Nuovi mondi
“Il
mondo va com’è sempre andato”: a chi non è venuto in mente, dalla mezz’età in
poi? E’ un pensiero che troviamo anche nella Bibbia, in particolare nel libro
del Qoelet:
L’uomo
si affatica e tribola per tutta una vita.
Ma
che cosa ci guadagna?
Passa
una generazione e ne viene un’altra;
ma
il mondo resta sempre lo stesso.
Il
sole sorge, il sole tramonta;
si
alza e corre verso il luogo
da
dove rispunterà di nuovo.
Il
vento soffia ora dal nord ora dal sud,
gira
e rigira, va e ritorna di nuovo.
Tutti
i fiumi vanno nel mare,
ma
il mare non è mai pieno.
E
l’acqua continua a scorrere
dalle
sorgenti dove nascono i fiumi.
Tutte
le cose sono in continuo movimento,
non
si finirebbe mai di elencarle.
Eppure
gli occhi non si stancano di vedere
né
gli orecchi di ascoltare.
Tutto
ciò che è già avvenuto accadrà ancora;
tutto
ciò che è successo in passato succederà anche in futuro.
Non
c’è niente di nuovo sotto il sole.
Qualcuno
forse dirà: «Guarda, questo è nuovo!».
Invece
quella cosa esisteva già
molto
tempo prima che noi nascessimo.
Nessuno
si ricorda delle cose passate.
Anche
quello che succede oggi
sarà
presto dimenticato da quelli che verranno.
[Dal libro del Qoelet, capitolo 1, versetti
da 1 a 11 - Qo 1, 1-11 - versione in italiano TILC Traduzione interconfessionale
in lingua corrente]
Se consideriamo i fatti della natura, compresa
la fisiologia del nostro organismo, le trasformazioni avvengono in tempi tanto
lunghi che possiamo dire che, per quanto personalmente ci riguarda, noi
la cui speranza di vita (in Europa occidentale) è intorno agli ottant’anni, in genere è così, rispetto a fenomeni che
si sviluppano in migliaia, milioni o addirittura miliardi degli anni terrestri,
anche se le scienze ci avvertono che in
realtà tutto cambia. E, comunque, mutamenti molto veloci avvengono anche
lì e gli eventi che lo dimostrano in modo più eclatante sono i terremoti e le
eruzioni dal profondo del pianeta. Qualcosa del genere sta avvenendo anche per
il clima. Il nostro corpo è, però, più o
meno lo stesso da circa duecentomila anni e così anche la nostra mente che ne è
un prodotto. Com’è allora che le nostre società, frutto di dinamiche di
relazione potentemente sorrette dalla nostra mente, stanno trasformandosi profondamente con
una velocità vertiginosa? E’ questo il nostro problema sociale principale, che
anche in religione dobbiamo affrontare.
Di solito immaginiamo
la nostra religione come immutabile, almeno nei fondamenti. Sarebbe la prima
nella storia dell’umanità ad esserlo. Tuttavia proprio lo studio della storia
ci dovrebbe convincere che in realtà è andata incontro a molte trasformazioni,
anche nei fondamenti. E questi ultimi, dal punto di vista culturale, non
risalgono veramente alle origini, anche se in teologia si dà per presupposto il
contrario, altrimenti non si saprebbe più dove ancorare i propri ragionamenti.
Le culture
delle società umane cambiano. Sono produzioni sociali, sono il riflesso dei mutamenti
delle società di riferimento. L’ultimo
secolo e mezzo della storia europea è stato però caratterizzato dal tentativo
del Papato romano di bloccare l’evoluzione del cattolicesimo verso forme
sociali coerenti con i mutamenti delle società intorno.
Si è cercato
di porre dei punti fermi, non negoziabili, e li si è affidati ad
un’autorità costruita come autocratica e assolutistica, espressa al vertice da
una sola persona, mitizzata. Nella nostra confessione la mitizzazione religiosa
ha il suo vertice nelle procedure di beatificazione. Da qui poi, possiamo
riconoscere francamente, il gran numero di Papi dell’ultimo secolo e mezzo elevati,
come si dice, agli onori degli altari, nell’epoca dell’assolutismo
ecclesiastico: Pio 9°, il Papa che promosse e nel 1870 promulgò la Costituzione
“Bonus Pastor”, del Concilio Vaticano 1°, con la quale si proclamò il dogma dell’infallibilità papale in
materia di verità di fede e morale, e Giovanni Paolo 1° beati; santi Pio 10°, Giovanni
23°, Paolo 6°, Giovanni Paolo 2°.
L’illusione
di mantenere la coerenza di un ordinamento politico assoggettandolo alla volontà
di una sola persona è antica, addirittura preistorica secondo la
paleoantropologia, ed ha ancora molto seguito. Quando si pensa di riformare un’organizzazione
si immagina che ciò possa avvenire cambiandone il capo e mitizzandolo, quindi
costruendovi sopra una narrazione connotata da elementi emotivi che ne faccia
un personaggio soprannaturale, con virtù straordinarie, come quella di non
sbagliare mai o di governare da solo società ed organismi sociali molto complessi
(in realtà intorno ad ogni capo è
sempre individuabile una cerchia in cui
egli è inserito e che esercita realmente il controllo sociale, o almeno cerca di
farlo). Definiamo soprannaturale chi e ciò che è libero dalle dinamiche secondo le
quali si muove la natura.
Un esempio storico
molto eclatante di questo processo fu il mito costruito in torno a Napoleone
Bonaparte (1769-1821), il quale da ufficiale d’artiglieria si creò “Imperatore di Francia”: il suo mito
era diventato tanto potente che, quando fu vinto e destituito per la seconda e
ultima volta, non fu giustiziato dalle potenze vincitrici, come spesso accade
in casi simili, ma esiliato nella
lontana isola atlantica di Sant’Elena, oggi come allora colonia britannica, vigilato
da un potente dispositivo militare per impedirne la fuga, tutto per lui solo.
Un mito soprannaturale che affascinò un grande della nostra letteratura
Alessandro Manzoni, il quale ne scrisse nella poesia Il Cinque Maggio.
Ei fu. Siccome immobile,
dato il
mortal sospiro,
stette la
spoglia immemore
orba di tanto
spiro,
5 così
percossa, attonita
la terra al
nunzio sta,
muta pensando
all’ultima
ora dell’uom
fatale;
né sa quando
una simile
10 orma
di piè mortale
la sua
cruenta polvere
a calpestar
verrà.
Lui
folgorante in solio
vide il mio
genio e tacque;
15 quando,
con vece assidua,
cadde,
risorse e giacque,
di mille voci
al sonito
mista la sua
non ha:
vergin di
servo encomio
20 e di
codardo oltraggio,
sorge or
commosso al subito
sparir di
tanto raggio;
e scioglie
all’urna un cantico
che forse non
morrà.
25
Dall’Alpi alle Piramidi,
dal
Manzanarre al Reno,
di quel
securo il fulmine
tenea dietro
al baleno;
scoppiò da
Scilla al Tanai,
30
dall’uno all’altro mar.
Fu vera
gloria? Ai posteri
l’ardua
sentenza: nui
chiniam la
fronte al Massimo
Fattor, che
volle in lui
35 del
creator suo spirito
più vasta
orma stampar.
La procellosa
e trepida
gioia d’un
gran disegno,
l’ansia d’un
cor che indocile
40 serve
pensando al regno;
e il giunge,
e tiene un premio
ch’era follia
sperar;
tutto ei
provò: la gloria
maggior dopo
il periglio,
45 la
fuga e la vittoria,
la reggia e
il tristo esiglio;
due volte
nella polvere,
due volte
sull’altar.
Ei si nomò:
due secoli,
50 l’un
contro l’altro armato,
sommessi a
lui si volsero,
come
aspettando il fato;
ei fe'
silenzio, ed arbitro
s’assise in
mezzo a lor.
55 E
sparve, e i dì nell’ozio
chiuse in sì
breve sponda,
segno
d’immensa invidia
e di pietà
profonda,
d’inestinguibil odio
60 e
d’indomato amor.
Come sul capo
al naufrago
l’onda
s’avvolve e pesa,
l’onda su cui
del misero,
alta pur
dianzi e tesa,
65
scorrea la vista a scernere
prode remote
invan;
tal su
quell’alma il cumulo
delle memorie
scese!
Oh quante
volte ai posteri
70
narrar sé stesso imprese,
e sull’eterne
pagine
cadde la
stanca man!
Oh quante
volte, al tacito
morir d’un
giorno inerte,
75
chinati i rai fulminei,
le braccia al
sen conserte,
stette, e dei
dì che furono
l’assalse il
sovvenir!
E ripensò le
mobili
80
tende, e i percossi valli,
e il lampo
de’ manipoli,
e l’onda dei
cavalli,
e il
concitato imperio,
e il celere ubbidir.
85 Ahi!
Forse a tanto strazio
cadde lo
spirto anelo,
e disperò; ma
valida
venne una man
dal cielo
e in più
spirabil aere
90
pietosa il trasportò;
e l’avviò,
pei floridi
sentier della
speranza,
ai campi
eterni, al premio
che i
desideri avanza,
95 dov’è
silenzio e tenebre
la gloria che
passò.
Bella
Immortal! benefica
Fede ai
trionfi avvezza!
scrivi ancor
questo, allegrati;
100 ché
più superba altezza
al disonor
del Golgota
giammai non
si chinò.
Tu dalle
stanche ceneri
sperdi ogni
ria parola:
105 il
Dio che atterra e suscita,
che affanna e
che consola,
sulla deserta
coltrice
accanto a lui
posò.
Notate come la figura del Bonaparte in questo
testo sia legata ad elementi religiosi, fin nelle ultime, potenti e indimenticabili,
strofe.
Se però poniamo a confronto il magistero del
papa Pio 9° e quello di papa Francesco (167 anni tra l’inizio del ministero del
primo e quello del secondo), due infallibili, ci possiamo rendere bene conto dell’evoluzione
profonda del pensiero dall’uno all’altro,
che si è tradotto anche in atti legislativi (gran parte dei documenti pubblici
di un papa lo sono, anche se con varia forza ed estensione). Il mito che si è
voluto costruire intorno al ministero papale non appare più sufficiente ad
affrontare società, come quelle in cui viviamo, che si stanno trasformando con
estrema velocità.
E’ chiaro che non basta una sola persona a garantire coerenza al sistema. Da qui poi il
recupero dell’idea di sinodalità, ma in un senso molto diverso da come inteso
nei secoli passati, in cui fu sostanzialmente affare di gerarchi civili ed
ecclesiastici prima, e poi solo ecclesiastici.
La si pensa come un processo che riguardi tutte
le persone di fede, colte e incolte,
in virtù solo non tanto della loro
fede, che i più non sanno nemmeno descrivere con la precisione che la teologia
richiede, ma della loro vita di fede.
Spesso mi pare che si pensi che la vita
di fede è originata dalla teologia della fede, e questo credo sia stato anche il
criterio seguito nell’organizzare la fase di ascolto del Popolo di Dio
nei processi sinodali avviati l’autunno dello scorso anno, ma in realtà accade
proprio il contrario ed è sempre stato così, fin dalle origini del cristianesimo,
movimento sociale manifestatosi progressivamente dopo la morte del Maestro: la
vita di fede precede la teologia. Entrambe, dal punto di vista delle culture
umane, intese come complesso di concezioni, usi e costumi, linguaggio compreso,
sono produzioni sociali, ma la teologia si forma riflettendo sulla vita.
E’ possibile riconoscere che, più o meno
dagli anni Sessanta, in Italia abbiamo cominciato a vivere la fede diversamente
dal passato, in particolare esercitando molto più di prima la libertà di
coscienza, per cui ci si sente responsabili di tutto? Pensiamoci su.
E facciamolo insieme. Se questo è vero, cioè se è proprio così che è andata,
allora ne deriva che anche il mito del Popolo
nell’era dell’assolutismo ecclesiastico, quel Popolo la cui principale virtù era di
obbedire ai
Pastori, vale a dire alla gerarchia ordinata come una autocrazia assolutistica,
e ciò al modo di un mero gregge, non va più tanto bene. Ci manca però un nuovo mito sul Popolo.
Senza non si costruisce la società né la si trasforma. Va detto che un problema analogo riguarda
anche le società civili europee contemporanee. E’ quindi generale.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte
Sacro, Valli