Ripubblico il documento con la sintesi completa del libro di Roberto Repole sull’ecclesiologia di papa Francesco
La teologia di papa
Francesco
-
Il sogno di una Chiesa
evangelica
(presentazione del libro di Roberto Repole)
1. Tempo
fa si accesero aspre polemiche intorno
alla presentazione di una collana di libri divulgativi pubblicati dalla
Libreria Editrice Vaticana sulla teologia di papa Francesco, con il titolo La
teologia di papa Francesco. Era stata resa pubblica una lettera del Papa
emerito Joseph Ratzinger, eminente teologo, nella quale la si apprezzava,
sostenendo che era da stolti dire che Papa Francesco fosse privo di formazione
teologica o filosofica. Proseguendo, parlava dei volumi della collana come di libretti e conteneva riserve verso uno degli autori,
con il quale il Ratzinger era stato in passato in disaccordo su questioni
teologiche. Il Papa emerito dichiarava di non aver potuto ancora leggere i
testi, per le sue condizioni di salute e per precedenti impegni. In ciò si è
voluta vedere una presa di distanza dalle posizioni teologiche di Papa
Francesco.
In
effetti si tratta proprio di libretti,
nel senso di volumi di piccolo formato, tascabili. Una persona se li può portare con sé durante
il giorno e leggerli nei ritagli di tempo, ad esempio in metropolitana.
Parlano della teologia di papa Francesco, ma non sono libri di teologia.
Non sono rivolti agli studiosi di teologia, ma ad un pubblico colto di non
specialisti. Possono essere compresi da chi ha fatto le superiori o, comunque,
si sente in grado di leggere tutte le parti di un quotidiano.
Che
cos’è la teologia?
Può
essere intesa come disciplina scientifica: la riflessione con metodo rigoroso,
quindi sistematico e conseguente alla premesse, sulla fede della Chiesa. Si è
riconosciuti come teologi dopo aver seguito un percorso di formazione specifico
ed aver dimostrato di saper ragionare con quel metodo. Un teologo deve innanzi
tutto essere istruito sulle Scritture, conoscere tutto il pensiero di fede
espresso sul settore specialistico a cui si è dedicato ed essere
sufficientemente informato su pensiero espresso negli altri settori. Questo
modo di procedere non è diverso da quello di altri campi della scienza.
Può
essere però essere intesa anche come il
complesso delle convinzioni di fede di una persona o di un determinato gruppo
di fedeli. Allora esprime il modo in cui quella persona o quel gruppo dicono e
vivono la loro fede religiosa. Ogni credente ha quindi una propria teologia.
Quando si parla di teologia di un Papa è questo il senso che si utilizza.
Nel
presentare la collana, il teologo Roberto Repole ha ricordato che i Papi in
maggioranza non sono stati teologi di professione, vale a dire scienziati della
teologia. Il caso del Ratzinger è un’eccezione. Tuttavia essi, come tutti i
preti, hanno avuto una formazione teologica approfondita. Hanno saputo
esprimere la loro fede in termini teologici, che troviamo utilizzati nei loro
documenti ufficiali, ad esempio nelle encicliche, che contengono leggi per la
Chiesa. I Papi si avvalgono della collaborazione di teologi di professione,
come di altri scienziati di varie discipline, ma hanno una loro teologia, nel
senso di concezioni e progetti di fede.
Anche il Ratzinger, durante il suo ministero pontificio, ha scritto
libri divulgativi in cui ha parlato anche di teologia ai non teologi di
professione. Si tratta dei testi su Gesù
di Nazareth, che io ho letto e che consiglio a tutti di leggere.
Contengono, tra l’altro, molta della teologia di Ratzinger come papa Benedetto
16°, intesa come convinzioni e programmi riguardanti la fede e la Chiesa, non
come studio scientifico su certi temi.
C’è
una continuità tra la teologia di papa Francesco e quella di papa Benedetto
16°, come è stato sostenuto e alcuni dubitano? Come potrebbe non esservi? Per
tanto tempo hanno collaborato negli
stessi ambienti di capi religiosi: il collegio cardinalizio e il sinodo
dei vescovi. Sono quasi coetanei. Papa Francesco ha studiato anche in Germania:
è probabile che abbia accostato anche testi di Ratzinger come teologo. Poi ha
sicuramente studiato quelli firmati dal Ratzinger come Papa, come tutti noi. Lo
scienziato di teologia Ratzinger e il
Ratzinger come Papa hanno sicuramente influito sulla teologia di Papa
Francesco. Ci sono, però, in quest’ultima elementi di novità.
Alcuni sono portati ad apprezzare le novità, altri le temono. Conoscendo
meglio la teologia di papa Francesco si può arrivare a capire che i timori sono
ingiustificati. La novità, infatti, è
l’accentuazione e lo sviluppo del tema del Vangelo della misericordia, come
fonte e criterio di riforma ecclesiale.
Ci
sono, nella teologia espressa da papa Francesco, elementi di novità. Alcuni li
apprezzano, altri li temono. Conoscendo
meglio la teologia di papa Francesco si può arrivare a capire che i timori sono
ingiustificati. La novità, infatti, è
l’accentuazione e lo sviluppo del tema del Vangelo della misericordia, come
fonte e criterio di riforma ecclesiale.
Ma vi è anche la ripresa dell’immagine della Chiesa come popolo di Dio proposta in modo
innovativo dal Concilio Vaticano 2°.
Propongo una sintesi del volume della collana dedicato all’ecclesiologia
dei Papa Francesco, vale a dire su come il Papa pensa la Chiesa, le sue
prospettive, le riforme necessarie. Questo per invogliare ad approfondire mediante
la lettura integrale del testo.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San
Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli
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Roberto Repole, Il sogno di una Chiesa evangelica. L’ecclesiologia
di papa Francesco, Libreria editrice Vaticana, 2017, €12.00
Sintesi
nota: il testo è tratto dal volume. Gli elementi di raccordo tra
parentesi quadre sono inseriti da chi ha estratto la sintesi.
Sintesi di Mario Ardigò
Prefazione alla collana
Il
pontificato di Francesco [si presenta] all’insegno di una novità di stile. In
questi anni, l’immagine del papato ne [è] uscita decisamente trasformata.
Ciò - com’era prevedibile- ha ingenerato
pareri anche molto discordanti tra loro. Alcuni [sono] giunti a mettere in
forse l’esistenza stessa di una teologia nell’insegnamento di Francesco.
Bergoglio ha alle spalle, soprattutto e primariamente, la lunga e
radicale esperienza del religioso e del pastore. Ciò non significa, però, che
il suo magistero sia privo di teologia.
Avvalendosi della competenza e dello studio rigoroso di teologi
provenienti da diversi contesti e dalla serietà ormai assodata, si è inteso ricercare quale sia il pensiero teologico
che supporta l’insegnamento del Papa. Il risultato è racchiuso negli 11 volumi
che vengono a formare la collana dal titolo semplice e immediato: “La teologia
di papa Francesco”.
L’intento non è di tipo apologetico [=di difesa degli orientamenti del
Papa], [ma] di cercare di vedere e di aiutare a vedere quale sia il pensiero
teologico su cui si basa Francesco.
Nell’insegnamento di Francesco appare ormai come un punto di non ritorno ciò
che tanto la teologia recente quanto il magistero conciliare [=del
Concilio Vaticano 2° (1962-1965)] hanno insegnato: che la dottrina, cioè, non è né può essere
qualcosa di estraneo rispetto alla cosiddetta pastorale. La teologia non potrà
mai ridursi ad un asettico esercizio da tavolino, sganciato dalla vita del
popolo di Dio.
Prologo. Per custodire e far crescere un sogno
Ai
suoi primordi la Chiesa ha potuto “prendere il largo” grazie a un sogno. In una
visione, confina con un sogno, Pietro comprende come la Chiesa non possa essere
circoscritta al gruppo dei giudeo-cristiani, ma sia invece destinata a tutti (leggi
At 10). Alla comunità cristiana primitiva diverrà sempre più evidente che anche
i pagani dovranno essere accolti nell’unità della Chiesa. La Chiesa non [è] una
conventicola o una setta destinata ad alcuni, ma [rappresenta], al contrario,
luogo di riconciliazione dell’umanità intera. [Fu] una conversione dello stesso
Pietro e della comunità cristiana delle origini. [Nella] sua bimillenaria
storia, la Chiesa ha sempre avuto bisogno di cristiane e di cristiani capaci di
riattivare quello stesso sogno.
[Nell’esortazione
apostolica La gioia del Vangelo -
Evangelii Gaudium, il Papa ha
scritto:] “Sogno una Chiesa missionaria
capace di trasformare ogni cosa”. [E
nel 2015, all’incontro con i rappresentanti del 5° Convegno della Chiesa
italiana, ha detto:] “Mi piace una Chiesa
inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti.
Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà”.
Il sogno di papa Francesco è in fondo molto
semplice e proprio per questo piuttosto spiazzante: si potrebbe in modo
immediato affermare che si tratti del sogno
di una Chiesa evangelica. Di una
Chiesa capace di confrontare costantemente se stessa, la sua vita, le sue
scelte e le sue strutture con la freschezza del Vangelo. L’aggettivo “inquieta” è tutt’altro che peregrino
al fine di esprimerne la costituzione. Si tratta dell’inquietudine di chi ha
un’ “identità aperta” e “relazionale” in diverse direzioni; è l’inquietudine
che, in definitiva, deriva alla Chiesa dal suo essere al servizio [del] Signore
del cosmo e di tutti gli uomini.
[Nel
magistero di papa Francesco], ci si trova alle prese con una nuova recezione
dell’insegnamento ecclesiologico [=sulla Chiesa] espresso dal Vaticano 2° [=il
Concilio Vaticano 2° (1962-1965].
Francesco è il primo papa [dopo il Concilio Vaticano 2°] che non ha
preso parte ai lavori conciliari. Egli è, però, pienamente figlio del Concilio
e del rinnovamento ecclesiale che da esso ha preso l’avvio. Ciò non significa che le prospettive offerte
da Francesco siano prive di una certa originalità. Esse portano l’eredità di
quella particolare versione della teologia latino-americana che va sotto il
nome di “teologia del popolo (di cui uno dei primi e più importanti esponenti
fu il pensatore italo-argentino Luciano Gera, 1924-2012).
Con
Francesco la recezione del Concilio entra in una fase nuova. Il fatto che ci
sia un papa proveniente dall’America Latina, che possa far tesoro dell’esperienza d quella Chiesa oltre che
dell’elaborazione teologica lì sviluppatasi, è giù un primo frutto del Concilio
se è vero che uno degli aspetti di maggiore novità del Vaticano 2° consiste in
una chiesa divenuta mondiale. Una chiara prospettiva ecclesiologica è rinvenibile nel suo insegnamento.
Capitolo 1°
Il primato del Vangelo
Il
modo con cui Francesco afferma che il centro della Chiesa non è la Chiesa è di
richiamare che essa deve se stessa al
Vangelo che è, etimologicamente [=la parola viene dal greco antico e significa buona notizia], fonte di gioia per gli
uomini.
Non
esiste la Chiesa se non come frutto del Vangelo. La gioia del Vangelo riempie
il cuore e la vita di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano
salvare da lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore,
dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia. L’affermazione della resurrezione di Cristo
non è l’asserzione di un evento passato, ma del fatto che Egli continua ad
essere vivo nello Spirito. Incontrare il Risorto significa, per i cristiani,
una relazione viva che perdura.
Una
novità di accento con cui Francesco esprime [il] primato di Dio sulla Chiesa è
data dalla centralità che nel suo insegnamento esprime il “Vangelo della
misericordia”. Per Francesco, la
misericordia non è un aspetto accessorio: essa esprime qualcosa di fondamentale
del volto di Dio che si è rivelato compiutamente in Cristo. Bergoglio,
rifacendosi a Beda il Venerabile [monaco inglese dell’8° secolo], scelse come
motto episcopale Miserando atque eligendo
(«Mentre ha guardato me con gli occhi della misericordia, egli mi ha
scelto»). Con la misericordia si esprime qualcosa di centrale del Vangelo
riassumibile in Cristo. Francesco asserisce infatti che, a partire
dall’atteggiamento e dalla prassi di Gesù in quanto rivelativa di Dio, si può
affermare che la misericordia è la carte d’identità del nostro Dio. Entrare in
contatto con la Persona di Cristo, in cui è sintetizzabile il Vangelo,
significa essere messi in relazione con il Dio che ha cuore per i miseri,
specialmente con quanto sono afflitti da quella singolare miseria che è il
peccato.
La
misericordia è per il Papa il nucleo del Vangelo e della nostra fede, la forza
che tutto vince, che riempie il cuore di amore e che consola con il perdono.
L’ultimo Concilio, riconsiderando lo “statuto”
della verità cristiana, ha permesso di evidenziare come si tratti di una verità
che coinvolge l’uomo: non agisce dal di fuori. [Questa convinzione] nel
magistero di Francesco trova un nuovo sviluppo. Il Vangelo non [è] riducibile a
“dottrina”. Dio [incontra] gli uomini nella diversità delle loro culture e li
afferra nella singolarità della loro vita e della loro situazione esistenziale;
l’incontro [implica] il libero assenso dell’uomo. Il Vangelo consiste
nell’amore misericordioso di Dio, non è pensabile ridurlo ad “idea astratta” o
a “dottrina”. Le formule [della dottrina] non possono rappresentare un pretesto
per oscurare la verità del Vangelo della misericordia. [Esse] sono vere nella loro finitudine e nel
loro essere sempre necessariamente “figlie” di un determinato contesto. Sono
perciò sempre definitive e provvisorie
al tempo stesso. Non possono
costituire un divieto allo sforzo di esprimere in altri modi quella medesima
verità. [Altrimenti] si potrebbe arrivare alla situazione paradossale di
sentire un linguaggio formalmente ortodosso che non indirizza al vero Vangelo
di Cristo.
«La
predica cristiana - [sostiene il Papa] - trova nel cuore della cultura del
popolo una fonte d’acqua viva, sia per sapere che cosa dire, sia per trovare il
modo appropriato per dirlo».
[Ad
esempio], esiste un inequivocabile Vangelo della famiglia. Esso è, però, tale, quando raggiunge le famiglie
nelle loro concrete situazioni esistenziali. [È], per questo, indispensabile un
costante discernimento e accompagnamento, affinché ciascuno sia aiutato a
trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale. Nessuno può
essere condannato per sempre - sostiene il Papa - perché questo non è la logica
del Vangelo, riferendosi a tutti, in qualunque situazione si trovino.
La
misericordia è una meta da raggiungere e che richiede impegno e sacrificio, [Il
Papa fa] una netta distinzione tra peccatori
e corrotti. Mentre i primi si sentono
costantemente bisognosi della
Misericordia Divina e sanno di doversi percepire in cammino, in stato di
costante conversione, i secondi si auto-giustificano ed arrivano a non
avvertire nemmeno più il senso del peccato. La misericordia, pur essendo
gratuita, va a buon fine laddove incontra degli uomini che, nella loro libertà,
si lasciano toccare da Cristo e si convertono.
Soltanto una Chies realmente evangelica può
consentire al Vangelo di continuare la sua strada nel mondo. [E] il Vangelo
della misericordia può continuare a toccare le donne e gli uomini solo
attraverso il servizio della Chiesa. In quest’orizzonte si deve inquadrare la
preoccupazione di Francesco per una riforma della Chiesa, per una Chiesa povera
per i poveri, per una Chiesa misericordiosa. [La riforma] non si esaurisce
nell’ennesimo paino per cambiare le strutture.
Solo una Chiesa povera e indirizzata
anzitutto ai poveri, agli emarginati, agli esclusi, agli scartati dalla
società può farsi, infatti, trasparenza di quel Cristo nel quale si condensa tutto il Vangelo di
Dio. [Ciò era stato] già messo in evidenza nel fondamentale paragrafo 3 [ del
n.8 della Costituzione dogmatica Luce per
le genti - Lumen gentium]:
Come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e
le persecuzioni, così pure la Chiesa e chiamata a prendere la stessa via per
comunicare agli uomini i frutti della salvezza. Gesù Cristo « che era di
condizione divina... spogliò se stesso, prendendo la condizione di schiavo »
(Fil 2,6-7) e per noi « da ricco che era si fece povero » (2 Cor 8,9): così
anche la Chiesa, quantunque per compiere la sua missione abbia bisogno di mezzi
umani, non è costituita per cercare la gloria terrena, bensì per diffondere,
anche col suo esempio, l'umiltà e l'abnegazione. Come Cristo infatti è stato
inviato dal Padre « ad annunciare la buona novella ai poveri, a guarire quei
che hanno il cuore contrito » (Lc 4,18), « a cercare e salvare ciò che era
perduto» (Lc 19,10), così pure la Chiesa circonda d'affettuosa cura quanti sono
afflitti dalla umana debolezza, anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti
l'immagine del suo fondatore, povero e sofferente, si fa premura di sollevarne
la indigenza e in loro cerca di servire il Cristo. Ma mentre Cristo, « santo,
innocente, immacolato » (Eb 7,26), non conobbe il peccato (cfr. 2 Cor 5,21) e
venne solo allo scopo di espiare i peccati del popolo (cfr. Eb 2,17), la
Chiesa, che comprende nel suo seno peccatori ed è perciò santa e insieme sempre
bisognosa di purificazione, avanza continuamente per il cammino della penitenza
e del rinnovamento. La Chiesa « prosegue il suo pellegrinaggio fra le
persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio » , annunziando la passione e
la morte del Signore fino a che egli venga (cfr. 1 Cor 11,26). Dalla virtù del
Signore risuscitato trae la forza per vincere con pazienza e amore le afflizioni
e le difficoltà, che le vengono sia dal di dentro che dal di fuori, e per
svelare in mezzo al mondo, con fedeltà, anche se non perfettamente, il mistero
di lui, fino a che alla fine dei tempi esso sarà manifestato nella pienezza
della luce.
Non è
certo casuale che il tema venga riproposto da un papa che proviene dall’America
Latina e da una Chiesa che in questi decenni lo ha recepito e sviluppato.
E’
per mezzo di una Chiesa misericordiosa che il Vangelo della misericordia può,
infatti, raggiungere l’umanità di oggi, ridivenendo udibile e “sperimentabile”
per le donne in carne ed ossa e dal di dentro delle loro situazioni di miseria
e di peccato,
Dice
il Papa: “ Sì io credo che questo sia il
tempo della misericordia. La Chiesa mostra il suo volto materno all’umanità
ferita”. [È] una delle metafore
preferite da Francesco, per parlare della Chiesa: quella materna. Francesco ha
espressamente riconosciuto un debito
teologico nei confronti del suo confratello gesuita Henri de Lubac [teologo
francese 1896-1991] (in particolare per la sua opera Méditation sur l’Èglise - Meditazione sulla Chiesa9, per il quale
tale immagine ha avuto un peso considerevole. L’immagine materna è utile per dire come sia per mezzo della
Chiesa che si viene generati, con il battesimo, alla via in Cristo; ed è solo
per suo tramite che si viene raggiunti dal Vangelo. Dal momento, poi, che il Vangelo è quello di
un Dio che ha cuore per le miserie dell’umanità, tale maternità si esprime
anche nell’agire misericordioso della Chiesa: dove per Chiesa si deve intendere
la totalità dei cristiani.
È
attraverso i sacramenti, l’annuncio del Vangelo, l’esistenza stessa di tutti i
cristiani, la loro compassione e il loro chinarsi sulle ferite dell’umanità,
che il Vangelo continua ad essere udibile e vivo nel mondo. È, dunque, la
maternità della Chiesa che consente di rimettere al centro la questione di Dio;
non un “Dio qualunque”, ma il Dio che ha a cuore e si prende cura di un’umanità
misera e peccatrica.
Si
tratta di una realtà di cui, nonostante le apparenze, l’umanità contemporanea
ha, secondo il Papa, una sete infinita.
**********************************
Capitolo 2°
Il “santo popolo fedele di Dio”
Se
ci si domanda a chi si riferisca Francesco quando parla di Chiesa, la risposta
appare nitida: al santo popolo di Dio.
La
categoria più importante con cui li [Concilio] Vaticano 2° ha parlato della Chiesa è stata quella del
popolo di Dio.
Con
l’intenzione di arginare un’interpretazione sociologica e democratizzante del
popolo di Dio, il Sinodo dei Vescovi del 1985 affermò che idea centrale e
fondamentale dei documenti conciliari è
stata l’ecclesiologia di comunione (1). [Ciò] servì a chiarificare che quanto
sta a fondamento della Chiesa è la comunione con Dio.
Uno
degli effetti di questa nuova fase di recezione e di interpretazione del Concilio fu, però, anche quello di far
cadere il sospetto sulla categoria [di popolo di Dio], con il pericoloso
conseguente di mettere in primo piano una visione di Chiesa nella quale l’idea
di comunione può facilmente indurre o a una eccessiva spiritualizzazione o a un
eccessivo giuridicismo.
L’immagine
della Chiesa che mi piace - ha affermato - è quella del santo popolo fedele di
Dio. Non c’è identità piena senza appartenere a un popolo. Nessuno si salva da
solo, come individuo isolato. Il popolo
è soggetto. E la Chiesa è il popolo di Dio in cammino nella storia, con
gioia e dolori.
[da A. Spadaro, Intervista a papa Francesco,
pubblicata su Civiltà Cattolica, 19-8-2013]
Nell’insegnamento di Francesco vengono nuovamente valorizzati, occorre
menzionare, anzitutto il fatto che con la Chiesa si manifesta l’intenzione di
Dio di salvare gli uomini non
individualmente ma in quanto
appartenenti al suo popolo. In un mondo
occidentale come quello contemporaneo, l’individuo si percepisce [invece]
sganciato da ogni vincolo o legame e quale soggetto di diritti infiniti.
Considerare la Chiesa quale popolo di Dio permette, poi, di mettere maggiore evidenza
la sua destinazione universale. Una delle preoccupazioni più vive di
Francesco è che la Chiesa rimanga aperta
a tutti, che chiunque vi si possa sentire chiamato, che ciascuno vi si possa
sentire a casa. Questa universalità [è] connessa con l’idea di una Chiesa
misericordiosa, dove tutti possano trovare ospitalità. Esiste, infatti, un
nesso intrinseco tra questa universalità e la misericordia - di Dio prima e
della Chiesa di conseguenza - che permette di mettere in primo piano i più
lontani, i poveri e i peccatori; soltanto quando siano raggiunti anche loro, si
può realizzare una reale universalità; quest’ultima non si può mai costituire,
al contrario, partendo dai “più vicini”.
Egli è il primo papa proveniente dall’America Latina e con lui le
periferie del sud del mondo vengono
collocate al centro della Chiesa. L’America Latina è, infatti, «il
subcontinente più diseguale e segnato dall’inequità - dice il teologo argentino
Galli -, il che interpella la coscienza cristiana. In esso si sovrappongono la
povertà e il cristianesimo: molti vivono la povertà a partire dalla propria
fede e tutti dobbiamo vivere la fede per superare la povertà ingiusta.
L’opzione per i poveri e la religione cattolica popolare segnano la fisionomia
di una Chiesa dei poveri».
L’aspetto inequivocabilmente più importane consegnato da un’ecclesiologia
del popolo di Dio è, però quello della pari dignità e della corresponsabilità
di tutti i cristiani. Il soggetto evangelizzatore non può essere solo qualcuno,
ma tutti il popolo di Dio e, dunque, tutti i cristiani.
Dice
Francesco:
«Tutti facciamo
il nostro ingresso nella Chiesa da laici. Il primo sacramento è il Battesimo.
Ci fa bene ricordare che la Chiesa non è un’élite dei sacerdoti, dei
consacrati, dei vescovi, ma che tutti formiamo il santo popolo fedele di Dio».
Ciò
non toglie né sminuisce, naturalmente, il senso e l’importanza dei ministri
ordinati, [ma] essi sono dentro la Chiesa , a servizio del suo esistere: «Un pastore non si concepisce senza un
gregge, che è chiamato a servire. Il pastore è pastore di un popolo, e il
popolo lo serve dal di dentro».
Francesco dichiara di apprezzare la «santità quotidiana» di questo
popolo, quella riscontrabile in ogni soggetto ecclesiale in qualunque
situazione di vita. Dalla visione della Chiesa quale popolo di Dio, Francesco
[desume] una concezione “popolare” della Chiesa, per la quale la voce e
l’apporto di ciascuno sono realmente indispensabili e nessun gruppo - né di
chierici, né di laici - può avanzare la
pretesa di essere tutto o di sostituire gli altri. Tale prospettiva si traduce
nella visione di un popolo di Dio che è tale in forza di legami tra i
cristiani, come qualcosa di dato e al tempo stesso di perseguito, nella forza
dello Spirito Santo. Il Papa rintraccia
nella fraternità mistica la vera medicina contro la malattia
dell’individualismo:
«dal momento
che il modo di relazionarci con gli altri, che realmente ci risana invece di
farci ammalare, è una fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa
scoprire Dio in ogni essere umano, che sa sopportare le molestie del vivere
insieme aggrappandosi all’amore di Dio, che sa aprire il cuore all’amore divino
per cercare la felicità degli altri come la cerca il loro Padre buono».
note:
(1) Assemblea straordinaria del Sinodo dei
Vescovi del dicembre 1985 sul tema "20° anniversario della conclusione del
Concilio Vaticano II".
********Osservazioni mie**********
Un teologo si interesserà a rintracciare le vicende storiche della
teologia del popolo di Dio per cercare di fondarle rigorosamente nelle origini.
Una persona che voglia semplicemente rendere ragione della propria fede, una
volta acquisita consapevolezza dei riferimenti alle Scritture di tale pensiero,
noterà i suoi elementi pratici di novità rispetto ad un’immagine di Chiesa che
è ancora piuttosto radicata nella gente, quella che la presenta essenzialmente
come gente radunata intorno ai chierici e ai religiosi consacrati, Papa e
vescovi innanzi a tutti, gli elementi veramente caratterizzanti. Sempre
nell’esperienza pratica si renderà conto della difficoltà di costruire una
Chiesa di popolo sfrondata di tutti gli elementi culturali che di solito
definiscono dal punto di vista antropologico e sociologico il popolo, salvo che
di quello di origine teologica individuato nella misericordia reciproca.
Un’unità di popolo di tipo spirituale, mistica, quindi, mentre solitamente ci si riconosce in un
popolo in base alla condivisione di una certa cultura storicamente data. Ma la
visione universalistica del popolo di Dio, destinato a comprendere nell’unità
misericordiosa tutti i popoli della Terra, porta anche a superare,
relativizzandole, anche se non annullandole, tutte le culture che
caratterizzano quei popoli. E ciò mentre la religione popolare, quella ad esempio
centrata su certi santuari e feste locali, è fortemente legata a specifici
elementi culturali locali, spesso con una storia di commistioni tra elementi
religiosi e non e tra elementi religiosi di diversa origine, anche non
cristiana. Tra questi, i nazionalismi, legati all’idea di popolo come nazione, che si è sviluppata a partire
dall’Europa solo alla fine del Settecento.]
************************
Il
popolo di Dio è[…] immerso nella storia: da ciò e dal fatto di essere
universale consegue che esso non possa venir pensato al margine dei diversi
popoli che abitano la terra e delle loro culture.
[…]
La
Chiesa non si può esaurire evidentemente nei popoli e nelle loro culture; ciò
nondimeno, essa non può neppure esistere se non inculturata al loro interno e
in esse.
[…]
Il
Vaticano 2° è stato […] l’espressione di una Chiesa desiderosa di entrare
finalmente in dialogo con la cultura moderna, rispetto alla quale si erano da
secoli create abissali distanze. […] La fedeltà al Concilio [passa] perciò
anche per una Chiesa capace di inculturarsi e di inculturare il Vangelo di cui
vive nei diversi popoli e nelle loro culture.
[…]
Senza alcun dubbio tale “compito”, all’indomani del Concilio, è stato
assunto con generosità e creatività dalle Chiese latino-americane e, in un modo
peculiare, dalla Chiesa argentina. Ciò ha dato vita anche al rinnovamento
teologico avutosi con la cosiddetta teologia della liberazione e con la
versione tipicamente argentina di tale teologia, denominata “teologia del
popolo”. […] Essa si caratterizza per il fatto di considerare il popolo alla
luce della sua unità e interpreta,
pertanto, l’ingiustizia sociale come anti-popolo, […] non come classe
oppressa dal sistema capitalista, ma in una prospettiva socio-culturale, quale
soggetto di una storia e di una cultura comune; ed è ritenuto portatore di una
propria cultura, intesa come “stile di vita comune di un popolo”.[…] In
questa prospettiva teologica, il popolo di Dio […] è l’unico popolo di Dio, che
esiste però concretamente come abitato dalla pluralità dei popoli e delle
culture in cui vive.
«Questo popolo di Dio – dice infatti
Francesco - si incarna nei popoli
della Terra, ciascuno dei quali ha la propria cultura. La nozione di cultura è
uno strumento prezioso per comprendere le diverse espressioni della vita
cristiana presenti nel popolo di Dio. Si tratta dello stile di vita di una
determinata società, del modo peculiare che hanno i suoi membri di relazionarsi
tra loro, con le altre culture e con Dio. Intesa così, la cultura comprende la
totalità della vita di un popolo.» [dall’esortazione apostolica La gioia
del Vangelo (2013)
[…]
L’evangelizzazione [comporta] che si
incida e si trasfigurino le
culture. […] La visione di un popolo di Dio che vive nei diversi popoli
comporta, però, che non vi sia una cultura dentro cui si possa pensare di esaurire la Chiesa.
[…]
Una
tale prospettiva ecclesiologica […] risulta difatto critica rispetto ad una
visione che non implichi una reale pluralità e con la quale si finisce,
inesorabilmente, con il sacralizzare e con l’estendere a tutti i popoli una
unica cultura.
[Questa] teologia [comporta e invoca] una
riforma strutturale della [Chiesa], che preveda un reale superamento del
centralismo e favorisca, di conseguenza, una effettiva decentralizzazione.
[…]
Dice […] il Papa:
«in tutti i battezzati, dal primo
all’ultimo, opera la forza santificatrice dello Spirito che spinge ad
evangelizzare. Il popolo di Dio è santo in ragione di questa unzione che lo
rende infallibile “in credendo” [=nel credere].Questo significa che quando
crede non si sbaglia, anche se non trova parole per esprimere la sua fede.»
[…]
La
teologia argentina ha […] interpretato la pietà popolare come espressione del sensum
fidei fidelium [=il senso della fede dei fedeli]. […] La pietà popolare
deve essere vista, per Francesco, «come spiritualità incarnata nel cuore dei
semplici». [dall’esortazione apostolica La gioia del Vangelo, n.124. […] Nella pietà popolare è in
rilievo più lo slancio personale con cui
i credenti, specie i più poveri si abbandonano
filialmente a Dio, che non conoscenza credente di Dio e del suo piano
salvifico.
[…]
La
pietà popolare [è] vista da Francesco anche
come espressione dell’attività evangelizzatrice di tutti, a cominciare dai più semplici e più
poveri. Essa è uno dei modi attraverso cui i poveri non sono solo destinatari
del’attenzione ecclesiale, ma protagonisti della sua menzione.
[…]
La
pietà popolare può essere anche ciò che
rimane di un mondo assoggettato ad una logica strumentale ed una “via di fuga”
rispetto ad esso. E’ pertanto evidente, che in tale contesto la pietà popolare
più che l’espressione di una fede inculturata potrebbe essere
l’espressione di una fede marginalizzata.
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Capitolo 3°
Chiesa estroversa
Una Chiesa che esiste per gli altri
Il
cuore della proposta ecclesiologia di Francesco [è] la sua visione di una
Chiesa in uscita missionaria.
A dispetto
di una visione di Chiesa che poteva
ritenere la missione come qualcosa di già realizzato, l’ultimo Concilio [Il
Concilio Vaticano 2° - 1962/1965] [ha] offerto una lettura chiaramente
rinnovata, richiamando anzitutto come la Chiesa -il concreto popolo di Dio- sia
essa stessa il frutto della missione divina. La Chiesa rappresenta l’incipiente [=che
si trova nella prima fase di sviluppo] unificazione dell’umanità. La
fedeltà a tale origine non [può] che comportare, per la Chiesa, il suo essere
strutturalmente missionaria.
[Nei] Paesi di antica cristianità, si intravvedeva la necessità di
ri-evangelizzare categorie di persone
per le quali la Chiesa stava diventando sempre più estranea, una «rilettura del Vangelo alla luce della
cultura contemporanea» [da Intervista
a papa Francesco, di A.Spadaro]:
«Il Vaticano 2° è stato una rilettura del
Vangelo alla luce della cultura contemporanea. Ha prodotto un movimento di
rinnovamento che semplicemente viene dallo stesso Vangelo. I frutti sono
enormi. Basta ricordare la liturgia. Il lavoro della riforma liturgica è stato
un servizio al popolo come rilettura del Vangelo a partire da una situazione storica
concreta. Sì, ci sono linee di ermeneutica di continuità e di discontinuità,
tuttavia una cosa è chiara: la dinamica di lettura del Vangelo attualizzata
nell’oggi che è stata propria del concilio è assolutamente irreversibile.»
[da Intervista
a papa Francesco, di A.Spadaro, del 19 agosto 2013 che può essere letta sul
Web, alla pagina:
http://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2013/september/documents/papa-francesco_20130921_intervista-spadaro.html
[E ciò per capire che] l’unica missione [universale]
si [realizza] in modi diversi nei diversi contesti socio-antropologici.
[A questo proposito] merita una particolare
menzione [esortazione apostolica] Evangelii nuntiandi [L’impegno di annunziare il Vangelo - 1975] di Paolo 6°, a motivo che ebbe nella Chiesa latino-americana e
della forte rilevanza nel pensiero di Jorge Bergoglio. In America
Latina il tema è stato poi approfondito
e contestualizzato, come mostra una lettura del documento di Aparecida
[approvato al termine della Conferenza generale del CELAM - Consiglio episcopale Latino Americano,
svoltasi ad Aparecida (San Paolo - Brasile) nel 2007], alla cui
elaborazione contribuì in modo
determinante Bergogio e che, oggi confluisce nel magistero papale di Francesco.
E’ particolarmente pregnante, in tal senso,
quanto Francesco afferma agli inizi del primo capitolo [dell’esortazione
apostolica] Evangelii gaudium [=La gioia del Vangelo - 2013].
Dice:
«La
comunità evangelizzatrice sperimenta che il Signore ha preso l’iniziativa, l’ha
presieduta nell’amore (si legga 1 Gv 4,10), e, per questo essa sa fare il primo
passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani
e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi. Vive un
desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato
l’infinita misericordia del Padre e la sua forza di diffusione».
Ad essere missionario non è un qualche
soggetto ecclesiale, ma l’intera comunità, detta appunto «comunità
evangelizzante». E’, evidentemente, un aspetto connesso all’idea che la Chiesa
sia popolo di Dio. In tale orizzonte non si può ritenere che l’evangelizzazione
riguardi solo qualcuno. Non diciamo più che siamo “discepoli” e “missionari”,
ma che siamo sempre “discepoli-missionari”.
L’evangelizzazione non [può] risolversi in un
mero [=solo in un] annuncio verbale. Evangelizzazione e promozione umana se
sono, infatti, distinte, non possono essere viste come separate.
Basandosi sul magistero del suo predecessore,
Francesco invita perciò a considerare come la carità non sia estranea all’opera
di evangelizzazione della Chiesa. «Dal cuore del Vangelo - dice-
riconosciamo l’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana, che
deve chiaramente esprimersi e svilupparsi in tutta l’opera evangelizzatrice»
[esort.apost. La gioia del Vangelo n.178].
Il dovere che la Chiesa ha di chinarsi su
tutte le ferite dell’umanità e di operare perché nessuno possa risultare uno scarto non le deriva da
qualche forma di neutrale filantropia: è esigenza del Vangelo della
misericordia, che è chiamata ad annunciare.
[L’annuncio] non può essere ridotto
all’individuale rapporto del singolo con Dio o a qualcosa che rimandi ad un
aldilà che nulla avrebbe a che fare con l’aldiqua di una vita, spesso misera,
degli uomini. Il Vangelo implica il regnare di Dio nel mondo, permettendo così
che la vita sociale diventi «uno spazio di fraternità, di giustizia, di
pace, di dignità pe tutti»[esort.apost. La gioia del Vangelo n.180].
[Papa Francesco prende] le distanze da una
visione del cristianesimo che lo concepisca come religione che si occupa della sfera intima delle persone, senza
coinvolgere un impegno attivo e
trasfigurante della società umana e di tutte le sue istituzioni.
Una Chiesa [così,] in uscita missionaria,
comporta però una conversione pastorale[,per farne] un soggetto
collettivo strutturalmente dinamico. Ora non ci serve una “semplice
amministrazione”.
Sono diversi gli aspetti che si potrebbero
approfondire. Se ne segnalano quattro , particolarmente urgenti: la
ristrutturazione delle comunità cristiane sulla base della necessità di
annunciare il Vangelo a quanti non lo conoscono o ne hanno una percezione
errata; la costituzione di luoghi di autentica fraternità; la scelta
preferenziale dei giovani; il coinvolgimento reale e responsabile dei cristiani
laici.
Troppo spesso le comunità cristiane formatesi in regime di cristianità [sono]
ancora strutturate secondo l’ipotesi che tutti siano “normalmente cristiani”,
che la fede venga trasmessa nelle famiglie di provenienza, che la vita
cristiana possa contare sull’appoggio di
un contesto sociale che ne trasmette i valori. Molte delle energie sono,
perciò, spese per mantenere lo status quo [=l’ordine sociale vigente], e
restano, per conseguenza, poche risorse per annunciare il Vangelo a chi non ne
ha ricevuto l’annunzio o a quanti, per
diversi motivi, hanno una percezione distorta del Vangelo.
C’è l’esigenza che le comunità cristiane siano
luoghi in cui i cristiani possano confrontare la loro fede. E’ più necessario
che mai poter confrontare la propria fede con i compagni di credenza; così come
risulta indispensabile, a partire da
qui, vivere esperienze di autentica fraternità cristiana.
[Un’autentica scelta preferenziale per i
giovani dovrebbe condure, poi, a non
considerare] la condizione giovanile come una sorte di “malattia”, [cercando di
raggiungere i giovani] con eventi che distolgano dall’impegno di formare delle
coscienze, dal prendersi cura di una crescita e dal fare in modo che, nello
Spirito, Cristo raggiunga dei cuori e illumini dei volti.
Una conversione pastorale [deve] passare anche
e soprattutto per una de-clericalizzazione della Chiesa, che comporti il
riconoscimento effettivo dell’imprescindibile contributo di tutti i cristiani,
anzitutto ovviamente dei cristiani laici.
Francesco insiste sull’importanza di
recuperare il senso e la prassi di un protagonismo dei laici, [i quali] sono
semplicemente l’immensa maggioranza del Popolo di Dio. Al loro servizio c’è una
minoranza: i ministri ordinati. Ha detto Francesco: «Ricordo ora la famosa
frase “E’ l’ora dei laici”, ma sembra che l’orologio si sia fermato» [da:
papa Francesco, Il santo popolo fedele di Dio, articolo in Il Regno -
doc 2016/7]. Non si può pensare che esista una Chiesa ab intra [per
le azioni interne], appannaggio dei chierici, ed una chiesa ab extra [per
ciò che si fa nella società civile], appannaggio dei laici. Tutti sono
ugualmente appartenenti al popolo di Dio e responsabili della sua missione. La
Chiesa [esiste anche] per gli altri:
missionaria [e] chiamata ad abitare e trasfigurare la realtà di questo mondo.
Secondo Francesco [ciò che ha bloccato il protagonismo dei laici] è il fatto di
non essere stati formati a dovere, il fatto di non aver trovato spazi nelle
Chiese particolari, ma anche il fatto di essere stati chiamati ad assumere
spesso compiti intraecclesiali, a discapiti di un impegno di evangelizzazione
all’interno delle diverse realtà del
mondo. La Chiesa è già in uscita laddove
esistono laiche e laici che vivono e trasmettono il Vangelo nel mondo. La Chiesa esiste non soltanto nel momento del
suo raccogliersi, ma anche laddove, specie per la presenza di cristiani laici,
vive nelle realtà di questo mondo.
L’annuncio del Vangelo della misericordia
avviene sempre nell’incontro interpersonale. Esso implica una relazione e un
autentico incontro tra chi dona e chi lo riceve. Ed è in questo orizzonte che
occorre leggere anche lo stile di insegnamento assunto dallo stesso Francesco,
attraverso un evidente mutamento del linguaggio magisteriale che[, per il Papa
deve] essere normalmente un linguaggio pastorale, in quanto è finalizzato
all’evangelizzazione [il suo intento non è anzitutto quello di formulare una dottrina,
ma di guidare persone all’accogliere
il Vangelo nelle loro specifiche situazioni di vita].
Sembra di dover leggere in questi termini la
grande rilevanza data da Francesco all’omelia, quale strumento normale con cui
esercitare il suo personale magistero di vescovo di Roma. L’omelia è una forma
di comunicazione viva, dove sono
coinvolte persone reali e nella quale è fondamentale il rapporto che si crea
tra chi parla e chi ascolta.
Poiché, però, le persone non esistono al di
fuori di una cultura, la missione della Chiesa implica sempre, per Francesco,
una inculturazione ed una evangelizzazione delle culture. E’ singolare come questa venga interpretata
dal Papa attraverso la categoria dell’accoglienza; quasi che evangelizzare comporti, per la Chiesa, l’ospitalità in sé
di alcune sue dimensioni.
Può essere utile segnalare tre orizzonti
di conversione.
Il primo concerne la necessità di passare da
una Chiesa che poteva far conto su un “cristianesimo di massa” ad una Chiesa
che si strutturi sapendo che il Vangelo non può che essere trasmesso da persona
a persona.
Il secondo
riguarda l’importanza che, in questo orizzonte, viene ad avere la teologia.
Senza una reale valorizzazione del lavoro teologico, difficilmente la Chiesa
sarà capace di rendere udibile e di inculturare il Vangelo entro la cultura
tardo-moderna o post-moderna.
Infine il compito di evangelizzare la cultura
comporta per delle Chiese che abitano società come quella occidentali,
generalmente democratiche, l’assunzione di una capacità di abitare lo spazio
pubblico, senza più contare su una posizione di forza e di potere, e senza,
tuttavia, abdicare al compito di offrire
la forza trasfigurante del Vangelo per la realizzazione di una società più
giusta e fraterna. Per farlo, i cristiani dovranno essere capaci di mostrare,
nei discorsi pubblici, la forza umanizzante dei de valori evangelici; ed essere
pronti ad operare - nel normale “gioco
democratico” - per convincere dell’impatto umanizzante di tali valori
anche quanti cristiani non sono.
La Chiesa [infine] non potrebbe annunciare il Vangelo della misericordia che
la fa esister senza denunciare, al contempo, quegli idoli che pretendono di
prendere il posto di Dio, finendo per disumanizzare e disintegrare la terra. E’
quanto il Papa mette in luce a proposito dell’idolatria del denaro sottesa a
certo liberismo economico, che dà vita ad una economia ingiusta, che
disumanizza tanto chi ne è vittima quanto chi la prodice.
Francesco mette in rilievo la portata
ugualmente anti-evangelica e disumanizzante del
relativismo pratico.
«[…] la
cultura del relativismo è la stessa patologia che spinge una persona ad
approfittare di un’altra e a trattarla come un mero oggetto, obbligandola a
lavori forzati, o riducendola in schiavità
a causa di un debito. » [dall’enciclicica Laudato si’, del
2015].
La Chiesa dovrà essere voce profetica, tanto rispetto al relativismo
teorico, quanto rispetto a quello pratico. Essa esprimerà così quella “riserva
critica” anche nei confronti del mondo postmoderno e globalizzato che deve
rappresentare rispetto a qualsivoglia cultura.
Il relativismo pratico può
insinuarsi anche in quei cristiani la
cui dottrina è inoppugnabile, anche costoro possono infatti vivere come se Dio
non esistesse o decidere come se i poveri non ci fossero. E’, dunque, possibile
essere cristiani, professare una dottrina e idee spirituali corrette e,
tuttavia, incorrere in tale relativismo. Papa Francesco lo reputa ancora più
pericoloso di quello dottrinale: esso appare, infatti, come una minaccia
subdola, che può far sì che la comunità dei credenti in Cristo parli del
Vangelo, senza essere evangelica. E per questo la conversione è, per la Chiesa,
un compito costante e mai concluso; così come indispensabile è la sua riforma.
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Capitolo 4°
La necessaria riforma
I
testi [del Concilio Vaticano 2° (1962/1965)] non [sono] sempre così
univoci nel prospettare una
trasformazione della Chiesa. La riforma di importanti istituzioni ecclesiali
che molto si aspettavano all’indomani del Concilio non [è] sempre stata attuata.
Per
Francesco una riforma della Chiesa è necessaria affinché la Chiesa rimanga
sempre evangelica e trasparente al Dio misericordioso che la abita e la fa
esistere. La riforma, proprio per questo, [è] intimamente connessa all’idea di
una Chiesa in uscita missionaria. La
Chiesa, infatti, avverte il dovere di
uscire e di far incontrare tutti con il Dio misericordioso comunicatosi
in modo ultimo in Cristo e nel dono del
suo Spirito.
Non
ci si deve aspettare dal Papa un programma di riforma sistematico e offerto in
modo organico. Al contempo, [per Francesco], non si tratta di occupare spazi ma
di avviare processi.
Proprio per questo, risulta forse impossibile e addirittura insensato
delineare un quadro preciso delle riforma che si dovrebbero attuare. Farlo significherebbe in fondo smentire alcuni capisaldi della visione di Francesco:
che la Chiesa sia un soggetto dinamico
guidato dalla presenza viva dello Spirito di Cristo; il fatto che tutti i cristiani siano soggetti vivi e
attivi nella Chiesa; che le Chiese
locali non siano dipartimenti amministrativi, ma Chiese
con una loro soggettualità.
Ciò nondimeno
si possono evidenziare alcune
fondamentali linee di riforma nell’insegnamento di Francesco. Concernono la sinodalità della Chiesa, l’importanza di
una collegialità intermedia, il papato e la realtà del Sinodo dei vescovi.
Con il papato di Francesco, il tema ecclesiologico
della sinodalità [è] tornato prepotentemente alla ribalta. Esso non è stato
esplicitamente tematizzato dal Vaticano 2°: nella visione ecclesiologica del
popolo di Dio e nella conseguente
concezione del [senso della fede -
sensus fidei] [nota mia: =la facoltà per cui il popolo di Dio, guidato
dallo Spirito, intuirebbe la verità e sarebbe preservato dall’errore in materia
di fede - vedi anche, sotto, la nota 1] vi erano, però, le premesse per il suo
sviluppo.
Per
il Papa, la strada della sinodalità [è] da percorrere in quanto è quella che
permette in questo nostro mondo, di attivare sinergie in vista della missione
della Chiesa. Il Papa ha infeatti parlato della sinodalità come dimensione
costitutiva della Chiesa. [Infatti] la Chiesa non è altro che il camminare insieme [la parola del greco
antico da cui deriva il termine italiano sinodo
è composta da altri due termini che appunto richiamano l’idea del camminare insieme] del Gregge di Dio sui
sentieri della storia incontro a Cristo Signore. Il fondamento di ciò è da
rintracciarsi proprio nel fatto che la
Chiesa è il popolo di Dio.
All’interno della Chiesa nessuno può essere collocato al di sopra degli
altri. Chi assume al suo interno il
ministero è posto piuttosto al servizio degli altri.
Affinché sia realmente percepito il [senso della fede - sensus fidei] [vedi
sotto la nota 1] vi è - secondo il Papa - la necessità di un ascolto, che
investe la Chiesa a tutti i livelli e in tutti i soggetti. Una Chiesa sinodale - dice infatti Francesco
- è una Chiesa dell’ascolto.
Un
tale discorso concerne la questione della riforma, proprio perché obbliga a
chiedersi dove si dia la Chiesa.
Si sa
come al Vaticano 2° ci sia dato un evidente ripristino della visione secondo cui quelle locali sono realmente
Chiese e della prospettiva che vede la Chiesa quale comunione di Chiese - communio Ecclesiarum. [Ma] il collegio dei
vescovi è visto ancora come realtà in parte slegata dalla comunione delle
Chiese. Francesco pare orientarsi con decisione verso la concezione per cui non
si possa intendere l’universalità della Chiesa come realtà previa all’esistenza
delle Chiese locali. [Il Papa parla] della Chiesa locale non quale parte, bensì come porzione
della Chiesa. [Per questo] Francesco [ha] chiesto che si aprisse una porta senta in ogni Chiesa particolare e
che la prima porta fosse aperta in Africa. Si tratta infatti di segni concreti
con cui si dice che le Chiese locali non
sono parti o distretti di una Chiesa universale, da pensarsi astrattamene come
realtà previa al loro esistere: esse
sono, piuttosto, la Chiesa in quanto
esiste in un determinato “luogo” così come emerge dalle lettere [di san Paolo].
Poiché c’è un recupero della piena consistenza delle Chiese locali, si comprende perché, per
il Papa, la sinodalità debba anzitutto realizzarsi proprio a quel livello e
comporti una necessaria riforma degli organismi di partecipazione, il Consiglio presbiterale, il Collegio dei Consultori, il Capitolo dei canonici e il Consiglio pastorale. Le parole del Papa
mostrano la coscienza, comune a molti
oggi, che tali istituti abbiano spesso
attraversato una crisi e debbano essere rivitalizzati. [Per il Papa] tali
organismi di partecipazione non debbano essere solo luoghi di organizzazione delle attività [all’interno], in quanto debbono partire dai problemi di ogni giorno
che la gente vive; e non debbono risolversi solo in luoghi di ascolto, ma anche
di condivisione.
La
sinodalità [deve] allargarsi ad altri livelli e [deve] coinvolgersi i vescovi
che presiedono le Chiese e debbono rappresentarle.
Si tratta, in questo caso, di ciò che va sotto il nome di collegialità episcopale. Proprio a tal riguardo e, specificamente,
a livello di quanto viene espresso in termini di collegialità intermedia, [vale a dire un effettivo esercizio di
collegialità episcopale anche nel caso di Conferenze episcopali nelle quali
partecipano solo i vescovi di un determinato territorio], pare di percepire le
principali istanze di riforma da parte di papa Francesco. Vi sono stati quanti hanno invece
ritenuto che un effettivo esercizio di
collegialità si avrebbe solo con la partecipazione di tutti i vescovi: negli
altri casi si esprimerebbe solo una collegialità affettiva. Da una tale prospettiva si avrebbe - [a parte il
concilio come fatto eccezionale]- il governo del papa, per quel che concerne la
Chiesa universale, e quello di ogni singolo vescovo, per quel che attiene alla
Chiesa locale. Oltre a dover rimarcare
come una tale visione contraddica la prassi della Chiesa antica, è bene
rilevare come essa sarebbe assai poco
funzionale ad una Chiesa missionaria, che necessita di istanze intermedie per
prendere delle decisioni che possano
favorire l’annuncio evangelico in Chiese che vivono in culture anche
sensibilmente diverse tra loro. Papa
Francesco sembra andare decisamente nella linea di una decentralizzazione e,
dunque, di una valorizzazione effettiva delle istanze di collegialità
intermedia. Ciò richiede, evidentemente, che il discernimento e le decisioni
vengano assunte dagli episcopati locali
e non siano demandati a Roma. Nell’ottica di una Chiesa in uscita missionaria,
infatti, una centralizzazione è di
ostacolo invece che essere di aiuto.
Sin
dall’inizio [papa Francesco] non ha citato soltanto i suoi predecessori, ma
diversi interventi di differenti Conferenze episcopali: ha così mostrato di
riconoscere un loro reale magistero. Con ciò, come è chiaro, [egli ha] rimesso
in primo piano l’impellenza di un ripensamento del papato.
La
necessità di realizzare una riforma che coinvolga lo stesso papato [non è]
totalmente nuova, né sul piano teologico né su quello magisteriale. E’ doveroso
ricordare il desiderio espresso da
Giovanni Paolo 2° [nell’enciclica del 1995] Perché
siano una cosa sola - Ut unum sint, ai n.95-96, di instaurare
un dialogo fraterno con i responsabili delle Chiese e i loro teologi al
fine di rintracciare una modalità di esercizio del primato [del Papa] che,
senza rinunciare all’essenziale della sua missione, si apra però a una
situazione nuova.
Papa
Francesco si muove sulla stessa sca. Può
essere sintomatico di ciò il fatto che sin dalla prima sera della sua elezione
si sia presentato alla Chiesa con il titolo di vescovo di Roma e che spesso
abbia continuato a presentarsi cisì. In quest anni, con i suo gesti e la sua
maniera di porsi [ha] operato in direzione di una evidente desacralizzazione
del suo ruolo. E’ lui stesso ad aver
esplicitamente dichiarato di prendere in seria considerazione una riforma del papato, nell’orizzonte di una
Chiesa in uscita missionaria.
[In
particolare] Francesco ha mostrato l’intenzione di apportare reali cambiamenti
alla cura romana, affinché non sovrasti né i singoli vescovi né le conferenze
episcopali, ma sia piuttosto di aiuto al papa e ad essi.
In
relazione ad un’effettiva riforma del papato, uno degli istituti fondamentali
che domanda anch’esso di essere riformato è quello del Sinodo dei Vescovi.
[Papa Francesco] ha agito affinché il Sinodo venisse sempre meglio incastonato
nell’alveo di un più ampio processo
sinodale, [perché] ferma restando la natura di un Sinodo dei vescovi, venga
realmente coinvolto l’intero popolo di Dio e siano anzitutto resi responsabili
quei cristiani più direttamente coinvolti nel tema di volta in volta trattato.
Francesco ne ha parlato come espressione della collegialità episcopale la quale
può diventare in alcune circostanze effettiva,
congiungendo i vescovi tra loro e con il Papa nella sollecitudine del Popolo di
Dio. [Quindi] una collegialità episcopale nella quale i vescovi, con e sotto il
Papa, eserciterebbero una responsabilità di governo nella Chiesa universale.
EPILOGO
Coinvolgersi nel sogno per rimanere fedeli al Vangelo
[Nella visione del Papa] la Chiesa appare come il santo popolo fedele di Dio, la
cui perenne ed inesauribile sorgente è il Vangelo della misericordia, che ha il
suo centro in Cristo e rimane vivo nello Spirito. Da ciò deriva che il Vangelo
debba raggiungere le persone nella loro unicità, nella loro libertà e
all’interno di una determinata cultura, il fatto che il popolo di Dio sia dinamico e formato da cristiani dotati di pari dignità e
corresponsabile, il fatto che si tratti di un popolo che vive nei diversi
popoli della Terra, il fatto che risulti fondamentale il [senso della fede -] sensus
fidei [vedi sotto la nota 1] che si esprime nel popolo, al di là della
capacità di concettualizzare la fede che i cristiani possiedono e che
giustifica una rinnovata attenzione alla dimensione sinodale della Chiesa, il
fatto che questa popolarità della
Chiesa non possa in alcun modo confondersi con alcun genere di populismo.
[L’annuncio del Vangelo della misericordia
implica] il superamento di ogni possibile separazione con la carità e la
promozione umana.
Per
Francesco una Chiesa missionaria [è] una Chiesa profetica. Essa è chiamata a
denunciare ogni genere di idolatria; costituendo così una istanza critica, non
solo verso il relativismo dottrinale, ma anche al relativismo pratico che può
insinuarsi persino al suo interno. [Vi è ] la necessità di una costante
conversione della Chiesa.
La
riforma [deve] essere orientata ad una decisa decentralizzazione della Chiesa,
nel reale superamento di una visione universalistica della stessa. Essa deve
conferire centralità e soggettualità alle Chiese locali, valore alla
collegialità episcopale intermedia e portare ad una nuova interpretazione del
senso del Sinodo dei vescovi e del servizio del papato, che renda possibile una
maggiore collegialità nel governo della Chiesa.
[Si
tratta di un sogno che] domanda l’adesione reale e indifesa di tutte la Chiese
e di tutti i cristiani; chiede, cioè, di essere un sogno condiviso.
Un’autentica riforma [chiede] di recepire in modo creativo la svolta conciliare, concentrandosi in
particolare sul livello delle Chiese
locali: nel superamento di una visione monarchica del ministero del vescovo come di quello dei
preti, nel recupero della realtà del presbiterio e della novità del ministero dei diaconi, nel ripensamento degli organismi
di partecipazione, affinché sia davvero intercettato il ]senso della fede -] sensus
fidei [vedi sotto la nota 1], vi
sia la valorizzazione dei diversi carismi e si attui un’autentica
corresponsabilità; in una nuova valorizzazione del Sinodo diocesano, dove
ministri ordinati e laici si trovano insieme, pur nella differenza dei ruoli,
ad assumere la responsabilità delle scelte pastorali fondamentali della Chiesa
cui appartengono.
Nota 1: spiegazione
del significato teologico dell’espressione sensus fidei - senso della fede
dalla Costituzione dogmatica sulla
Chiesa Luce per le genti -Lumen
gentium, deliberata durante il Concilio Vaticano 2° (1962/1965)
Il senso
della fede e i carismi nel popolo di Dio
12. Il popolo santo di Dio partecipa pure dell'ufficio profetico di
Cristo col diffondere dovunque la viva testimonianza di lui, soprattutto per
mezzo di una vita di fede e di carità, e coll'offrire a Dio un sacrificio di
lode, cioè frutto di labbra acclamanti al nome suo (cfr. Eb 13,15). La totalità
dei fedeli, avendo l'unzione che viene dal Santo, (cfr. 1 Gv 2,20 e 27), non
può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà mediante il senso soprannaturale della fede di tutto
il popolo, quando « dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici » mostra
l'universale suo consenso in cose di fede e di morale. E invero, per quel senso
della fede, che è suscitato e sorretto dallo Spirito di verità, e sotto la
guida del sacro magistero, il quale permette, se gli si obbedisce fedelmente,
di ricevere non più una parola umana, ma veramente la parola di Dio (cfr. 1 Ts
2,13), il popolo di Dio aderisce indefettibilmente alla fede trasmessa ai santi
una volta per tutte (cfr. Gdc 3), con retto giudizio penetra in essa più a
fondo e più pienamente l'applica nella vita.