Autoreferenziali
Nei prossimi giorni cercherò di decrittare e sintetizzare i documenti “Cantieri di Betania” pubblicati sul sito del Cammini sinodali delle Chiese italiane. “Decrittare” perché sono scritti in ecclesialese, il gergo infarcito di teologismi usato dalla burocrazia ecclesiastica e dai dirigenti del nostro associazionismo. Vi è però un elemento positivo: uno degli obiettivi espliciti dei Cantieri è di superarlo.
I Cantieri contengono un progetto per proseguire fino a tutto il 2023 la fase di ascolto, il suo secondo anno.
Si dà un resoconto molto positivo, ma più che altro basato su numeri, del primo anno, dall’autunno scorso. Non corrisponde senz’altro a ciò che si è vissuto nella nostra parrocchia e in altre che conosco. Gli amici del MEIC mi confermano nelle mie perplessità.
Si magnifica il metodo della conversazione spirituale nell’ascolto, che sostanzialmente lo ha negato, impedito, represso. Significa che ci si ritrova insieme, un prete inizia con un fervorino pastorale, ogni persona dice quello che ha in mente, non si dialoga, e poi si chiude con una preghiera liturgica. In questo modo, è scritto nel documento programmatico del Cantieri, non si litiga. Eppure sappiamo bene che contrasti ecclesiali vi sono, e molto radicati e accesi. In particolare tra sinodali e antisinodali, questi ultimi nelle due varianti dei conservatori e dei reazionari. Dove sono finiti?
Nel ciclo di incontri che vi ho proposto sul tema “Sperimentare la sinodalità nelle realtà di base” ho raccomandato di abbandonare quel metodo, parlando con libertà ma attenendosi a un taglio pratico, sul che e come fare, ogni intervento tre minuti. Ricordo che il primo appuntamento è per sabato 14 gennaio, ore 17, in sala rossa in parrocchia e in videoconferenza Meet. Potete chiedere il link di accesso con una email a mario.ardigo@acsanclemente.net. Comunque, alcuni minuti prima dell’inizio, verrà pubblicato su questo blog.
Ritornando ai Cantieri, noto che si tratta di un programma molto autoreferenziale e marcatamente clericale, nel senso che mette al centro ciò che serve al prete.
L’autoreferenzialità sta nel teologhese impiegato e nel fatto di prendere come testi di discussione solo documenti approvati durante il Concilio Vaticano 2º. Se si trattasse di un ciclo di seminari su di essi, andrebbe bene, ma, almeno nelle intenzioni, non dovrebbe essere così. Si tratta di testi indubbiamente ancora poco conosciuti, anche perché in genere completamente ignorati nella formazione di base, ma obsoleti. In più, all’epoca della loro formazione, le correnti reazionarie tra i Padri conciliari riuscirono a inserirvi formulazioni che, dagli anni ’80, sono state utilizzate per bloccare ogni principio riformatore nel senso di una maggiore partecipazione di quello che pomposamente venne indicato come Popolo di Dio, vale a dire tutte le persone di fede, gerarchi e non, qualsiasi ministero si svolga nella Chiesa, ma che in realtà vede chi non è prete relegato, ancora oggi, in una umiliante condizione disumanizzante di mero gregge, in particolare privato della parola.
“Sinodalità”, avvertono gli studiosi, è parola che ha cominciato ad avere corso nella teologia cattolica, a partire da quella francese, solo dagli scorsi anni ’80, e subito, a quell’epoca, venne repressa come un tabù. Tanto è vero che non se ne parla nei documenti approvati durante il Concilio Vaticano 2º, svoltosi a Roma dal 1962 al 1965. In essi si parla invece di una cosa più delimitata, vale a dire della collegialità dell’episcopato. Collegialità è quando si esaminano le questioni e le si decidono come gruppo di decisori. Nella Chiesa cattolica si parte dal presupposto che il governo sia esclusiva dei vescovi. Le prime antiche esperienze sinodali, documentate in Nord Africa a partire dal Terzo secolo, consistevano nel fatto che più vescovi assistiti dai loro collaboratori si riunivano per decidere una linea comune su certe questioni importanti. Dal Cinquecento questo modo di decidere fu sostanzialmente abbandonato, in particolare poi dalla metà Ottocento con la costruzione politica e teologica dell’autocrazia assolutistica intorno al Papato Romano, costituita dal Papa, dalla sua corte, in particolare il Collegio cardinalizio, e dalla rete dei suoi plenipotenziari nel mondo, Nunzi, Delegati e Osservatori, mediante la quale il Papato controlla gerarchicamente gli episcopati territoriali. In questo sistema il Papato sovrasta ogni altro potere. Non si parla naturalmente di una persona sola, il papa come persona fisica: nessun papa ha fatto mai tutto da sé. Ma del Papato come organismo autocratico complesso che decide sotto l’autorità di una persona sola. È assolutistico perché non ammette alcun limite in altri centri di potere. Questo naturalmente è il contrario della collegialità. Ma impedisce anche la sinodalità episcopale, che si ha quando la collegialità episcopale diventa sistema e riguarda anche la possibilità di individuare le questioni da decidere. Con le riforme delSinodo dei vescovi introdotte da papa Francesco ci si è mossi in quel senso, anche se quell’organismo, per come è strutturato, è ancora sostanzialmente una componente del Papato romano, perché anch’esso decide ogni cosa sotto l’autorità formale del Papa.
La sinodalità che definisco popolare o totale, come la tratteggia oggi papa Francesco, è qualcosa di diverso dalla sinodalità come è stata praticata nella nostra Chiesa dal Terzo secolo al Cinquecento. Ha iniziato ad essere sperimentata in America Latina dalla fine degli anni Sessanta. Significa istituire sistematicamente ad ogni livello dove le persone vivono la loro fede procedure più partecipate per a) orientarsi in ciò che accade, b) individuare temi sui quali sia opportuno prendere insieme qualche decisione, c) confrontarsi dialogicamente su quei temi, d) adottare delle decisioni collettive, alle quali le persone della comunità di riferimento si impegnino ad aderire, e) revisionare periodicamente le decisioni prese alla luce dei risultati conseguiti e di eventuali fatti nuovi. Il metodo della cosiddetta conversazione spirituale è la negazione di quel modo di procedere.
Quando si dice che quella forma di sinodalità non l’ha inventata papa Francesco mi pare che si dica una cosa condivisibile. Effettivamente non l’ha inventata lui. Quando, però, si dice che corrisponde a qualcosa che c’era nei primi secoli, sono meno d’accordo. Ho letto che abbastanza presto convolse anche gerarchi civili ed esperti, oltre che gerarchi ecclesiastici, ma mi pare che non la si possa assimilare alla sinodalità popolare come oggi la si immagina, che vorrebbe coinvolgere anche persone che non hanno ruoli gerarchici e non sono esperte. Per questo tipo di nuova sinodalità sono stati molto importanti i processi democratici che in Europa e nelle nazioni extraeuropee che li assimilarono si svilupparono dagli scorsi anni Cinquanta, all’epoca della decolonizzazione. Va ricordato che processi ecclesiali francamente sinodali si svilupparono dal Cinquecento nelle Chiese protestanti riformate: molto significativa è l’esperienza elvetica. Oggi le denominazioni protestanti storiche italiane sono organizzate sinodalmente. Tuttavia manifestano più o meno gli stessi problemi delle nostre Chiese: in particolare l’invecchiamento delle persone praticanti e la disaffezione dei più giovani.
E qui si rivela il problema dei problemi: la richiesta di partecipazione, che era tanto forte negli anni Settanta, si è spenta. Venne deliberatamente spenta e ora non si riesce a suscitarla di nuovo. È così che il nostro apparato ecclesiastico è progressivamente divenuto autoreferenziale, forte della sua autosufficienza economica, conquistata in Italia con gli accordi di revisione del Concordato Lateranense conclusi nel 1984. Se la sinodalità popolare proposta da papa Francesco non avrà successo, può immaginarsi che nel giro di una ventina d’anni, trapassate le generazioni che ancora praticano, la nostra Chiesa si ridurrà a clero e religiosi dediti alla faticosa amministrazione degli immobili storici che ancora non siano stati venduti per altri usi, per gestire delle specie di parchi a tema, delle Disneyland religiose, prima fra tutte la cittadella vaticana a Roma.
Mario Ardigó- Azione Cattolica in San Clemente papa- Roma, Monte Sacro Valli