Mito, sacro, sacerdozio, magia
1. Le persone hanno meno dimestichezza con i
concetti e il lessico religiosi e questo
anche se idee religiose permangono nella cultura popolare, veicolate ad esempio
dalle produzioni televisive e cinematografiche. In quest’ultimo ambito la fanno
da protagonisti papi, preti e religiosi, da cui una certa sensazione di
estraneità nell’altra gente che vive vite diverse.
Dalle persone colte spesso la religione è
vista come cosa da bimbi, vecchi e primitivi. Del resto le nostre chiese sono
popolate prevalentemente dai più giovani e dai più anziani. Il clericofascismo
endemico in Italia contribuisce poi a diffondere ancora il pregiudizio del
filosofo idealista Giovanni Gentile (1875-1944) della religione come filosofia
per gli incolti.
Infine la pesante pressione della gerarchia
per l’imposizione della teologia di corte come direttiva primaria per ogni
forma di pensiero religioso concorre a indurre l’immagine della vita religiosa
come esperienza poco libera e chiusa.
Tutto questo incide negativamente sugli
sviluppi delle esperienze di sinodalità che faticosamente si sta cercando di
avviare di questi tempi e dalle quali ci si attende molto, addirittura una riforma
della vita ecclesiale. Ma che,
per funzionare come tali, non devono essere limitate alle piccole cerchie delle
corti gerarchiche.
E’ possibile cercare di superare queste
difficoltà?
E’ possibile, ma, e lo sottolineo, non è cosa
da preti o da religiosi. Questo perché, purtroppo, non sono persone libere. Ne
soffrono, certo. Probabilmente i più hanno accettato liberamente quei
condizionamenti, ma molti poi, vivendo quella vita, si rendono conto che non
sono poi così indispensabili per la missione loro affidata. Ma questi sono
problemi che le persone laiche non possono accollarsi. Ogni persona è
responsabile del proprio stato di vita.
Dunque, le persone laiche che hanno mantenuto
consuetudini di vita religiosa sono le sole ad avere l’opportunità di
introdurvi chi le ha perse. Nel gergo ecclesialese questo verrebbe definito pre-evangelizzazione,
che è un’attività in genere assolutamente carente nelle nostre comunità di
fede. Spesso si suppone, a torto, che
basti mettere in mano a una persona un’edizione in italiano del Nuovo
Testamento per coinvolgerla nell'esperienza di fede. Naturalmente, poi, si può temere che
la fase di evangelizzazione vera
e propria, condotta sulla base dell’efferata teologia di corte guasti tutto.
Definisco teologia di corte quella finalizzata essenzialmente a
sottomettere le persone di fede al potere sacralizzato dell’autocrazia
gerarchica ecclesiastica. Un compito al quale francamente non mi sento adatto e
per cui ci sono preti e religiosi. Rispetto il Papa, i vescovi, i preti e i
religiosi, ma in coscienza, ripudio di esserne asservito, ripudio il potere
sacralizzato, mentre ne accetto l’autorità come servizio, senza la quale non
può esistere società. Mi glorio della libertà di figlio che ci è stata
accordata nella nostra fede.
2. Le religioni sono, dal punto di vista culturale, dei sistemi di miti. Il
mito è una narrazione semplificata che rende il senso della vita. Religioni e miti sono forme di
conoscenza, servono per capire. Non sono, quindi, solo per le persone
incolte o per i primitivi. Hanno natura mitologica concetti politici
fondamentali come popolo, nazione, eguaglianza, libertà,
persona. Ricordo sempre che anche
il diritto ha fondamenti mitologici, questo anche, se, per suo statuto, mantiene,
a differenza della teologia, un forte radicamento sociale, in particolare nelle
consuetudini.
La necessità dei miti deriva da come funziona
la nostra mente e dalla necessità di dare un senso all’esistenza. Ci occorrono come sostegno
emotivo. Infatti, come hanno scoperto le scienze cognitive, la nostra è una mente
emotiva. Le emozioni ci
servono per capire. Da qui poi le religioni, che sono produzioni sociali
che integrano i miti fondamentali in un sistema coerente. La creazione di miti
e di religioni è continua nelle società umane, anche se le religioni storiche,
quelle che abbiamo ricevuto da lontani passati, pretendono di solito
l’esclusività e diffamano le altre, più recenti, come sette, dopo
essersi duramente combattute fra loro fino ad epoche piuttosto recenti, e in
alcuni casi ancor oggi. Le neo-religioni spesso non hanno le caratteristiche
formali delle precedenti, per cui non vengono nemmeno percepite come religioni.
