INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Questo blog è un'iniziativa di laici aderenti all'Azione Cattolica della parrocchia di San Clemente papa e manifesta idee ed opinioni espresse sotto la personale responsabilità di chi scrive. Esso non è un organo informativo della parrocchia né dell'Azione Cattolica e, in particolare, non è espressione delle opinioni del parroco e dei sacerdoti suoi collaboratori, anche se i laici di Azione Cattolica che lo animano le tengono in grande considerazione.

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  Dal gennaio del 2012, su questo blog sono stati pubblicati oltre 3.200 interventi (post) su vari argomenti. Per ricercare quelli su un determinato tema, impostare su GOOGLE una ricerca inserendo "acvivearomavalli.blogspot.it" + una parola chiave che riguarda il tema di interesse (ad esempio "democrazia").

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

SUL SITO www.bibbiaedu.it POSSONO ESSERE CONSULTATI LE TRADUZIONI IN ITALIANO DELLA BIBBIA CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONALE IN LINGUA CORRENTE, E I TESTI BIBLICI IN GRECO ANTICO ED EBRAICO ANTICO. CON UNA FUNZIONALITA’ DEL SITO POSSONO ESSERE MESSI A CONFRONTO I VARI TESTI.

ON THE WEBSITE www.bibbiaedu.it THE ITALIAN TRANSLATIONS OF THE BIBLE CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONAL IN CURRENT LANGUAGE AND THE BIBLICAL TEXTS IN ANCIENT GREEK AND ANCIENT JEWISH MAY BE CONSULTED. WITH A FUNCTIONALITY OF THE WEBSITE THE VARIOUS TEXTS MAY BE COMPARED.

sabato 17 ottobre 2020

“Come siamo popolo?” - 1° riunione in Meet del gruppo AC San Clemente - sabato 17 ottobre, ore 17 Istruzioni di accesso e Sintesi di idee per la discussione

 

Aggiornamento alle ore 14:15:

n.12 partecipanti registrati

la videoconferenza Meet  sarà attivata alle ore 16:45 - l'incontro inizierà alle 17:00 -  consigliamo di effettuare la procedura di accesso tra le 16:45 e le 17:00 per consentire il regolare avvio della riunione.

 L'invio dei codici di accesso terminerà alle 16:30

 Nel caso che nel corso della riunione ci si disconnetta, si ripeta la procedura di accesso, inserendo nuovamente il codice comunicato, che sarà bene tenere a portata di mano

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“Come siamo popolo?”

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1° riunione in Meet  del gruppo AC San Clemente

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sabato 17 ottobre, ore 17

Istruzioni di accesso

e

Sintesi di idee per la discussione

 

 Propongo in forma sintetica alcune idee sulle quali si potrebbe discutere nell’incontro in Meet “Come siamo popolo!”  di sabato 17 ottobre, ore 17 del gruppo AC San Clemente

(il post segue le istruzioni per  l’accesso all’incontro in Meet)

 

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Oggi, alle ore 16:45, sarà attivata la videoconferenza in Meet  per l’incontro del gruppo AC San Clemente sul tema “Come siamo popolo”, che inizierà alle 17. Cercate ultimare le procedure di acceso tra le 16:45 e le 17, per non sottrarre tempo al dibattito.  Di seguito trovate le istruzioni per accedere, il programma, e alcune idee sulle quali si potrebbe dibattere.

 

Saranno ammesse le persone che hanno richiesto  il codice di accesso. Saranno riconosciute con la email che hanno comunicato

 

Per accedere:

A) da PC fisso, PC portatile, tablet

1) accedere a Google [in precedenza, nel richiedere il codice, avrete comunicato ad mario.ardigo@acsanclemente.net la email con la quale vi siete iscritti a Google e con la quale parteciperete alla riunione; nell’accedere alla riunione sarete riconosciuti con quella email]. Per accedere a Google, aprire Google Chrome, cliccare sul riquadro azzurro in alto  a destra con la scritta ACCEDI e inserire la email di registrazione e la pasword;

2) in Google Chrome, cliccare sul quadratino di puntini in alto a destra;

3) cliccare sull’icona verde di Meet


e selezionare PARTECIPA A UNA RIUNIONE;

4) inserire il codice di accesso che vi è stato comunicato, facendo COPIA/INCOLLA;

5) cliccare su CONTINUA

6) cliccare su CHIEDI DI PARTECIPARE e attendere di essere ammessi alla riunione.

B) da smartphone:

1) aprire la app Meet

che avrete in precedenza scaricato.

2) cliccare su CODICE RIUNIONE, inserire il codice di accesso che vi è stato comunicato;

3) cliccare su CHIEDI DI PARTECIPARE  e attendere di essere ammessi.

 

Segnalare eventuali problemi con una email a

mario.ardigo@acsanclemente.net

indicando, se si vuole essere contattati telefonicamente, un numero di telefono al quale essere chiamati.








e clicca su PARTECIPA





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Tempistica proposta per l’incontro

 

durata totale prevista: 90 minuti suddivisi in :

3 minuti di mia presentazione;

3 minuti di presentazione della Presidente;

3 minuti di intervento di componente dell’equipe pastorale della parrocchia (eventuale, se ci darà la disponibilità)

3 minuti per intervento dell’Assistente ecclesiastico (eventuale, se riterrà di svolgerlo)

10 minuti per deliberare a maggioranza se approvare o modificare il metodo di dibattito proposto

20 interventi successivi da 3 minuti ciascuno, in ordine alfabetico dei nomi di battesimo dei partecipanti; terminato un giro, si riprende nello stesso ordine; ci si impegna a parlare agganciandosi a ciò che ha detto la persona che ha parlato precentemente

3 minuti solo di mia sintesi degli interventi

3 minuti per decidere se proseguire il dibattito in un’altra riunione o dedicarlo ad un altro tema

2 minuti: preghiera finale elaborata da uno dei partecipanti sulla base di quanto emerso dal dibattito.

    La presidenza della riunione sarà assunta dalla Presidente del gruppo: darà e toglierà la parola al termine del tempo assegnato per ciascun intervento (venti secondi prima, avvertirà chi parla della prossima scadenza del termine; l’assemblea dei partecipanti può però deliberare di concedergli più tempo, non oltre due minuti, se ci riuniremo in meno di quindici), nel caso di risparmio di tempo rispetto al programma, allargherà i tempi del dibattito. In caso di sua indisponibilità, il presidente della riunione sarà designato a maggioranza dai partecipanti.

  

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1. Quando usiamo la parola popolo non viene in mente nessuna persona particolare o nessun gruppo di persone specifiche, perché ce ne serviamo proprio per indicare una massa di gente che non ci è nota nelle individualità particolari e personali che la compongono.

2. Un tempo si parlava del  popolo  di una parrocchia come della porzione di una popolazione che le era stata assegnata. Ora, invece, se ne parla come di una  determinata comunità di fedeli con il parroco come pastore. Questo in applicazione  dell’idea della Chiesa come popolo di Dio deliberata durante il Concilio Vaticano 2° (1962-1965). Che c’è in fondo di diverso? C’è che un popolo  può essere tale anche solo perché sottomesso  ad un certo potere, mentre da una comunità  ci si aspetta un ruolo più attivo.

  Il primo modello è piramidale, con al vertice il Papa, sotto i vari gradi della gerarchia ecclesiastica, fatta di chierici,  e, in fondo, il popolo, vale a dire, fondamentalmente, i laici che non appartengano ad un ordine religioso.

  L’altro  modello è circolare, con al centro il Cristo e intorno il suo popolo, nel quale ognuno ha qualcosa da fare, una funzione a beneficio di tutti, quindi un ufficio, secondo le sue capacità e la sua indole, i laici come i chierici, come i religiosi.

3. Quest’idea di comunità attiva c’è anche nel concetto di popolo  di una repubblica, che è quando la gente ha la reale possibilità di partecipare al governo della società. Questa partecipazione agli affari pubblici è definita come dovere civico, nel senso esercitarla obbliga in coscienza e fa parte dell’etica pubblica.

4. Ai tempi nostri nessun potere viene considerato superiore a quello del popolo, ma anch’esso ha dei limiti nei fondamentali principi umanitari. In una repubblica come oggi la si intende  in genere in Occidente, nessun potere è veramente sovrano. Un potere, infatti, è sovrano quando non ammette nessun limite sopra di sé. Una sovranità  limitata  non è più sovranità come si pretendeva di esercitarla nei regni antichi.

5. Nella nostra Chiesa, il passaggio da un modo di essere popolo, nel senso di gente assegnata  al potere di un certa autorità, a quello di popolo  in quanto  comunità partecipante  di fedeli è tuttora in corso e non è facile. In particolare è difficile conciliare l’idea di Popolo di Dio universale  con la realtà di un’umanità divisa in tanti popoli con le loro culture particolari.

Papa Francesco, sulla base dell’esperienza latino-americana propone un modo di essere popolo  che non significhi ripudiare le proprie culture di origine, che definiscono, includono ma anche limitano.

6.  L’idea di popolo  ha avuto uno sviluppo storico ed è variata, in una stessa epoca, di società in società e di contesto in contesto.

6.1.  Nella Bibbia “popolo” era innanzi tutto quello degli israeliti della sua epoca, ai quali disse di essere stato mandato innanzi tutto. Essi concepivano loro stessi come popolo in quanto legati dall’etnia, da costumi religiosi e di altro genere, da un rapporto particolare con il territorio, tra il Mediterraneo a occidente, il Libano e la Siria al nord,  il fiume Giordano a oriente e il deserto a sud, nel quale si erano insediati storicamente, e dalla consapevolezza di una predilezione divina che determinava un comune destino.

  E poi c’erano tutti gli altri popoli della terra, ai quali, ad un certo punto furono inviati i suoi discepoli di Gesù per insegnare loro tutto ciò che egli aveva comandato.

6.2.  I primi cristiani, presto, ritennero anch’essi di essere diventati un popolo, come gli israeliti, salvo che per la relazione con un certo territorio. Roma e Costantinopoli non divennero mai per i cristiani ciò che era Gerusalemme per gli ebrei. I Cristiani si figurano una nuova Gerusalemme che scenderà dal Cielo. E immaginano di essere amati dal Creatore, non prediletti tra gli altri popoli.

6.3. Nell’opera missionaria si entrava in contatto con altri popoli. Il rapporto poteva pensarsi come  conflittuale di assimilazione, di coesistenza nella separazione, di dominio. Tutte queste modalità si manifestarono negli eventi politici nei quali i cristiani vennero coinvolti nella loro lunga storia.

 Da quando la nostra esperienza di comunità religiose, dal Quarto secolo, manifestò evidenti connotati politici, influendo sul governo delle società in cui era immersa, divenne molto importante la relazione prevalente diventò quella di dominio. In questo modo, il popolo dei fedeli, come nelle società civili, venne concepito come la massa dei governati, delle persone soggette all'autorità ecclesiastica. Dal Cinquecento, poi, la nostra Chiesa si diede istituzioni simili a quelle di uno stato moderno.

 Con il formarsi degli stati europei, che divennero modello per analoghi processi nel mondo colonizzato dagli europei, dal Cinquecento quella struttura istituzionale venne considerata analoga a un stato, quindi come una società organizzata, visibile, religiosa, con poteri propri di una società perfetta e sovrana,quindi  con leggi proprie, con autorità proprie, con mezzi e fini propri, resa omogenea  da quelle leggi e autorità proprie, con un popolo  costituito dagli individui, dalle famiglie dagli altri gruppi soggetti a quel potere istituzionale.

6.4. Dall’Ottocento le ideologie politiche  basate sulle nazioni, vale a dire sulle popolazioni considerate accomunate per elementi etnici, linguistici, storici e destinate a ricadere sotto l’autorità di istituzioni di dimensione nazionale, il popolo  fu visto progressivamente come fonte della legittimazione  all’esercizio del potere politico: si governava per il bene del popolo e in suo nome. Questo diede avvio a processi democratici sempre più ampi, in particolare in Occidente: democrazia  è partecipazione  e quindi  governo del popolo, inteso come comunità attiva nel deliberare sugli affari pubblici.

 Questo sviluppo finora ha interessato molto marginalmente il governo della nostra Chiesa.

7. In una democrazia, una delle decisioni più importanti e quella su come essere popolo.

  Non basta, per questo, descrivere  come è e ciò che fa una determinata popolazione, come si fa in antropologia e in sociologia. Bisogna dire come si partecipa politicamente alla società in cui si vive. Se non si partecipa per nulla, allora se ne è solo sudditi, sottomessi al potere che la dirige e in cui non si ha voce.

7.1 Pensare il popolo  è impossibile senza ricorrere a generalizzazioni. Si ritiene che un umano possa  pensare  al più circa 150 relazioni con altre persone. Noi infatti agiamo sempre in  teatri  sociali molto limitati. Tutto ciò che va oltre  è una massa confusa di gente  nella quale non riusciamo a cogliere le individualità se non avvicinandoci a contesti limitati, ad un certo gruppo  di persone. Su questo si basa la magia  del teatro e del cinema: si può rendere l’idea  di masse umane con pochi attori sulla scena. Non ne cogliamo l’incongruenza, perché la nostra realtà cognitiva è appunto quella.

  La nostra vita è fatta di relazioni personali ravvicinate. Questo perché, come ci avvertono gli esperti di psicologia cognitiva e di neuroscienza, la nostra mente ha una base biologica che risale a circa 200.000 anni fa e, da allora, non è cambiata molto.

  Con il progresso delle tecnologie informatiche si cerca di superare questi limiti cognitivi e di avvicinarsi a ciò che si riteneva proprio degli dei: conoscere tutti nella loro individualità personale. Questo perché ciò darebbe un potere enorme sulle società umane.

   Per  versi quello di popolo è un concetto di natura mitologica, vale a dire una narrazione che combina in una sintesi aspetti di realtà con elementi emotivi, in modo da rendere l’idea, non tanto di  ciò che è, ma di ciò che si vorrebbe fosse  e che  si vorrebbe essere.

 Ne ha scritto il Papa nel n.158 della recente enciclica Fratelli tutti, richiamando quanto aveva detto in una precedente intervista:

«Popolo non è una categoria logica, né è una categoria mistica, se la intendiamo nel senso che tutto quello che fa il popolo sia buono, o nel senso che il popolo sia una categoria angelicata. Ma no! È una categoria mitica […] Quando spieghi che cos’è un popolo usi categorie logiche perché lo devi spiegare: ci vogliono, certo. Ma non spieghi così il senso dell’appartenenza al popolo. La parola popolo ha qualcosa di più che non può essere spiegato in maniera logica. Essere parte del popolo è far parte di un’identità comune fatta di legami sociali e culturali. E questa non è una cosa automatica, anzi: è un processo lento, difficile… verso un progetto comune».

7.2  Vediamo  a volte i grandissimi stormi di storni sulla nostra città. Improvvisamente si levano in alto e cominciano a girare tutti insieme e sembra che cerchino una direzione: ad un certo punto partono tutti insieme. Stormo,  una parola dal gergo militare è passato alla biologia. Indica una moltitudine inquadrata  e orientata. Popolo ha un significato simile: ecco perché nasce dal gergo religioso e giuridico. In entrambi quei campi si fa questione di autorità e di obbedienza. Vi sono stati tempi in cui popolo  era chi obbediva e altri nei quali il popolo  si faceva motore dell’agire sociale, era un società in movimento ordinato verso un fine. Quando Giuseppe Mazzini, rivoluzionario irredentista italiano (1805/1872), propose il motto Dio e popolo era in quest’ultimo senso che intendeva il popolo.

  L’idea di popolo  fu al centro del dibattito sviluppatosi nella Chiesa cattolica durante il Concilio Vaticano 2°, che si svolse a Roma, nei palazzi del Vaticano, tra il 1962 e il 1965 e che deliberò una marcata riforma  della nostra Chiesa, rimasta in gran parte inattuata. Si volle indurre un cambiamento dell’essere popolo nella nostra Chiesa, da moltitudine obbediente,  resa popolo proprio da quell’essere sottomessa  al dominio di un sistema di autorità, a moltitudine motore della storia, per indurre un mutamento sociale radicale, secondo l’idea di agàpe salvifica, in una società sottomessa  alla violenza sociale, economica, politica, a partire dalle singole persone per estendersi come un incendio a tutti gli ambienti, fino a modificare le strutture sociali di potere dominanti. L’agàpe,  termine del greco antico che è al centro delle narrazioni evangeliche e che richiamava originariamente l’idea di un lieto convito, è una forma di convivenza libera dalla violenza e dall’oppressione. 

 Ci sentiamo e agiamo come popolo sottomesso ad autorità o, anche  o invece, popolo motore della storia? Come interpretiamo questo nostro essere popolo  secondo la nostra  vita di fede religiosa (secondo la nostra teologia pratica, per ora senza considerare la dottrina, quella teologia semplificata che ci insegna come obbedire alle autorità religiose)? Il nostro essere popolo è in qualche

8. L’idea di popolo va molto più in là di ciò che si vede. Ciò che non si vede, si cerca di immaginarlo, e qui soccorre il mito, soprattutto per evocare la direzione di quelle moltitudini che chiamiamo popoli. Il problema è che proprio non ce la facciamo ad immaginarci veramente  una moltitudine come un popolo, ad esempio quella del popolo italiano. Alla fine ciò che ci appare nella mente è un po’ sempre una folla e poi, in essa, dei gruppetti o addirittura degli individui che prendiamo come simboli del popolo a cui appartengono.

  Nei miti che riguardano il popolo è su quei simboli che riversiamo attributi emotivi e, allora, la nostra immagine di popolo finisce per risentirne, perché una persona la collega, ad esempio, a Giuseppe Mazzini, un’altra al Cavour e un’altra ancora al Papa Pio 9°, che di Mazzini e Cavour fu un duro avversario.

   Se poi ci avviciniamo a una società, l’indistinzione che caratterizza in genere l’idea di popolo, come gruppo che comprende tutti,   svanisce e ci si manifesta la realtà delle società umane, che sono fatte di gruppi in interrelazione tra loro per questioni di interesse, vale a dire per le direzioni che prendono e che a volta li portano a collidere continuando a fronteggiarsi, altre a fondersi, altre a separarsi, e, infine, recuperata precariamente una certa stabilità pacati i conflitti, spesso a porsi in una gerarchia, dove c’è chi domina  e chi è dominato, e rimane una tensione tra loro. Ma, avvicinandosi, si perde l’immagine complessiva.

9.  Nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa Luce per le genti - Lumen gentium,  un documento legislativo contenente definizioni dogmatiche deliberato durante il Concilio Vaticano 2° (1962-1965), troviamo la seguente definizione, al n.2:

 

Così la Chiesa universale si presenta come un popolo che deriva la sua unità dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

 

 Qui è la teologia che definisce l’idea di popolo, attribuendogli il principale fattore di unità,  di natura soprannaturale. Fatto il lavoro teologico, comincia quello sociale, che può essere organizzato in diversi modi, tra i quali quello democratico.

  Posta la definizione di Chiesa come popolo e il suo fattore di unità nella Trinità divina, sono possibili molte vie diverse per costruire in pratica quel popolo. Oggi è molto sentita la questione di come quel popolo  debba entrare in relazione con gli altri popoli  e se debba essere, oltre che principio di unità tra i credenti cristiani, anche promotore dell’unificazione dell’intero genere umano, e se, in questo caso, esso dovrà soppiantare  gli altri popoli, assimilarli  o farsene assimilare, o, infine, mantenersene sempre separato, al mondo in cui l’ebraismo ha in genere pensato il suo rapporto con le altre genti. Dalla definizione dogmatica non discende tutto il resto, che va pensato  e organizzato, come in effetti si è fatto in vario modo nella storia bimillenaria della nostra Chiesa. Negli scorsi anni ’60 lo si è fatto durante il Concilio Vaticano 2°, che ha avuto al suo centro, appunto, l’idea di popolo e il ruolo in esso del laico, vale a dire chi non è chierico o appartenente ad un ordine religioso.

10.  Il popolo è realtà necessariamente pluralistica, con tante facce e menti quante sono le persone chiamate a comporlo, altrimenti non è realmente il  popolo ma solo una sua immagine mitizzata,  quindi  semplificata: per ottenere l’agàpe, quella convivenza benevola, misericordiosa e solidale ispirata ai valori religiosi, è necessario coinvolgere  realmente, non solo nel mito, molti e che  tra i quei molti avvenga quello scambio di idee  che consenta la diffusione del sapere e delle esperienze indispensabile per fare di una popolazione, quindi dei molti, una superiore unità. Il metodo democratico, come oggi lo si pratica, e lo si pratica in modo molto diverso per certi aspetti da come lo si faceva tra i greci antichi che lo inventarono e teorizzarono per primi, serve appunto a fare quel lavoro in modo più ampiamente condiviso e partecipato.

11.  Oggi la Chiesa è definita come  «un  popolo che deriva la sua unità dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». Questo fattore ideale di unità integra quello che per gli stati è costituito dalla loro cultura in senso sociologico, vale a dire l’insieme di concezioni, costumi, istituzioni, tradizioni, comprese quelle religiose,  miti e lingua comuni a una gente stanziata su un certo territorio e diffusi in modo prevalente nella sua società, sulla cui base quando si pensa a quella gente la si pensa come popolo. Questi elementi culturali non sono essenziali per la fede, che è destinata a diffondersi in tutte le culture umane, ma sono necessari per la nostra umanità, come sostiene il Papa nell’enciclica Fratelli tutti:

«Come non c’è dialogo con l’altro senza identità personale, così non c’è apertura tra popoli se non a partire dall’amore alla terra, al popolo, ai propri tratti culturali.

 È possibile accogliere chi è diverso e riconoscere il suo apporto originale solo se sono saldamente attaccato al mio popolo e alla sua cultura.»

12. Nel diffondersi, la fede, pur rimanendo la medesima, permea le culture dei popoli e, ad un certo punto, entra nelle loro tradizioni religiose, potendo costituire così anche un fattore di unità con rilevanza politica, quindi per il governo delle società di riferimento. E’  in senso tempo che l’Italia venne considerata  un insieme di popoli cattolici, e poi uno stato  e una nazione cattolici: il principio della religione cattolica come religione di stato venne definitivamente abbandonato solo nel 1984, con la revisione del Concordato Lateranense tra la Repubblica italiana e la Santa Sede (il Papato romano) che quell’anno fu deliberata dalle due parti, con la procedura prevista dalla Costituzione vigente. Ma già era superata con l’entrata in vigore di quest’ultima che non lo prevede e, anzi, è fondata sul diverso principio della laicità dello stato, che significa desacralizzazione  delle istituzioni pubbliche, vale a dire che nessuna questione può essere sottratta alle procedure democratiche di decisione e che le autorità pubbliche non possono pretendere una legittimazione religiosa, come tale sottratta al potere democratico.  

13.  Nelle nostre attività formative religiose non si ha di solito ben chiaro come  essere popolo secondo la fede e che cosa  comporti. La teologia e, quindi, la catechesi si mantengono molto sulle generali, apparentemente pronte a correggere ma non capaci veramente di definire.

 Uno degli errori più comuni, e fatali, nella formazione religiosa è proporre il popolo  secondo la  fede come una tribù, quindi con legami di solidarietà, dipendenza e preminenza/sottomissione modellati sullo schema della famiglia allargata e quindi con struttura piuttosto rigida modellata su autorità paterne. Del resto la cultura biblica è fortemente impregnata di una tale mentalità. Ma la vita tribale è caratterizzata da un complesso di miti/tradizione/costumi  che non sono fondati sugli insegnamenti evangelici. Il Maestro, in particolare, non costituì una propria tribù e visse piuttosto liberamente le costumanze tribali del proprio ambiente, tanto da venire rimproverato per questo.  E così fecero i suoi primi seguaci fino, addirittura, a staccarsene (come ad esempio sulle questioni delle prescrizioni rituali che riguardavano gli alimenti e della circoncisione).

  Inserito in una tribù, la persona ne dipende. Come in famiglia, viene ancora accettata anche se commette una qualche infrazione, ma non le viene perdonata il rifiuto della dipendenza, della sottomissione. La decisione di staccarsi dalla comunità comporta anche l’interruzione delle sue relazioni con le persone che sono rimaste dentro, quindi la sua emarginazione.   La minaccia dell’esclusione e dell’emarginazione  è un potente strumento di controllo nelle mani delle autorità paterne che dominano il contesto tribale. In questo modo la comunità esercita una pressione  sulle singole persone perché si sottomettano. A differenza di ciò che accade nelle famiglie parentali, l’esclusione e l’emarginazione sono possibili in un contesto tribale e sono molto temute e dolorose per chi le subisce.  Ciascuna persona sta nella tribù come incastrata. La tribù poi si difende dal contesto sociale intorno separandosi  da esso o entrando in conflitto attivo.

  Innestare la formazione religiosa in un contesto comunitario di tipo tribale può apparire utile per consolidarla con quella pressione di cui si diceva. In realtà è altamente controproducente, perché è propria degli esseri umani, biologicamente, l’apertura sociale e questo a differenza delle specie che biologicamente  ci sono più vicine. Inoltre la buona novella evangelica veicola un messaggio di liberazione e di libertà. Vi è poi il rischio di confondere il messaggio religioso con altre tradizioni culturali che portano a travisarlo. Infine, tale modo di procedere è disastroso nella formazione dei giovani, i quali, per natura, devono  affrancarsi da simili contesti costrittivi, come dalle famiglie di origine. Di fatto, il risultato è, prima o poi, il rifiuto della comunità tribale e, insieme, della religione. E’ fatale che accada, soprattutto in una società aperta come quella in cui siamo immersi.

 

  Fare formazione vera, quella che rende liberi  della libertà dei figli di Dio costa tempo e fatica e bisogna esservi preparati. Non tutti quelli che si occupano di formazione appaiono tali.

 

«Cristo ci ha liberati per la libertà! Sta dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù» (Lettera ai Galati 5,1; detto a proposito dell’obbligo rituale di praticare la circoncisione)

 

  E’ discutibile l’idea di essere popolo di fede  secondo costumi tribali, perché non ci è stato ordinato di chiuderci  dentro delle tribù, ma di andare per il mondo a coinvolgere tutte le genti. Quest’idea si ritrova anche nel magistero di papa Francesco sulla Chiesa in uscita.

  Dunque, come essere popolo?

14. Quando ci riferiamo genericamente ad un popolo  di solito vogliamo intendere la gente che consideriamo esprimere una nazione. Quest’ultimo è un concetto molto recente nelle idee politiche, e risale fondamentalmente, in quell’accezione,  al Settecento ed ebbe il suo massimo sviluppo nel secolo seguente. La politica contemporanea lo sta recuperando in vari modi dopo il discredito che a lungo lo aveva colpito, per le catastrofi causate in Europa dai nazionalismi fascisti.

   Il  concetto di nazione  è affine a quello di popolo,  con una particolare accentuazione di ipotizzati legami di etnia e con un certo territorio. Ma è poi la politica che definisce l’estensione di quello che viene definito  stato nazionale  e quindi del suo popolo. Su queste basi, ad esempio, si fece il processo di unificazione politica italiana, compiuto nell’Ottocento, sulla base del mito della nazione e quindi  del popolo italiano, quindi di una narrazione colorata da molti elementi emotivi e discriminando nella storia delle genti italiane quelli che non si accordavano con essa. In realtà, ancora oggi come allora, variando certi criteri e tenendo conto di ciò che in precedenza si era ritenuto secondario, si possono distinguere nell’area geografica che politicamente si definisce Italia vari aggregati che, per storia e cultura, meriterebbero il titolo di nazioni  e di popoli. La necessaria correlazione tra governo  e nazione, per cui ogni nazione debba avere un suo governo,  non è mai stata storicamente data per scontata e venne proposta come ideale politico solo a partire dal Settecento in Europa. Nel mondo contemporaneo in genere gli stati presentano caratteri multi-nazionali, vale a dire che aggregano componenti sociali con caratteristiche di nazioni diverse. Bisogna evidenziare che l’ideale dello stato, vale  a dire di una istituzione di vertice che in linea di principio non riconosce altri poteri sopra di sé, sovrano  in questo senso, è stato teorizzato  sempre prima di quello di nazione, come fonte di legittimazione etica e politica del primo. Anche il concetto di nazione,  a differenza di quello sociologico di etnia e come quello di popolo, non descrive dunque una realtà della natura ma è una creazione politica, vale a dire finalizzato al governo di una determinata società.

15.   In altri contesti, la parola popolo  viene ad indicare solo una parte della società, contrapposta alla sua struttura istituzionale di vertice, in particolare nei sistemi politici basati sul dominio di aristocrazie di stirpe, come nell’antico sistema feudale europeo o come avveniva nell’antica repubblica di Roma, tramontata nel primo secolo dell’era antica con l’egemonia di Giulio Cesare.

  La sigla S.P.Q.R.,  usata nella Roma antica per definire il sistema di governo, significa, dalle iniziali in latino, il Senato e il Popolo Roma, dove originariamente il Senato era un organo collegiale di governo composto da membri di un’aristocrazia (anche se nel tempo vi furono ammessi anche coloro che non ne originavano), e il popolo era la parte restante della popolazione. E’ stata questa, fino al Concilio Vaticano 2° (1962-1965) e al codice di diritto canonico deliberato nel 1983 per conformare le istituzioni ecclesiastiche ai principi teologici affermati da quel Concilio, anche la concezione giuridica di popolo adottata nel governo della Chiesa.

16. Concludo le mie riflessioni sull’idea di popolo, in vista dell’incontro in Google Meet del prossimo 17 ottobre sul tema “Come siamo popolo?”. Sono basate sulle mie letture. Sarebbe molto utile che anche i lettori che pensassero di partecipare a quella riunione virtuale preparassero analoghe sintesi, da proporre nel dibattito. Ho proposto di articolare il dialogo in interventi piuttosto brevi, di tre minuti ciascuno, in modo da evitare che la riunione diventi una specie di conferenza in cui tutti quelli che ascoltano prendono come riferimento chi spiega, sempre che la loro attenzione resista un tempo sufficiente, e non è scontato. Lo schema della conferenza mal si adatta ad un incontro virtuale che non abbia come finalità un aggiornamento specialistico. Ma partecipare tutti richiede di prepararsi.

17. In una realtà di di base come quella parrocchiale, in teoria, secondo le regole del diritto canonico in vigore,  i fedeli dovrebbero essere chiamati a prendere decisioni in Assemblea e, in particolare, ad eleggere membri nel Consiglio pastorale parrocchiale, organo solo consultivo ma comunque manifestazione di una certa incipiente democraticità.  Spesso però queste procedure cadono in desuetudine e personalmente non ricordo di essere stato mai chiamato a parteciparvi nella nostra parrocchia.

  Quindi poi, a livello parrocchiale, ma ai livelli superiori mi pare vada addirittura peggio, i laici sono chiamati prevalentemente ad operare come collaboratori del parroco, al pari dei chierici assegnati alla parrocchia, senza che sia loro riconosciuta alcun ruolo di iniziativa o decisionale. Essi  del resto non sono abituati a collaborare tra loro e, a parte le pratiche individuali di pietà, si riuniscono in associazioni settoriali, prevalentemente dedite al perfezionamento spirituale, ciascuna gelosa del suo spazio. Anche in questo campo l’Azione Cattolica fa eccezione.

  Di questa situazione si è lamentato papa Francesco, ma certamente finora si è fatto poco di concreto per cambiarla. Bisognerebbe fare spazio ai laici, ma né loro, né i chierici, sono preparati a questa nuova organizzazione del lavoro. Quindi poi si continua a essere popolo  come prima.

  Ho letto che in alcune parrocchie italiane si sono tentati processi sinodali  per rinvigorire le forme di partecipazione che sulla carta ci sono ancora. Il sinodo dovrebbe essere una organizzazione che, nell’arco di un periodo abbastanza lungo, mesi o addirittura un anno, induca una maggiore coesione nel popolo, chierici e laici, in modo da generare impegni di azione collettiva condivisa e partecipata. Il primo scoglio  è stato, come sempre accade nelle procedure democratiche, e quella sinodale in alcuni suoi aspetti lo è,  individuare chi aveva diritto a prendervi parte: i residenti  nel territorio parrocchiale o anche chi aveva preso l’abitudine a frequentare una parrocchia diversa da quella con giurisdizione sul suo luogo di residenza. La questione  è particolarmente spinosa nella nostra parrocchia, dove in una delle organizzazioni laicali esistenti, la più numerosa, sono presenti molti non residenti che vengono in parrocchia solo per gli eventi di quella loro congregazione. In effetti la parrocchia ha assegnati, come prevedeva il codice di diritto canonico del 1917, un territorio  e un popolo, che è quello che su quel territorio abita, ma, in realtà, non si sa precisamente chi siano quelli di quel popolo che vogliono (e sarebbero disposti a spendere il proprio tempo per) essere parte attiva nell’istituzione parrocchiale, e non semplici utenti  di servizi religiosi. Questo, però, ha in fondo poca importanza per come va una parrocchia ancora oggi, perché quel popolo non conta nulla. Cambiare questa situazione, in un processo sinodale, richiederebbe di conoscerlo,  quel popolo, ma, su questa via, potrebbero aversi spiacevoli sorprese. In teoria ho stimato che quelli che fanno riferimento alla religione cristiana per la loro etica, e talvolta anche per la loro spiritualità sono circa 15.000 nella nostra parrocchia; in pratica, contando invece quelli che sarebbero veramente  disposti ad essere popolo attivo secondo le nuove (per modo di dire) idee conciliari, potrebbe arrivarsi a poche decine di persone. Bisognerebbe intanto cominciare da questi, perché la democrazia, in qualsiasi misura la si introduca, ha la caratteristica di essere contagiosa, quindi di diffondersi e di appassionare. Ma, appunto, non si è formati a farlo e, anzi, dei processi democratici si è anche molto sospettosi.

 

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli