La creazione di una realtà ecclesiale di mondo vitale
La
straordinaria inefficacia delle procedure sinodali che si sono stancamente svolte
finora in Italia e delle quali la gente non solo sa poco ma neppure sembra interessata a saperne di più dipende
dal fatto che non sono state capaci di produrre senso. Se si trattasse
di riformare le strutture istituzionali sarebbe un altro discorso, ma
invece ora si vorrebbe cambiare il modo di vivere la fede
collettivamente. Una cosa che riguarda il senso della vita. Non bisognava, allora, partire dando la voce
ai teologi.
La loro scienza, infatti, può essere utile
solo a posteriori, per spiegare ragionevolmente le vita di fede vissuta.
Tuttavia la teologia cattolica, oppressa com’è da un pervasivo sistema
istituzionale di polizia ideologica governato dalla Santa Sede che negli anni ’90
l’ha voluta addirittura ingabbiare nelle catene del Catechismo della Chiesa
cattolica, al quale fior di teologi sono costretti a rimandare, può servire
veramente a poco in ciò che si vorrebbe realizzare: una vita di fede tutta sinodale.
Non bisogna farsi fuorviare dal nome di catechismo
che gli si è dato.
Per la catechesi e soprattutto per la formazione
personale è in effetti uno strumento prezioso ed è addirittura più di quello
che in genere una persona non particolarmente appassionata alla materia, per
interesse proprio o mansioni svolte, può
assimilare. Ma non fu pensato solo per quello.
E’ in
realtà una vera e propria legge teologica sulla quale si pretende di misurare l’ortodossia,
vale a dire la sottomissione a ciò che viene presentato come verità,
intesa come quello che deve accettato per essere inclusi, altrimenti si
è fuori, anatema, secondo la terribile, feroce, formula esecratoria usata fino al Concilio
Vaticano 1°, interrotto nel 1870 e mai più ripreso a causa del’invasione dello
Stato Pontificio da parte dell’esercito italiano. Si fece in tempo, però, a deliberare l’infallibilità
del Papa in materia di verità di fede, sulla cui base nei successivi
novant’anni fu costruita l’impalcatura istituzionale assolutistica che ci sta
soffocando.
Ecco perché, una volta pagato il tributo alla
verità con il lavoro della Commissione teologia internazionale La
sinodalità nella vita e nella
missione della Chiesa,
pubblicato nel 2018 dopo tre anni di lavoro,
sarebbe stato opportuno piantarla con la teologia e iniziare a fare un
tirocinio pratico di sinodalità, intesa come partecipazione reale di
tutte le persone di fede a ciò che si fa e si decide nella vita ecclesiale di
prossimità, di base. Questo lavoro doveva avere come scopo la nuova creazione
di senso. Ma è ancora possibile provarcisi.
Il primo passo è incontrarsi, riconoscersi,
parlarsi.
Questa, però, è un’esperienza che si può fare
solo per piccoli gruppi, di una trentina circa di persone alla volta, il numero
che consente di conoscersi per nome, quello che consente anche di intrattenere
relazioni reali in una videoconferenza, in cui chi partecipa sia in grado di
scambio emotivo con le altre persone.
Questo perché, nelle questioni di senso,
in cui le emozioni sono molto importanti, siamo confinati, per limiti
biologici di specie in piccoli gruppi di quella dimensione. E perché senza emozioni
il senso non si crea, e
allora tutto diventa più che altro un adempimento burocratico.
Un piccolo gruppo così connotato viene anche
definito realtà di mondo vitale. Mio zio Achille ci scrisse un libro su
nel 1980, Crisi di governabilità e mondi vitali, pubblicato dall’editore
Cappelli, oggi, ancora reperibile in commercio solo usato, mediante i servizi
telematici sul Web.
Un piccolo gruppo con quelle caratteristiche era
quello che nelle narrazioni evangeliche ci viene presentato al seguito delle
predicazioni itineranti del Maestro.
Lo studio dello sviluppo di grandi movimenti
sociali in genere ci mette di fronte a realtà di mondo vitale di quel tipo, come innesco del processo
sociale.
Le svolte culturali, intese come creazioni di
nuovi o rinnovati sensi della vita sociale, come si abita, produce, lavora, ama,
sogna e via dicendo, si producono a
partire da laboratori del genere. Si consolidano
poi nei miti. Sulla base di
questi ultimi, con le religioni e il diritto, si creano gli
ordinamenti sociali e quelli politici, insomma la società in grande. La teologia,
per come la si vive oggi nella Chiesa cattolica è fatta di religione e diritto. Le si è voluto assegnare il
compito principale di legittimare il governo ecclesiastico e per questo sta soffocando
i mondi vitali della religione.
Il nostro governo ecclesiastico è divenuto certamente
obsoleto.
E’ stato progettato dall’Undicesimo al Tredicesimo
secolo e in un lungo e travagliato processo durato fino a metà del Diciannovesimo
ha assunto le caratteristiche di un assolutismo autocratico, difeso fino agli
scorsi anni Cinquanta, e poi di nuovo dagli anni Novanta fino a papa Francesco,
a forza di scomuniche ed altri
provvedimenti disciplinari.
In Italia l’abolizione dell’insegnamento delle
specializzazioni teologiche nelle università statali, come conseguenza di un’unità
nazionale che si dovette fare contro il Papato che rivendicava ostinatamente il
suo regno nell’Italia centrale come strumento indispensabile per le sua missione,
le ha consegnate nelle mani dell’autocrazia
ecclesiastica.
Così i teologi di professione italiani, in
genere appartenenti al clero o ad ordini religiosi, mi paiono persone non
libere. Una frase imprudente può costare loro il posto, all’esito di un
procedimento inquisitorio condotto da un apposito Dicastero della Santa Sede
con insufficienti garanzie di difesa. Purtroppo, la Commissione Teologica Internazionale,
con i suoi membri e i suoi consultori, è costituita come organismo
ausiliario proprio di quel Dicastero. Quando si riterrà di farne una
articolazione del Sinodo dei vescovi sarà diverso. Fatto sta che lo
stesso papa Francesco il quale, sulla carta, in base alle norme del diritto
canonico, è titolare di un potere assoluto e superiore a qualsiasi altro, quando
ha deciso di sinodalizzare la vita ecclesiale sembra essersi dovuto
piegare ad ottenerne il nulla osta. Che c’è stato. E, quindi, come si
dice, amen.
Del resto l’obiettivo ora non è di
riformare quelle anacronistiche strutture di governo.
L’esperienza degli anni ’70 ha dimostrato che
esse possono convivere con una certa sinodalità nella base, almeno in Europa,
dove la laicità delle istituzioni pubbliche ha creato spazi di libertà dei quali
anche la gente di fede può avvantaggiarsi.
Non dico che si è rivelata una convivenza
facile, no, certo. La tensione c’è stata, come negarlo?
E
tuttavia un’esperienza francamente e nettamente sinodale come il primo Convegno
ecclesiale nazionale su “Evangelizzazione
e promozione umana”, nel 1976, poté svolgersi e produsse frutti duraturi. Un
altro evento di quel tipo, molto importante per l’avvio degli attuali processi
sinodali, si svolse a Firenze nel 2015, il tema fu “In Gesù Cristo il nuovo
umanesimo”.
Tra il
primo di quei Convegni e il quinto nel 2015 ci fu il lungo inverno
ecclesiale che ha come spento la Chiesa italiana. Si cercò di seguire un’altra
via: la religione di popolo sul modello polacco al tempo della resistenza contro
il regime comunista. La Polonia attuale ne è il frutto maturo.
Tutti dicono che oggi è così difficile anche
solo l’incontrarsi.
Dagli anni ’90 la Chiesa cattolica si è specializzata
nell’organizzare grandi raduni di gente intorno al Papa, “Giornate mondiali”,
beatificazioni, visite apostoliche. Ci si va, si fa le comparse liturgiche
acclamanti, si legge la propria parte sul foglietto, ma tutto lascia il tempo
che trova, almeno sulla vita di Chiesa, perché non ci si incontra veramente.
Sono cose che certamente lasciano una traccia nelle personalità individuali, creano
bei ricordi. Ma non dell’incontrarsi, salvo che nella piccola cerchia
con cui s’è giunti.
Bene, è proprio dall’incontrarsi che
bisogna partire. Come viviamo la fede insieme? E dove? Qual è il nostro mondo vitale religioso di riferimento. Lo è la parrocchia? O ci
si va per andare a messa e basta?
Come, in concreto, partecipare di più e in di più? Come facciamo ad attuare in
una realtà di base, ad esempio nella nostra parrocchia, in alcune attività, il
principio “Non senza di noi, non solo da noi”?
L’obiettivo dell’incontro del 14 gennaio
prossimo, in presenza, in parrocchia, in sala rossa, e in videoconferenza Teams
è pensato proprio per confrontarci su questo. Dovrebbe essere la nostra vita di relazione
religiosa ad essere in primo piano. Lasciamo da parte teologia e liturgia. Per tutto il resto del
tempo continueremo a fare le comparse religiose e ci si rovescerà addosso la
solita teologia destinata al popolo, spesso veramente stucchevole. Ma in quell’incontro,
no: dobbiamo cercare si essere noi al centro, protagonisti. Vediamo che ne
esce. Non è pensato come un evento isolato, ma come un processo, cercando
di integrare la fase di ascolto dei processi sinodali in corso che, in realtà
non c’è veramente stata.
Il tutto avverrà nell’ambito di un gruppo parrocchiale
di Azione Cattolica, che però vuole aprirsi. Un’esperienza associativa nota che però
è aperta ad esiti non preordinati
né programmati, veramente nuovi.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli