Quest’ultimo nel 1848 era diventato una monarchia
costituzionale, con una Camera dei deputati elettiva. Anche il Papato nel 1848
aveva concesso uno Statuto, che lo
trasformava in una monarchia costituzionale; tuttavia dopo la breve rivoluzione
repubblicana tra il 1849 e il 1850, esso
fu di fatto superato. Da quel momento il Papato romano ebbe orientamento
politico marcatamente antidemocratico, che iniziò ad essere superato solo dal 1939 con il regno del papa Eugenio Pacelli - Pio 12°, in un processo che
finora ha avuto il suo punto più avanzato nel 1991, con l’enciclica Il Centenario - Centesimus annus del papa Karol Wojtyla - Giovanni Paolo 2° (nell’anniversario dei cento anni dalla
prima enciclica sociale, la Le novità - Rerum Novarum deliberata dal
papa Vincenzo Gioacchino Pecci - Leone
13°). Sotto certi profili il magistero politico del papa Jorge Mario Bergoglio
- Francesco segna un arretramento.
Il
neo-guelfismo faceva forza su un’asserita caratterizzazione cattolica del popolo italiano e dell’Italia come nazione. Essa inglobava anche la soggezione etica e culturale al
magistero del Papa. In questo ordine di idee, la religione cattolica veniva
presentata come fattore di unità.
Nell’aspro conflitto politico con il Regno d’Italia seguito alla
soppressione, mediante conquista militare, dello Stato pontificio, il Papato riprese quell’idea, costruendovi sopra
un’ideologia che fu imposta ai cattolici italiani a giustificazione del rifiuto
della democrazia liberale del nuovo stato unitario nazionale italiano. Essi
dovettero essere intransigenti con le autorità pubbliche italiane: da qui la
denominazione di intransigentismo dato a quell’orientamento politico. Lo stato
democratico liberale veniva presentato come estraneo alla tradizione culturale italiana, quindi come un usurpatore nei confronti del
popolo italiano fedele al Papato. Questo indirizzo spinse poi
il Papato nel 1929 a concludere una serie di accordi con il Regno d’Italia al
tempo in cui era stato soggiogato dal fascismo mussoliniano, i Patti Lateranensi, sostanzialmente
sconfessando il movimento democratico di ispirazione cristiana guidato dal
prete don Luigi Sturzo, dal 1919, sotto la denominazione di Partito Popolare. Lo Sturzo fu indotto nel
1924 ad allontanarsi dall’Italia e dalla direzione del partito, per andare in
Inghilterra, e ciò per non ostacolare gli approcci che si stavano intavolando
tra la Curia pontificia e i fascisti mussoliniani. Bisogna anche ricordare che
il papa Leone 13°, con l’enciclica del 1901 Le
gravi dispute sugli affari sociali - Graves de communi re, aveva
sconfessato l’idea di una democrazia
cristiana, vale a dire di un movimento democratico ispirato ai valori
cristiani. Nel 1909 il suo successore Giuseppe Sarto - Pio 10° giunse a
scomunicare il prete Romolo Murri, uno dei principali esponenti del movimento
della democrazia cristiana.
Scrive lo storico Guido Formigoni nel libro Alla prova della democrazia - Chiea, cattolici e modernità nell’Italia
del ‘900, Il Margine, 2008:
«Studiando l’approccio del mondo cattolico italiano all’idea
di nazione e ai miti nazionali tra Otto e Novecento, colpisce una sorta di
onnivora cultura “guelfa”, che valorizzava fortemente l’idea e il mito
nazionale alla luce delle sue radici “cattoliche”. Esistenza
e sviluppo della nazione italiana venivano infatti largamente
interpretati, per un lungo periodo di tempo, mettendo l’accento sui legami
costitutivi tra fede e civiltà. L’Italia era “nazione cattolica” per
eccellenza: questo elemento culturale e naturalmente anche “ideologico” (in
quanto si trattava di una interpretazione della realtà con caratteri
prescrittivi e operativi) correva in modo amplissimo lungo tutta questa storia.
Si verificò un processo di commistione tra universo religioso e universo
nazionale quasi sorprendente per la sua tempistica originaria, la sua rapidità
e la sua pervasività. La forma largamente prevalente di questo incontro fu
l’alone incredibilmente vasto lasciato dietro di sé dal neoguelfismo giobertiano,
che fu rapidamente sconfitto ed
emarginato come progetto politico specifico di risoluzione della questione
nazionale italiana (la proposta di una confederazione presieduta dal Papa degli
antichi Stati italiani, riformati in senso moderatamente liberale), ma ebbe
invece un successo duraturo e profondo sotto un altro profilo, definendo il
terreno culturale su cui consolidare l’approccio cattolico al tema nazionale.
Gioberti non inventava radicalmente nulla, ma sistematizzava una serie di
elementi diffusi nella cultura cattolica
del tempo con significati anche diversi, dando loro una forma sintetica
decisamente evocativa e notevolmente efficace.
L’idea centrale era quella di collocare il
principio forte di identità dell’Italia come nazione nel suo intreccio storico
con il Papato, data la presenza a Roma della sede di Pietro. Di qui derivava il
carattere “cattolico” dell’Italia: una nazione particolare al servizio diretto
di un’idea universale. Questo legame fondava contemporaneamente una tradizione
e anche una “missione” nazionale (secondo il consueto schema di pensiero ottocentesco) attribuendo
all’Italia addirittura una funzione “sacerdotale” nei confronti della civiltà
universale e per questo un indubbio ruolo centrale tra le nazioni. Si trattava
appunto del cosiddetto “primato” morale e civile degli italiani.
[…]
Per gli intransigenti, insomma, il guelfismo era un modo per conciliare
un senso radicato della particolarità nazionale e una religiosità dal carattere
universale.
[…]
Non è quindi per scarso senso della nazione che non si sono
poste le premesse per una Chiesa
italiana fin dall’Ottocento, ma per questa esigenza di unità della Chiesa che
attribuiva una particolare curvatura alla cultura cattolica nazionale.
[…]
Su questo troncone, anche i primi
“cattolico-sociali” - a partire dagli
anni ’80 dell’800 - si impegnarono a cercare un rinnovamento dei rapporti
sociali, pensato esattamente come “restaurazione dell’ordine cristiano”,
conseguenza diretta dell’essere l’Italia una “nazione cattolica”.
Il guelfismo del nascente “contro-mondo”
cattolico sociale offrì così occasioni di una diversa cittadinanza nazionale a
generazioni di ceti medi popolari che sentivano lontana la pedagogia patriottica dello Stato
unitario. Diede un senso di identità “moderno”
e non più solo reazionario al movimento
che cominciava a organizzare le plebi
cattoliche in chiave antiliberale.
[…]
Questo cangiante guelfismo riemerse nel primo
movimento democratico-cristiano, innervando il tentativo di approdare sul
terreno costituzionale compiuto dalla giovane generazione intransigente, con un
programma ormai pienamente “politico” e “partitico” di emancipazione e
sollevamento delle masse popolari, che assumeva caratteri indubbiamente moderni
e si inalveava con decisione nello stato nazionale. Da Meda a Murri, gli
accenti in questo senso erano analoghi, pur non impedendo questa convergenza le
note rilevanti differenziazioni e fratture politiche nei percorsi dei diversi
protagonisti.
[…]
Proprio in Italia, la fine dello stato liberale
[con l’avvento di quello fascista] apriva uno spazio nuovo per questa
impostazione: nasceva l’opportunità di costruire un nuovo ruolo della Chiesa,
nella competizione per guidare il
processo di nazionalizzazione delle masse, e quindi anche di saldare un nuovo
possibile incontro tra Stato e nazione alla luce della religione,
scavalcando il terreno della politica,
che veniva definitivamente marginalizzato nella visione del papa. Non a caso,
infatti, la parabola del Partito popolare italiano si chiuse senza sostanziale
rammarico negli ambienti curiali. La Conciliazione del 1929 fu largamente
presentata come inveramento finale dell’antica visone guelfa della nazionalità,
conservata viva nei decenni precedenti come un sogno.»
Nel magistero sociale e politico di papa Francesco si colgono marcati accenti neo-
guelfi, nel senso sopra indicato, nei quali però, poiché egli proviene da un altro
mondo sociale, vale a dire l’America Latina, una dimensione continentale
immensa a confronto con quella italiana,
il nazionalismo e l’idea di popolo
sono estesi ad ogni cultura popolare caratterizzata in senso religioso, addirittura anche non cristiana, avendo come controparte l’ideologia
democratica liberale, vista come espressione di egoismo e di colonizzazione culturale.
Ad esempio, a fronte delle 58 volte che nell’enciclica Fratelli tutti (ottobre 2020) [sostanzialmente un riepilogo
del magistero politico sviluppato dal
Papa negli anni scorsi], viene citato il
popolo, la parola democrazia compare solo 4 volte e sempre in contesti che
ne evidenziano la crisi o, comunque, i lati negativi.
«14[…] Che cosa significano oggi alcune espressioni come democrazia,
libertà, giustizia, unità? Sono state manipolate e deformate per utilizzarle
come strumenti di dominio, come titoli vuoti di contenuto che possono servire
per giustificare qualsiasi azione.
110. […] Il fatto è che «la semplice proclamazione della libertà
economica, quando però le condizioni reali impediscono che molti possano
accedervi realmente, e quando si riduce l’accesso al lavoro, diventa un
discorso contraddittorio». Parole come
libertà, democrazia o fraternità si svuotano di senso.
156. Negli ultimi anni l’espressione “populismo” o “populista” ha
invaso i mezzi di comunicazione e il linguaggio in generale. Così essa perde il
valore che potrebbe possedere e diventa una delle polarità della società
divisa. Ciò è arrivato al punto di pretendere di classificare tutte le persone,
i gruppi, le società e i governi a partire da una divisione binaria: “populista”
o “non populista”. Ormai non è possibile che qualcuno si esprima su qualsiasi
tema senza che tentino di classificarlo in uno di questi due poli, o per
screditarlo ingiustamente o per esaltarlo in maniera esagerata.
157. La pretesa di porre il populismo
come chiave di lettura della realtà sociale contiene un altro punto debole: il
fatto che ignora la legittimità della nozione di popolo. Il tentativo di far
sparire dal linguaggio tale categoria potrebbe portare a eliminare la parola
stessa “democrazia” (“governo del popolo”).
169. […] Benché diano fastidio,
benché alcuni “pensatori” non sappiano come classificarli, bisogna avere il
coraggio di riconoscere che senza di loro [ movimenti popolari che
aggregano disoccupati, lavoratori precari e informali e tanti altri che non
rientrano facilmente nei canali già stabiliti]«la democrazia si atrofizza,
diventa un nominalismo, una formalità, perde rappresentatività, va
disincarnandosi perché lascia fuori il popolo nella sua lotta quotidiana per la
dignità, nella costruzione del suo destino»portare a eliminare la parola
stessa “democrazia” (“governo del popolo”). »
Ora, bisogna considerare che i cristiani
democratici europei hanno costruito storicamente un processo di unificazione
continentale intorno ad un’idea di giustizia sociale che ha compreso anche i
valori democratici: in quest’ottica non
vi è vera giustizia sociale se non è realizzata secondo valori e procedure democratici, in essi
compreso il valore della laicità delle istituzioni pubbliche che significa una
loro desacralizzazione, per cui nessuna decisione può essere sottratta alla
negoziazione democratica. Questi processi democratici sono poi rifluiti
negli ambienti religiosi, in particolare con la richiesta di democratizzazione
delle obsolete strutture sacrali di governo della Chiesa cattolica. Ebbene,
questo non si rinviene nel magistero di papa Francesco ed è una delle ragioni
di una certa presa di distanza del cattolicesimo italiano dal suo pensiero. Per
i cattolici italiani, infatti, protagonisti della costruzione della nuova
Repubblica democratica popolare italiana e dell’Unione Europea, la democrazia
è una irrinunciabile, faticosa, contrastata e non ancora compiutamente
raggiunta, conquista culturale.
Mario
Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro Valli.