Una religione è tale se è una produzione sociale che si basa su miti per
dare senso all’esistenza.
E’ chiaro che, in quest’ordine di idee, non
attribuisco al mito un connotato di falsità. Il mito ha una sua verità
perché coglie il senso della vita in una certa epoca storica e in una certa
società. Si parla di vero/falso anche in altri contesti. Ad esempio nella
logica e allora qui si intende per falso ciò che non è coerente con
certe premesse convenzionalmente accettate. Oppure, nelle scienze della natura,
che studiano oggetti fisici o processi che coinvolgono oggetti fisici, riferendosi
a ciò che non descrive quello che può essere osservato secondo una metodologia
convenzionalmente accettata. O ancora, nelle scienze storiche, delle quali i
processi giudiziari sono una sottocategoria, ciò che non è testimoniato da
fonti degne di fede secondo certi criteri convenzionalmente dati.
Definiamo scienza un sistema organizzato di conoscenze prodotto
da una comunità di studiosi la quale ne definisce
condividendoli l’oggetto e il metodo, che deve comprendere un argomentare secondo
certi principi logici, in particolare la coerenza con le premesse e la non contraddizione, e la consapevolezza di tutti i risultati già condivisi in precedenza e quella realistica della materia oggetto
degli studi. Secondo questi principi, le teologie, per come si sono organizzate
più o meno dal Tredicesimo secolo, sono scienze. Per le scienze della natura vi
è l’ulteriore requisito del fondarsi sull’osservazione sistematica dei fenomeni
fisici, condotta secondo metodologie accreditate, che comprendono, dove
possibile, il tentativo di replicarli. E’ chiaro, quindi, che la teologia non
è assimilabile a una scienza della
natura, perché, invece, si fonda su miti religiosi. La consapevolezza di ciò risale
più o meno al Settecento e non è ancora patrimonio culturale comune. Anzi, spesso
la gente diffida delle scienze della natura e delle tecnologie che ne derivano.
Così anche le teologie e, sulla loro scia, il Magistero ecclesiastico.
Le nostre automobili funzionano in base a tecnologie
sviluppate secondo quanto scoperto dalle scienze della natura, e quindi per accenderne
il motore giriamo la chiave di accensione, secondo quando scritto nel libretto
di istruzioni, non pensiamo di avviarle recitando una preghiera. Però c’è l’abitudine
religiosa di recitare una preghiera partendo per un lungo viaggio in automobile.
Perché? E’ qualcosa che ha a che fare con il senso di quell’esperienza
di vita: ci si espone a un rischio, il viaggio in automobile, per un bene
maggiore, arrivare a una certa destinazione per un qualche scopo.
Nelle religioni si osserva uno sviluppo dei loro
miti. Alle Potenze creatrici vanno sostituendo quelle Ordinatrici. Le
prime, dette Celesti o Uraniche,
nello sviluppo dei miti si allontanano verso l’altissimo e diventano
indifferenti verso le vicende delle popolazioni. Se ne sostituiscono altre che sono
legislatrici, delle quali i poteri
pubblici costituiti nelle società cercano di accreditarsi come plenipotenziari. Il
sacro, inteso come ciò che ingloba o rivela manifestazioni delle
Potenze soprannaturali, si concretizza in quest’ambito. Al centro di ciò non vi è
più il senso della vita, ma il potere sociale.
Anche nella nostra religione sono individuabili dinamiche simili. Va detto
che essa è stata costruita socialmente e politicamente tra il Quarto e il
Settimo secolo e i suoi principali dogmi, i principi fondamentali che si
ritiene debbano essere condivisi per essere considerati inclusi nella Chiesa, sono
stati formulati nel lessico e secondo la concettuologia di quelle epoche.
Dal sacro si sviluppa il sacerdozio, che è l’ufficio delle persone che sono
abilitate ad avere contatti con il sacro o che, addirittura, lo manifestano. Infatti
il sacro, essendo manifestazione di Potenze soprannaturali, è considerato
interdetto ai più ed è anche per loro pericoloso: accostandovisi senza particolari
cautele o riti possono incorrere nel sacrilegio, nell’offesa della
Potenze che manifesta o ingloba, che possono vendicarsi.
I cristianesimi alle origini furono
potentemente desacralizzanti e
non manifestarono propriamente un sacerdozio. La sacralizzazione delle
loro liturgie e del sistema di potere ecclesiastico fu progressiva e condotta
riflettendo sui principi del sacerdozio giudaico emergenti dagli scritti della Bibbia
ricevuti dall’antico ebraismo e anche sulle consuetudini del sacerdozio dei culti
precristiani. Anche il sacerdozio ebbe analogo sviluppo. La netta separazione
del clero dal resto della Chiesa ne è il
frutto. Essa è accuratamente coltivata nella formazione di preti e religiosi ed
è all’origine di molti dei problemi che si hanno nelle nostre comunità di fede,
nelle quali i preti e i religiosi più giovani hanno poca dimestichezza con l’altra
gente e quelli più anziani tendono a disprezzarla.
Il sacerdote è un tramite, un mediatore
con le Potenze soprannaturali. Ne trasmette la volontà. In quel grandioso
processo di costruzione religiosa a cui ho accennato, svoltosi nel Primo
millennio, emerse poi una particolare figura di sacerdote, che è quella del Vicario,
del plenipotenziario del Cielo in terra: rivendicarono tale ruolo gli
imperatori cristianizzati del Primo millennio, poi vari altri sovrani in epoca
successiva e, soprattutto, la rivendica in esclusiva, dal Secondo millennio, il
Papato romano, che attribuisce ai propri esponenti anche l’attributo di Pontefici
massimi, che competeva ai capi della maggior collegio sacerdotale dell’antica
Roma e poi agli imperatori romani.
Sui miti è costruita anche la figura del mago,
che è colui che rivendica il potere di influire sulle Potenze soprannaturali
con la propria personalità e/o mediante certi riti. Anche qui al centro vi è la
questione dei potere ed è fondamentalmente per questo che la magia è
stata duramente contrastata dalle Chiese cristiane. Il mago non è un mediatore,
agisce per un interesse proprio o di quello di un proprio committente e pretende
di avere la capacità di piegarvi una Potenza soprannaturale.
Elementi propriamente magici sono osservabili
in tutte le religioni storiche e, in particolare, nella religiosità popolare.
La sacralità dei santuari miracolanti, comuni anche negli antichi culti
precristiani, si basa in gran parte su questo, anche se il clero e i religiosi
che se ne occupano cercano di ricondurla alla teologia corrente. Storicamente
elementi magici sono stati utilizzati per rafforzare l’affidamento popolare nei
poteri ecclesiastici. Le Potenze soprannaturali evocate dalla magia sono capricciose
e vendicative e certamente non è questo l’ordine d’idee della nostra fede su di
esse.
Abbiamo bisogno di miti e religioni per
capire, perché ci serve un senso, ma non della magia. Affidarsi ad elementi
o pratiche magici ci indebolisce e, alla fine, priva di senso la vita. Giustamente
quindi li si ripudia. Ed è immorale cercare di attirare la gente con quegli
argomenti, ad esempio prospettando ai malati gravi la possibilità di guarire
con certe pratiche religiose. E personalmente trovo stravagante, e anche
urtante, accreditare la santità mediante presunti prodigi miracolosi. Ma si
tratta di portati storici, e ci si affida ad essi sulla base di una tradizione
piuttosto antica: elementi culturali che possono essere tollerati come folklore
purché non se ne faccia materia dei fede. L’unico prodigio al quale i cristiani
sono effettivamente legati è la
Resurrezione del Cristo, ma su questo rimando alla teologia relativa.
Dunque, se ci ritroviamo insieme tra persone
laiche, nel tentativo di costruire una vita ecclesiale sinodale, non è al sacro
né tantomeno al magico che ci dobbiamo dedicare, ma al senso della nostra vita. Aprendoci alla religione
entriamo in comunicazione con una cultura molto antica che vi si è dedicata e
con una sterminata schiera di esempi di vita. Ma è molto importante riflettere anche
su ciò che viviamo oggi, che non solo non è mai stato vissuto da nessuna
persona prima, perché, come cantò il poeta David Maria Turoldo, ogni nuovo giorno è un giorno mai
vissuto prima da nessuno, ma che è profondamente diverso come sistema di
società da qualsiasi altra cosa mai esistita prima. Oggi, condizione della
sopravvivenza di oltre otto miliardi di persone, è riuscire a trovare il senso
di una vita sociale che costruisca
una convivenza pacifica globale non affidata alla forza della guerra, quindi
della violenza bestiale della natura
dalla quale siamo emersi, nei processi sociali di civilizzazione, solo di recente, tenendo conto della nostra lunghissima, accidentata e travagliata evoluzione
come specie vivente.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli