Fede
e…
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1. In genere, nella formazione religiosa di primo e
secondo livello, che per i più è l’unica che riceveranno nella vita, si sorvola
abbastanza sulla motivazione alla fede. Per i più piccoli perché si pensa che
non sia un problema d’attualità alla loro età e che basti dir loro che pensare
e che fare perché lo pensino e lo facciano. Per i più grandi in quanto si
suppone che la questione l’abbiano risolta prima di richiedere o di accettare
quel tipo di istruzione. Si tratta di idee sbagliate, come ognuno sa se solo
riflette su come e quando accettò o perse la fede, a volte prima accettò e poi
perse, altre volte l’inverso. Una motivazione alla fede religiosa è sempre necessaria, ad ogni età e secondo la capacità
di comprensione e le esigenze di ogni età. Né vale solo la pressione sociale,
che in Occidente è venuta da tempo meno, o la pressione creata artificialmente
in un gruppo molto coeso che dà protezione, riconoscimento e solidarietà a
fronte di sottomissione. Una fede fondata prevalentemente sul conformismo opportunistico è insincera e
quindi fragile.
Nella formazione religiosa di base, tuttavia,
non c’è tempo per occuparsi della motivazione alla fede e chi se ne occupa non
è di solito formato per questo lavoro. Chi anima quell’attività dovrebbe essere
capace di farlo mettendo in relazione la fede con la condizione umana, e quindi
anche sociale, di chi si sta formando, vale a dire di articolare un discorso e
tirocini su “fede e…” (politica, economia, cultura, scienza, famiglia e
amore ecc.), senza risolvere tutto nell’esposizione di precetti spiccioli. Per
questo sarebbe necessario che tutti gli agenti della formazione, chierici,
religiosi e laici, fossero in una reale
interrelazione con l’ambiente sociale di riferimento, cosa che, almeno fino
agli scorsi anni ’80, fu una caratteristica peculiare dei cattolici italiani,
ma ora non più. Si può ricordare la grande importanza che, nella politica
italiana, dall’epoca dello sviluppo di processi democratici, nell’Ottocento,
ebbero i preti cattolici, come Gioberti, Murri, Sturzo, Mazzolari, Montini,
Dossetti, Milani, Baget-Bozzo. Oggi mi pare che la formazione dei preti e dei
religiosi sia piuttosto spiritualista, adatta a compiti di animazione
devozionale o caritativa, ma poco più. Allargarsi può costare caro tra i cattolici, per chi ha fatto della
propria vocazione una professione, in particolare per dirigere e ammaestrare.
Questo comporta che chi ha avuto una formazione religiosa da quei maestri,
crescendo la trova inutile perché sganciata dalla realtà. La ricerca poi più
che altro come consolazione e conforto nelle difficoltà della vita o come
medicina dell’anima.
A cavallo tra gli scorsi anni ’70 e ’80,
quelli decisivi per la mia decisione per la nostra fede, si faceva
diversamente, pur tra molti contrasti. Tra i cattolici più assidui e motivati
ci si divideva abbastanza, ma anche si discuteva molto più di oggi, e quella
discussione rafforzava nella fede, perché ci si appassionava agli argomenti
utilizzati. Quel clima vivace spaventò la nostra gerarchia e il papa Karol
Wojtyla impose un nuovo metodo, basato sull’esperienza polacca fino agli anni
’80 di resistenza contro un regime che considerava politicamente dannosa la
religione e la combatteva con decisione. Ora si inscena un clima di sinodalità
insincera, in cui i contrasti che ci sono vengono sopiti nelle occasioni
ufficiali, ma non sono in realtà veramente risolti. Solo alti gerarchi se ne
esimono, in particolare per attaccare il Papa regnante, il quale dal canto suo
fa largo uso del suo potere disciplinare: in questo modo la cosa appare come un
aspro conflitto di palazzo, a cui i fedeli rimangono piuttosto estranei e
indifferenti. Del resto la gente si trova a disagio quando deve discutere sulle
motivazioni della propria fede e sui temi di “fede e…”, perché hanno
poca pratica e in genere sono abituati ad assistere e a parlare solo recitando formule liturgiche. Questo poi rende poco
efficace il cosiddetto apostolato dei laici, quel lavoro di
evangelizzazione che ciascuno dovrebbe sentirsi impegnato a svolgere, ma, per
la verità, anche quello di chierici e religiosi. Questo nonostante l’enorme
impatto mediatico che ancora il Papa regnante ha. Il resto scompare.
Questo nelle scorse settimane mi è risultato piuttosto evidente, assistendo
alla trasmissione televisiva in cui è
inserita la messa domenicale: praticamente è tutta costruita intorno all’attività del
Papa.
2. Uno dei principali
impegni dell’Azione Cattolica è proprio quello della motivazione alla fede
affrontando apertamente il discorso su “fede e…”, l’altro è quello dell’animazione democratica della
società per affermarvi i valori della fede secondo la nostra dottrina sociale,
che non significa naturalmente cristianizzarla, come si propongono
integralisti e fondamentalisti, perché la democrazia esige anche la laicità
delle istituzioni pubbliche o non è tale. Su questo si è sviluppato un
vastissimo Magistero che, nel complesso, è individuato come dottrina sociale,
che deriva da un ancora più vasto pensiero sociale, nella cui formazione
è molto rilevante il contributo dei laici. Infatti, fin dalle origini, la
dottrina sociale ha acquisito il contributo del pensiero sociologico,
filosofico, economico e di altra natura, raccordandolo con quello
specificamente teologico, indicando la via per ragionare su “fede
e…”.
Da
universitario, studiai, con una certa difficoltà, un testo colto del teologo
gesuita Karl Rahner, Corso fondamentale sulla fede - Introduzione al cristianesimo, pubblicato
nel 1976 in Germania e qualche tempo
dopo da Edizioni San Paolo in traduzione italiana, che si proponeva anche di
dare una prima motivazione colta alla fede. Scritto da un celebre teologo ma
non secondo i canoni del discorso teologico accademico, venne piuttosto criticato
dai teologi, in particolare per i suoi scarsi riferimenti alle Scritture, alla Tradizione
e al Magistero.
Rahner partiva da questo assunto:
«Anche il giovane
teologo possiede una fede messa in discussione, niente affatto evidente, che va
continuamente riacquistata e ricostruita,
e non deve vergognarsi di questo. Egli può senz’altro riconoscere questa situazione a lui
preesistente, perché oggi egli vive o addirittura viene da una situazione spirituale che non
permette più al cristianesimo di apparire come una cosa ovvia e indiscutibile»
Ragionare
sulla motivazione alla fede, scriveva anche, non può essere considerato un
lusso da specialisti teologi. Quella riflessione fa parte della motivazione della
fede e, se mancasse, la fede cesserebbe di esistere. Ma, di più: rende comunicabile
la fede, che vive in maniera più originaria nella profondità dell’esperienza, ma che finché rimane lì non lo è.
Ognuno pensa la propria fede e, pensandola, se ne convince, per quanto,
come in ogni altro nostro pensiero, la riflessione sia anche legata a stati
emotivi, perché, come ci confermano gli psicologi, la nostra è una mente emotiva.
E’ proprio l’emotività che c’è nel nostro ragionare che richiede un pensiero che
si sviluppi in una comunità di pensanti. La nostra vita emotiva è strettamente legata alla nostra esperienza sociale, di interrelazioni. La motivazione della fede è
frutto di un sentire e pensare insieme. Nessuno si salva da solo, si dice, ma
anche nessuno si convince da solo.
Accostarsi ad un testo di teologia lascia
come un senso di ebbrezza, come sempre quando ci si confronta con la totalità
e con il senso della vita. Questa è la bellezza di quella disciplina per l’interiorità
personale, ma è anche il principale suo rischio, per cui, ad esempio, un
maestro nel campo del discorso sui “fede e…”, Giuseppe Dossetti, sconsigliava ai laici di
eccedere. E, per quanto fosse capace di mediare teologia e..., e sicuramente di motivare potentemente alla fede e soprattutto all'azione sociale ispirata dalla fede, non gli fu riconosciuta la qualità di teologo.
Riavutomi da quell’ebbrezza, dopo aver conquistato,
con un certo impegno, il libro dei Rahner, pur dedicato fondamentalmente a
principianti, mi sono reso conto del principale limite del discorso in esso sviluppato,
che non era tanto quello segnalato dai colleghi dell’autore, quanto nella
mancanza di riferimenti alla storia, sia a quella delle Chiese cristiane sia a
quella delle società da esse vissute, subite, influenzate, dominate, oppresse.
Infatti nel testo si mette in relazione la fede solo con l’interiorità personale, per
convincere e radicare nella fede, ma la fede religiosa è prevalentemente una realtà
sociale, e quest’ultima ha una sviluppo storico, per cui si crede come si crede
nella società di riferimento, in particolare nel proprio mondo vitale,
la parte di società che sorregge e determina nelle decisioni fondamentali.
E a questo limite, piuttosto diffuso anche dove la formazione religiosa comprende propriamente una motivazione alla fede, che bisognerebbe tentare di porre rimedio, in particolare nell’attività
di autoformazione laicale che si fa in un gruppo di Azione Cattolica.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente
papa – Roma, Monte Sacro, Valli