Ripubblico, perché collegato al discorso
che stiamo sviluppando su come essere popolo.
Sintesi di Mario Ardigò di una relazione
sul tema Le ragioni della democrazia nella prospettiva della dottrina sociale
della Chiesa, tenuto dal prof.Flavio Felice, docente universitario di dottrine economiche
e politiche alla Pontificia università Lateranense di Roma, all'incontro del MEIC - Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale del 31-1-13 nella
Cappella universitaria dell'Università Roma La Sapienza (da appunti presi nel
corso dell'intervento)
Il
tema delle relazioni tra le concezioni democratiche e il cristianesimo è
piuttosto complesso, perché il cristianesimo è stato ed è storicamente una
realtà pluralistica. In merito si sono manifestate varie correnti di pensiero.
Il relatore pensa quindi di delimitare il tema esaminando alcuni documenti del
recente magistero sociale della Chiesa che hanno seguito la pubblicazione
dell'enciclica Caritas in Veritate (2009),
in particolare tre discorsi pubblici del papa Benedetto 16°: quello del 22-5-10
ai partecipanti ad un corso sulla dottrina sociale della Chiesa; quello tenuto
il 17-9-10 alle autorità civili nel corso di una visita a Westminster, nel Regno Unito, e quello del 22-9-11 al Bundestag di Berlino.
Il
discorso del 22-5-10 venne tenuto ad un anno dalla pubblicazione dell'enciclica
Caritas in veritate (2009) e contiene
spunti interessanti. Il bene comune è
la finalità che, per il Papa, dà senso al progresso e allo sviluppo e quindi
anche all'impegno politico. E' la cifra
di un determinato modello di sviluppo. Si deve promuovere il bene comune che è
composto di elementi tangibili e di
elementi intangibili. Tra questi
ultimi vi sono le istituzioni. Il fattore fondamentale per promuovere il bene
comune attraverso le istituzioni è la dignità
della persona umana, che comporta di esprimere, nella vita civile, la libertà, che è una caratteristica di
tale dignità ed è legata alla responsabilità. Quest'opera è considerata dal
Papa legata alla carità: è una via
istituzionale alla carità, una manifestazione indiretta della carità.
Operare in politica, nelle istituzioni, non è senza importanza nella vita di
fede, perché è espressione di carità. In questo senso, la costruzione delle
istituzioni è una via per manifestare al mondo di essere cristiani. Già il papa
Paolo 6° sosteneva che la politica è la più alta forma di carità, ce si
manifesta nel lavoro nelle istituzioni. In quest'ottica la politica ha il
primato sulla finanza e l'etica deve orientare la vita civile. Quando si parla
di primato non si intende però governo, perché il governo spetta all'etica. La politica deve assicurare il
mantenimento di procedure democratiche (quelle in cui le teste si contano, non si giudicano), facendo funzionare le
istituzioni in modo che i consociati, orientati dall'etica, possano liberamente
scegliere il meglio per la società.
Le
istituzioni devono rispondere all'umana contingenza, ai problemi che di volta
in volta si presentano. La politica deve ordinarle secondo il principio di
sussidiarietà, sia in senso orizzontale che verticale. Queste al livello
mondiale, strutturandole in modo che l'intera umanità diventi una pòlis, un'unica città dell'uomo. L'idea di bene
comune, che non si sa più bene come definire, evolve nella concezione dei beni comuni, al plurale, che tiene conto
della varietà dei problemi concreti. La via istituzionale alla carità deve
essere di tipo poliarchico, quindi componendo
un complesso di istituzioni che si coordinano al modo cooperativo.
Nel
discorso del 17-9-10 alle autorità civili di Westminster, il papa è partito
parlando del modello di ordinamento della società civile britannico, che ha
giudicato conforme alla dottrina sociale della Chiesa, sottolineandone la virtù
della moderazione nei rapporti tra lo
stato e i cittadini e l'esistenza di limiti
nell'esercizio dei poteri pubblici, pur con l'obiettivo di mantenere la stabilità.
La
democrazia britannica è pluralistica e si regge sul rispetto della rule of law, che imprecisamente è stata
tradotta con l'espressione stato di
diritto. e che invece richiama l'idea di soggezione alla legge come fonte
della eguaglianza tra i cittadini e del relativo complesso dei loro diritti e
doveri, contro arbitrarie discriminazioni. Secondo il Papa in questo c'è molto
in comune con i principi affermati nella dottrina sociale della Chiesa.
Il
fine delle istituzioni deve essere la salvaguardia della persona umana,
promuovendo il bene comune. Questo richiede che la democrazia non sia solo procedura. Le procedure non sono auto
fondanti, ma hanno bisogno di un fondamento che fa riferimento alla concezione
antropologica dell'essere umano come creatura a immagine di Dio.
Il
Papa ha poi affrontato il tema dell'antiperfezionismo
sociale. I regni terreni non devono mai essere confusi con il Regno dei
cieli (questo anche secondo il par.25 dell'enciclica Centesimus annus, del papa Giovanni Paolo 2°). E nessuna
istituzione deve mai essere fine a se stessa.
Il bene comune è legato all'obiettivo
della tutela della dignità umana, in primo luogo nella sua libertà, e può avere
più oggetti concreti che variano storicamente. Questa concezione è
incompatibile con il totalitarismo, che non ammette e non riconosce il
pluralismo sociale, nella pretesa di unificare la società in una società
terrena perfetta. Nella pretesa di realizzare il bene assoluto, il
totalitarismo nega la Chiesa e non ammette limiti derivanti da criteri
oggettivi che vadano oltre la volontà della sua autorità. Deve invece essere la
coscienza degli esseri umani a giudicare le istituzioni: in questo modo il
potere politico è desacralizzato. I poteri totalitari tendono a distruggere o
assoggettare la Chiesa quando difende la libertà di coscienza.
Spesso
si ritiene che la concezione dogmatica delle religioni contrasti con le
esigenze della democrazia, ma essa in realtà vuole affermare criteri oggettivi,
basati sulla coscienza delle persone, per porre limiti alle pretese totalitarie
della politica e questo è conforme alla concezione democratica.
Nel
discorso del 22-9-11 al Bundestag di
Berlino, il Papa ha parlato degli elementi fondanti dello stato liberale di
diritto. Essi devono essere di natura
extraprocedurale, spirituale. Bisogna sottrarre la politica alla cultura
del relativismo, che il relatore preferisce definire dell'indifferentismo. Nella tradizione liberale le differenze sono
considerate una ricchezza, ma bisogna anche tener conto di quei fondamenti
spirituali, perché essi sono, come è stato osservato, ciò che distingue lo
stato da una banda di briganti.
Come sostenne Giovanni Paolo 2° nel
par.25 dell'enciclica Centesimus annus (1991),
gli esseri umani tendono al bene, ma sono capaci anche di male, possono
trascendere il proprio interesse, ma possono anche rimanervi legati. Tuttavia
essi non sono condannati al male. Il male sociale va fronteggiato con
istituzioni orientate dall'etica.
Il relatore ha esaminato poi un discorso
tenuto il 7-6-99 dal papa Giovanni Paolo 2°, in cui fu considerata
l'esemplarità della figura del padre Massimiliano Kolbe. Secondo quel Papa,
padre Kolbe, con il suo sacrificio, riportò una vittoria simile a quella di
Cristo sulla croce. Potremmo anche finire in minoranza, ma non siamo
autorizzati a cercare scorciatoie. In casi estremi occorre avere il coraggio
dell'obiezione di coscienza, di ubbidire alla norma morale subendo le sanzioni
di una legge ingiusta, quando il lavoro nelle istituzioni non consenta di
perseguire il bene comune.
All'obiezione
del presidente di aver utilizzato solo parole dei papi per trattare del tema
dell'incontro, il relatore ha risposto che si è trattato solo di un espediente
retorico, di un punto di partenza per una riflessione più articolata. Vi è
senz'altro una diversità tra pensiero sociale cattolico e dottrina sociale della Chiesa. Nel
passato la Chiesa ha rincorso la riflessione comune dei cattolici sulla società,
il pensiero sociale cattolico appunto,
ma di recente, anche per la fine del problema costituito dal confronto con i sistemi
del socialismo reale, le cose sono cambiate e si è proseguito nella direzione
indicata dall'enciclica Populorum
progressio (1967) del papa Paolo 6°. Dobbiamo prendere atto di queste nuove
aperture e possibilità di azione.
In
risposta ad una domanda, il relatore ha detto che nel testo italiano
dell'enciclica Caritas in veritate ci
sono alcune parole tradotte in modo non soddisfacente, ad esempio dove si parla
di governo della globalizzazione, lì
dove invece nel testo latino si faceva riferimento all'idea di governance, che in inglese non significa
governo, ma concertazione tra le istituzioni, e quindi, trattando di governance della globalizzazione, non si
intendeva auspicare un governo monolitico a livello mondiale.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro,
Valli