I Cantieri di Betania -2
L’immagine del Cantiere, utilizzata per rendere l’idea di come si propone di lavorare quest’anno sulla sinodalità, è una metafora: serve per rendere l’idea di un cooperare prolungato per costruire qualcosa destinato a durare, appunto come si fa in un cantiere. Vale a dire che non ci si vuole appagare del solo trovarsi insieme e anche del solo lavorare, ciò che conta è quello che si vuole costruire.
Per la verità, come è stato osservato, in materia di sinodalità già il solo lavorare insieme realizza ciò che ci si propone di costruire. Ma è un inizio, sebbene un buon inizio, perché si vorrebbe rendere permanenti questo metodo e soprattutto un certo spirito con cui si lavora. È un’idea che la parola sinodalità non esprime, ma che le è stata storicamente associata, vale a dire quella di procedere insieme collaborando con pari dignità.
Attualmente la massima parte delle persone di fede, in particolare le donne, vive nelle nostre Chiese in una condizione di dura umiliazione, che non ha nulla a che fare con l’umiltà evangelica, anche se chi comanda cerca di spacciarla come tale.
Nell’attuazione della sinodalità si vorrebbe cambiare questa situazione, che abbiamo ricevuto dalla tremenda storia dei secoli passati e che ci accomuna tuttora ad esperienze religiose di altre fedi e di altri tempi della nostra religione che, a parole e non col cuore, vengono di solito ripudiate dal nostro Magistero.
Il costruire sociale comporta anche una revisione dei miti sociali e delle procedure, a partire dalle consuetudini per proseguire con le norme formali.
Di questo nella nostra parrocchia abbiamo fatto esperienza nel tentativo abortito di riforma comunitaria pervicacemente perseguito tra il 1983 e l’autunno del 2015. La ragione del suo fallimento è stata principalmente nel fondamentalismo e integralismo che lo ispirava, che sono presto sfociati in assolutismo, per cui si pensava di sostituire integralmente tutto ciò che c’era prima: la gente non l’ha tollerato e ha cominciato ad allontanarsi. L’immigrazione religiosa da altri quartieri non e bastata a colmare le perdite e, ad un certo punto, veramente troppo tardivamente, si è corsi ai rimedi, cercando di ripristinare un certo pluralismo. Nel frattempo, però, in Italia si era spento l’attivismo che, più o meno fino alla fine degli anni ’80, aveva fortemente connotato il cattolicesimo italiano, facendone un unico nel mondo. Così s’è fatto ciò che si è potuto.
La partecipazione ai processi sinodali potrebbe essere l’occasione per fare di più. A conti fatti, il problema di quel tentativo di riforma fondamentalista non è stato tanto nel suo fondamentalismo, la maggior parte degli ordini religiosi storici lo manifestano, ma proprio nel suo assolutismo autocratico, vale a dire nel suo essere l’antitesi della sinodalità. Del resto da secoli ogni riforma ecclesiale si è più o meno mossa così, salvo quella che si tentò di produrre negli scorsi anni Sessanta, con il Concilio Vaticano 2º.
L’idea di metter su dei cantieri per lavorare sinodalmente sulla sinodalità non parte dalla presunzione di sapere già che fare. Dunque ingloba anche l’idea di laboratorio, che è quando ci si riunisce per lavorare su una ricerca.
In effetti, nella presentazione dei Cantieri c’è anche questo termine, laboratorio, per spiegare ciò che si intende per cantiere:
Un cantiere si può immaginare come un percorso che, facendo leva sulla narrazione dell’esperienza, conduca a momenti di approfondimento e di formazione con l’aiuto di competenze specifiche, senza limitarsi a organizzare singoli eventi.All’interno di ogni cantiere potranno dunque trovare spazio, a titolo di esempio: riunioni di gruppi sinodali; momenti di studio; celebrazioni e iniziative pubbliche aperte al territorio; laboratori di progettazione; incontri in luoghi di particolare valore sociale o culturale.
Si scrive anche, più avanti, del «carattere laboratoriale ed esperienziale dei cantieri».
Ed anche: «Quella del cantiere è un’immagine che indica la necessità di un lavoro che duri nel tempo, che non si limiti all’organizzazione di eventi, ma punti alla realizzazione di percorsi di ascolto ed esperienze di sinodalità vissuta, la cui rilettura sia punto di partenza per la successiva fase sapienziale.»
Ecco quindi: si ha di mira la sinodalità vissuta realizzata in quei cantieri-laboratorio, per poi rifletterci sopra, anche, probabilmente, tirando di mezzo la teologia (sconsigliabile in queste fasi precoci), ma più in generale per arricchire il mito della sinodalità, che ora è ancora molto striminzito e inadeguato
Nel documento I Cantieri di Betania si propongono – si sostiene sulla base delle indicazioni scaturite dal primo anno di ascolto – tre grandi aree tematiche:
- relazioni con la società intorno;
- organizzazione interna;
- i ministeri ecclesiali, vale a dire i compiti assegnati alle persone nell’interesse comunitario.
Nel descriverle nel documento si scrive in ecclesialese, per cui sopra ho dovuto decrittare e sintetizzare.
Ne I Cantieri di Betania ci si rende conto del problema e infatti i suoi autori ad un certo punto scrivono:
Di quali linguaggi dobbiamo diventare più esperti? Come possiamo imparare una lingua diversa dall’“ecclesialese”?
La questione femminile, che evidentemente gli autori del documento avvertono come pericolosa, è confinata in poche righe nel terzo punto. Nel secondo si chiede di esaminare se esistano «esperienze ospitali positive per ragazzi, giovani e famiglie», quindi di riflettere su ciò che già è stato sperimentato. Chissà perché le persone adulte che non siano genitrici non sono menzionate, eppure sono molte di più di un tempo. È il campo dei nuovi movimenti del post-concilio, ma anche dell’Azione Cattolica riformata alla fine degli anni Sessanta. Va detto che l’Azione Cattolica è già un’esperienza totalmente sinodale.
Nel documento I Cantieri di Betania si immagina che l’organizzazione della fase di ascolto si svolga in una organizzazione rigidamente controllata dalle Diocesi, ciascuna delle quali può aggiungere una quarta area tematica, un quarto cantiere-laboratorio, secondo le esigenze locali. Non c’è la minima apertura ad esperienze progettate dalla base, che poi si coordinino con le altre (un fenomeno che caratterizzò l’effervescenza post-conciliare quando, a sangue freddo, si decise deliberatamente di porvi termine dalla metà degli scorsi anni ’80).
Il livello più vicino alla gente che viene preso in considerazione è quello delle equipe pastorali parrocchiali, i piccoli gruppi di esperti nominati dai parroci, che purtroppo a Roma stanno soppiantando i Consigli pastorali, i quali in altri documenti vengono considerati incubatori di sinodalità. Si entra in quelle equipe per volontà del solo gerarca di prossimità e ci si rimane a quella condizione: difficile quindi che vi si sviluppino istanze critiche.
Rilevo che nel Documento si sostiene che nel secondo anno si vorrebbe coinvolgere anche le persone che non hanno partecipato alle attività del primo, mentre nel Vademecum che l’accompagna con indicazioni operative, si sostiene addirittura che «Non tutti coloro che hanno partecipato al primo anno potranno essere coinvolti nei cantieri», restringendo ulteriormente la già minima partecipazione comunitaria. Tuttavia si precisa che agli esclusi «sarà bene fornire una prospettiva di continuità della partecipazione al Cammino e favorire il loro impegno per crescere nella capacità di vivere in modo sinodale la vita ordinaria della Chiesa». Lo interpreto nel senso che la burocrazia ecclesiastica lavorerà con il proprio personale, clero, religiosi, dirigenti dell’associazionismo e del movimentismo ecclesiali, equipe pastorali, in tal modo sentendosi dire, alla fine, ciò che ha deciso debba unanimemente essere detto, che varrà (in modo antisinodale) come parola ascoltata dal Popolo di Dio, ma che non sono escluse altre esperienze di base «per crescere nella capacità di vivere in modo sinodale la vita ordinaria della Chiesa». C’è quindi un sia pur minimo spazio per esperienze sinodali autoconvocate.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli