Credere e capire
Il mito è una narrazione semplificata per rendere il senso della nostra vita nel mondo. È quindi un modo per capire. Per questo anche le persone sapienti non possono farne a meno. È radicato nella nostra esperienza anche se non descrive fedelmente le relazioni di causalità materiale che sono alla nostra portata, per le quali, ad esempio, se lasciamo andare una cosa che abbiamo in mano quella cade a terra. Ma della massima parte dei fenomeni fisici abbiamo, al di fuori di cerchie ristrette di specialisti, una conoscenza mitologica e questo ci basta, funziona. Essa ci consente di orientarci.
Il mito è una produzione sociale e serve per vivere in società. Si apprende in società. Le religioni sono sistemi molto complessi di miti che si propongono di spiegare il senso di tutto. Nascono, si trasformano e anche si estinguono seguendo l’evoluzione delle società che le producono. Ma più spesso si trasformano, se ne viene considerato lo sviluppo nell’arco di solo qualche generazione. In tempi più lunghi se ne può cogliere anche l’estinzione.
Se consideriamo natura il mondo nelle relazioni di causalità che sperimentiamo, mito e religioni hanno a che fare con il soprannaturale. L’area della natura e del soprannaturale varia molto a seconda delle cerchie sociali. Nella cerchia dei fisici le radioemissioni fanno parte della natura, in altre cerchie del soprannaturale.
Del senso reso dai miti e dalle religioni ci si può persuadere, e allora funzionano perché vengono utilizzati per orientarsi e agire in società. Quando questo accade hanno una loro verità, sulla quale si può ragionare. La persuasione però consiste nell’aderire emotivamente a un senso reso dal mito.
Questo senso, però non può essere dimostrato razionalmente allo stesso modo in cui spieghiamo le relazioni di causalità. La ragione, tuttavia, è coinvolta nella creazione dei miti e delle religioni. Definiamo ragione l’argomentare attenendosi ad alcuni fondamentali principi logici, tra i quali quello di non contraddizione. È quindi questione di metodo. Dal Cinquecento circa, in questo metodo, in alcuni ambiti, viene integrata l’osservazione puntuale di come le cose si presentano e funzionano nelle loro relazioni di causalità. Le scienze che ragionano in questo modo tendono quindi a distaccarsi dalle persuasioni di tipo mitologico. Ma così perdono la capacità di orientare sul senso. È per questo che una buona parte degli scienziati della natura continua ad adottare persuasioni proprie delle grandi religioni storiche, ma, comunque, a ben vedere, nessuna persona riesce veramente a fare a meno dei miti sociali, se non altro perché essi sono indispensabili per integrarsi in società. Hanno natura mitica, ad esempio, i concetti di popolo, nazione, eguaglianza, libertà. I fondamenti dei sistemi giuridici sono mitologici.
Gran parte dei problemi sociali attuali, in particolare la sensazione di un venire meno della società, deriva dalla mancanza di una mitologia adeguata ai tempi che si stanno vivendo. Quindi, poi, si sente di capire meno bene la società intorno.
Non potremmo semplicemente credere di nuovo all’ordine mitologico di prima? Questo non è possibile perché la nostra esperienza sociale del mondo è cambiata.
Per quanto riguarda il cristianesimo nella versione organizzata dalla nostra Chiesa, il problema principale sta nel fatto che la religione è appesantita da un sofisticato apparato argomentativo razionale che ha come scopo principale quello di accreditare un sistema di potere religioso, per sacralizzarlo rendendolo immutabile. Sacro è appunto ciò che viene ritenuto immutabile perché ingloba o manifesta il fondamento del senso, quest’ultimo vi è come legato per cui ciò che è sacro deve essere anche venerato. Il sacro viene costruito socialmente a partire da miti. Può consistere in una cosa, in un luogo, in un rito, in una persona o in un’istituzione. L’istituzione sacra viene ritenuta immutabile sotto pena della perdita di senso in tutte le cose. Il sacro, così, è anche una via di stabilizzazione sociale.
Quando, nella nostra religione, parliamo di credere intendiamo il sottometterci ad un ordine sociale sacralizzato, in relazione al quale viene chiamato verità ciò che deve essere accettato per poter essere inclusi nella società (sacralizzata) di riferimento. Quando, nella messa domenicale, recitiamo il Credo è ad un sistema di verità di quel tipo che dichiariamo di aderire. I concetti sono espressi con un lessico che fa riferimento alla cultura greco-romana del Quarto secolo, quando, nel quadro di una grandiosa riforma dell’impero mediterraneo centrato sui latini e i greci, si creò la mitologia del potere politico secondo la quale ancor oggi gli europei intendono ed esprimono il governo sociale.
Questo modo di concepire le religioni può deludere. È arido.
La mitologia religiosa si serve invece del linguaggio poetico, potentemente evocativo di emozioni e quindi anche potentemente persuasivo. La nostra Bibbia, sulla quale poi abbiamo costruito con l’argomentazione razionale le nostre sofisticate teologie, usa proprio quel linguaggio. È servita e serve ancora come tramite tra lontane generazioni, rende anche in questo modo il senso che a noi serve. Se fosse stata fatta solo di argomentazioni razionali sarebbe invecchiata presto. I miti, e le religioni su di essi costruiti, invece varcano agevolmente secoli e millenni.
Certo, il capire delle religioni non è la stessa cosa del capire delle scienze della natura. L’esperienza che facciamo parlando faccia a faccia con un nostro simile ci è preclusa con il soprannaturale. Se sentiamo diversamente, se crediamo di aver avuto una illuminazione interiore, come quelle descritte spesso nella nostra Bibbia, non possiamo veramente essere certi che non sia solo il prodotto della nostra mente. Le basi biochimiche delle emozioni ci sono ormai note. Di questo sono fatti i sogni.
Chi però si vieta di sognare secondo il mito finisce per non capire più il senso della propria vita nel mondo. È confinato nel suo presente di prossimità, nelle piccole cerchie di non più di una trentina di persone alla volta in cui si svolge la nostra vita.
Ma che cosa crediamo e capiamo, ai tempi nostri, quando diciamo di credere? È appunto per parlarne che esiste la Chiesa. Fino a non molto tempo fa, però, ce lo si vietava, ritenendo che la Chiesa servisse più che altro a rendere eterna e stabile la persuasione mitologica che sorreggeva la sacralità delle sue istituzioni religiose, del suo apparato di governo. Quindi il parlare era riservato alla cerchia di chi sapeva di teologia e tutte le altre persone erano semplici comparse liturgiche che dovevano limitarsi a recitare. Per questo, per loro, non aveva importanza che capissero ciò che recitavano, che quindi poteva essere espresso in una lingua ignota ai più come il latino ecclesiastico, lingua sacralizzata nel senso che ho sopra precisato.
Gli attuali processi sinodali si muovono invece in altro senso.
Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli