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Celebriamo l’anniversario di un anno dall’avvio del Cammino sinodale e dei sessant’anni dall’inizio del Concilio Vaticano 2°. Il Cammino sinodale è visto come una forma di attuazione del Concilio Vaticano2º, non può quindi prescindersi dall’ecclesiologia di quel Concilio.
La Chiesa riscopre se stessa come costitutivamente sinodale, non si tratta di un invenzione di papa Francesc0. La storia della Chiesa è scandita da celebrazione sinodali o conciliari, tutti gli snodi della storia della Chiesa avvennero mediante eventi del genere. Dal Diciannovesimo secolo la sinodalità si è venuta però perdendo.
Negli Atti degli apostoli, testo normativo per la fede, si vede che le decisioni più importanti furono prese in incontri di tipo sinodale.
Per S. Giovanni Crisostomo sinodo e Chiesa sono sinonimi.
Una novità: la domanda di partecipazione rappresenta un evidente segno dei tempi. E’ il frutto dell’evoluzione democratica della società contemporanea, vista come segno dei tempi già dalla Costituzione La gioia e la speranza del Concilio Vaticano 2°. Questa evoluzione si riflette anche dentro la Chiesa e coinvolge in particolare le persone laiche e in specie le donne. Il diritto di partecipazione dipende dal Battesimo.
Comunione, partecipazione e missione sono le parole d’ordine del Sinodo in corso. Partecipazione è quella più innovativa.
Vi è poi la crisi degli abusi sessuali e di altro genere su minori e su persone fragili commessi dal clero. Il rapporto MHG della Conferenza episcopale tedesca e documenti analoghi in Irlanda, Australia, Stati Uniti collegano gli abusi al modo di concepire ed esercitare l’autorità nella Chiesa cattolica. Bisogna quindi ripensare l’esercizio dell’autorità anche per sradicare in radice quegli abusi. Il tema della sinodalità riguarda anche come rendere partecipata e trasparente l’autorità.
L’ecclesiologia conciliare attende ancora di essere recepita e applicata. Papa Francesco nell’esortazione apostolica La gioia del Vangelo esplicita che intende attuare i principi della Costituzione Luce per le genti. Non è bastato celebrare un Concilio, ma come disse Yves Congar, è importante anche l’appropriazione del dettame conciliare da parte della comunità cristiana.
La recezione del Concilio resta difficile, come emerge dalla cronaca ecclesiastica. Il Papa è oggetto di aspre critiche che sono anche critiche al Concilio da parte dei gruppi anticonciliari. Per essi l’attuale pontificato è come fumo negli occhi.
La recezione del Concilio è stata suddivisa in due fasi: tra il ’65, anno della sua conclusione, e il dicembre 85, quando, nel ventennale del Concilio, il papa Giovanni Paolo II convocò un Sinodo appunto sulla recezione del Concilio. Si era vissuta la fase esaltante e turbolenta dell’emerge del tema del Popolo di Dio, con la relativa teologia, trattata dalla Luce per le Genti nel secondo capitolo. La si considerava caratteristica della nuova ecclesiologia, per radicare la Chiesa tra i popoli della Terra, insistendo sulla dimensione comunitaria e solidale. Questa fase fu segnata da condizionamenti nel bene e anche nel male di questa recezione, portandola anche molto lontana dalla Luce per le genti. Bisogna riflettere sul processo culturale del ’68, di cui tutti siamo figli. Era centrato sulla contestazione dell’autorità costituita, concepita come opprimente, antipedagogica, paternalista. La recezione della teologia del Popolo di Dio fu talvolta piegata a quei moti antigerarchici, mettendo in questione il ministero dei Pastori. La penetrazione della ideologia marxista con il suo ideale di liberazione dei popoli prese talvolta il sopravvento sulla liberazione come moto interiore: vi fu allora un fraintendimento dell’idea di liberazione da regimi dal peccato, dimenticando quella dal peccato. C’era l’idea del Popolo di Dio chiamato a lottare contro i dittatori, ciò che rese la gerarchia sospettosa. Nell’85 arrivò una sterzata (è uno snodo tra la trentina di Sinodi celebrati dal 67, anno dell’istituzione del Sinodo dei vescovi). Si addomesticò la teologia del Popolo di Dio nella ecclesiologia di comunione, anch’essa per altro feconda per descrivere il mistero della Chiesa e che riprende un concetto antichissimo, presente nella patristica. Essa però intese sradicare l’ecclesiologia da un eccessivo interesse sulla storia, richiamando l’attenzione sulla teologia trinitaria, con una certa astrazione. Così si trascura il fattore storico. E’ un’ecclesiologia meno problematica. Favorisce il ricentramento romano caratteristico del Papato di Giovanni Paolo II, nei confronti delle Chiese locali. C’è l’idea che il Papa è il principio e il fondamento della comunione e richiede quindi la sottomissione al primato petrino e la supremazia della Chiesa universale, centrata sul Papato romano, sulle Chiese locali. Il tema del popolo di Dio quasi scomparve nella ricerca teologica cattolica e nei documenti magisteriali. Il secondo capito di Luce per le genti, sul Popolo di Dio, venne in pratica censurato.
Nel 2013 papa Francesco ci presentò erò un ritorno di fiamma del Popolo di Dio, con una intervista a padre Spadaro direttore della Civilità Cattolica. Fece riferimento proprio a quel capitolo secondo della Luce per le genti: fu il ritorno di una categoria fino a quel momento consapevolmente ignorata.
La teologia del Concilio sul Popolo di Dio è una vera rivoluzione.
C’è una lunga traversata dallo schema preparatorio De Ecclesia alla Costituzione Lumen gentium – Luce per le genti (quindi negli anni dal ’61 al ‘64). Si decise di cambiare l’ordine dei capitoli: fu quella che fu chiamata rivoluzione copernicana nella teologia del Concilio.
Prima il documento partiva dalla gerarchie e poi considerava il Popolo di Dio come la massa sottomessa alla gerarchia. IL cuore dei documento erano le prerogative dei Pastori con intorno i doveri degli altri fedeli. Si osservò però che anche i Pastori facevano parte del popolo di Dio, con un elemento di uguaglianza che precede le diversità di ministeri. Quindi si decise di premettere un capitolo sul Popolo di Dio, che comprende tutti i battezzati, anche ordinati. Si mise in luce ciò che accomuna gerarchia e persone laiche. Non è abolita la distinzione ministeriale, ma questo è un dato secondo rispetto a quello primario dell’uguaglianza battesimale (n. 36 di Luce per le Genti), che deve essere tenuta in onore da tutte le persone di fede.
Il Battesimo rappresenta il grande equalizzatore, secondo la concezione di san Paolo. Vengono abolite le distinzione di etnia, ceto, sesso. Siamo innanzi tutto fratelli e sorelle.
Se Dio ci raduna in un popolo non vuole salvare la singola persona isolatamente, ma la persona radicata in una comunità. Si era insegnato prima che ciascuno doveva salvare la propria anima. Nella teologia del Popolo di Dio si insegna che Dio offre la sua salvezza a una comunità, prendendo gli esseri umani dai diversi popoli in cui sono frammentati e li ricomponendoli in un una unità in cui si canta la lode di Dio. Il Popolo di Dio è sparso tra i popoli della terra, non in un empireo, ma nella storia: c’è una rivalutazione dell’elemento storico. La storia è chiamata ad essere storia della salvezza. Il Popolo è in cammino verso il destino finale. La Chiesa è dinamica,quindi in perenne riforma.
Questa è la vera rivoluzione del Concilio che non fu ben compresa nel post-concilio.
Tra i paragrafi del capitolo 2 di Lumen Gentium il più importante è il n. 10 sul sacerdozio battesimale, che era diventato come un tabù, e il sacerdozio ministeriale. Il primo fu rimosso al Concilio di Trento nel Cinquecento perché Lutero ne aveva fatto uno strumento di lotta contro i preti: diceva che tutti siamo diventati preti con il Battesimo, contro una clericalizzazione della Chiesa del suo tempo. Ma ne conseguì il rifiuto del sacerdozio ordinato ministeriale. Il sacerdozio battesimale scomparve dal Magistero cattolico, venendo un po’ ripreso a partire dal papa Pio 11°, ma già all’inizio del Novecento con il risveglio del laicato.
Tutti condividiamo un sacerdozio, secondo la teologia del Concilio, quello di Cristo. Sacerdozio battesimale e quello ministeriale sono reciprocamente ordinati. I ministri esistono per la sola ed esclusiva ragione di aiutare gli altri fedeli a esprimere in pienezza il loro regale sacerdozio battesimale. Il sacerdozio battesimale appartiene all’ordine dei fini e quello ministeriale a quello degli strumenti. Ci troviamo di fronte a una relativizzazione del ruolo dei Pastori che nella Chiesa che non sono più in cima ma in basso.
Il sacerdozio battesimale conferisce i tria munera legati al sacerdozio di Cristo, che i Pastori ricevono più profondamente. Il primo è il Munus sanctificandi, una compentenza sacramentale, liturgica, nella vigna della Chiesa. Sono chiamati a offrire la loro vita a Dio. Occorre il protagonismo dei battezzati in tutte le attività cultuali della Chiesa. Una liturgia clericale è insopportabile dal punto di vista teologico perché relega i battezzati a spettatori. Ci vuole una partecipazione attiva come richiesto dalla Costituzione sulla liturgia Sacrosanctum Concilium.
Poi (al n.12) la c’è la seconda dimensione del Munus docendi. Cristo rende partecipi i battezzati della funzione di insegnare, che i Pastori ricevono con particolare intensità. I fedeli ricevono una specie fiuto contro la menzogna, dice papa Francesco, il sensus fidei, la connaturalità nella verità rivelata. Sono portatori di una intelligenza particolare su quella verità, nei vari loro carismi.
Al terzo posto ci dovrebbe essere il Munus regendi. Ma in Lumen gentium, al capitolo secondo sul Popolo di Dio, quanto ai battezzati e a differenza di ciò che riguarda i ministeri ordinati, non si colloca il Munus regendi. Compare ai n.36 e 37. Significa che i battezzati sono resi anche partecipi del governo ecclesiale. Questo completa la sinodalità, anche se questa parola, un neologismo che nasce negli anni 80 in Francia, non è usata dal Concilio. La partecipazione dei fedeli ai processi decisionali della Chiesa è decisiva per la sinodalità. La responsabilità dei battezzati nel governo si esprime innanzi tutto nel consiglio, nelle materie in cui i battezzati hanno una competenza maggiore, e i Pastori devono tenerne conto. Ma può bastare? Nessuna decisione può essere un atto solitario del Pastore ma deve essere frutto di un noi. Ma ci può essere un luogo in cui i battezzati hanno spazio deliberativo? Stabilirlo è compito del Sinodo sulla sinodalità che è in corso.
Quod omnes tangit ab omnibus tractari et approbari debet, ciò che riguarda tutti deve essere discusso e approvato da tutti: è un antico principio giuridico. La Chiesa non è la comunità dei preti, ma dei battezzati. Questo è ancora estraneo al sentire di tanti.
Il clericalismo è un errore teologico. Non esiste dignità maggiore del Battesimo. Sopra non c’è nient’altro. C’è anche un errore teologico sul ministero ordinato, che è un servizio: deve essere letto in chiave diaconale. Così si restringe nelle mani di pochi la missione evangelizzatrice che deve essere svolta da tutti.
Una Chiesa più partecipata sarà anche più missionaria. Missione è un termine centrale nel Cammino sinodale