INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Questo blog è un'iniziativa di laici aderenti all'Azione Cattolica della parrocchia di San Clemente papa e manifesta idee ed opinioni espresse sotto la personale responsabilità di chi scrive. Esso non è un organo informativo della parrocchia né dell'Azione Cattolica e, in particolare, non è espressione delle opinioni del parroco e dei sacerdoti suoi collaboratori, anche se i laici di Azione Cattolica che lo animano le tengono in grande considerazione.

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  Dal gennaio del 2012, su questo blog sono stati pubblicati oltre 3.200 interventi (post) su vari argomenti. Per ricercare quelli su un determinato tema, impostare su GOOGLE una ricerca inserendo "acvivearomavalli.blogspot.it" + una parola chiave che riguarda il tema di interesse (ad esempio "democrazia").

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

SUL SITO www.bibbiaedu.it POSSONO ESSERE CONSULTATI LE TRADUZIONI IN ITALIANO DELLA BIBBIA CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONALE IN LINGUA CORRENTE, E I TESTI BIBLICI IN GRECO ANTICO ED EBRAICO ANTICO. CON UNA FUNZIONALITA’ DEL SITO POSSONO ESSERE MESSI A CONFRONTO I VARI TESTI.

ON THE WEBSITE www.bibbiaedu.it THE ITALIAN TRANSLATIONS OF THE BIBLE CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONAL IN CURRENT LANGUAGE AND THE BIBLICAL TEXTS IN ANCIENT GREEK AND ANCIENT JEWISH MAY BE CONSULTED. WITH A FUNCTIONALITY OF THE WEBSITE THE VARIOUS TEXTS MAY BE COMPARED.

sabato 31 dicembre 2022

Tempo di bilanci

Tempo di bilanci 

 

   Spesso l’ultimo dell’anno è tempo di bilanci. È comunque consigliabile farli di tanto in tanto, in particolare per correggersi dove serve.

  Siamo un piccolo gruppo di Azione Cattolica che pervicacemente resiste in un quartiere della periferia romana nel  nord est della città.  In origine la zona  era abitata dalle famiglie di militari e di altri dipendenti pubblici, ora c’è gente anche di altri ceti: la popolazione mantiene una connotazione generale di ceto medio. Fino a vent’anni fa l’età media si era fatta piuttosto alta e abbondavano gli anziani soli, poi hanno cominciato ad arrivare di nuovo, come alle origini, nella seconda metà degli anni Cinquanta, nuove famiglie con figli piccoli. Il nostro gruppo non è ancora riuscito a coinvolgerle. È fatto quindi in prevalenza di persone anziane, anche se lo presiede una trentenne.

  Dobbiamo considerare anche l’altro piccolo gruppo dei lettori del blog acviveaeomavalli.blogspot.com, che curo dal 1 gennaio del 2012. L’ho selezionato con particolari accorgimenti, in modo che non fosse travolto da un pubblico superficiale. E stato facile, perché la folla si imbatte negli oggetti sul Web mediante i motori di ricerca che, nonostante che siano attivati da intelligenze artificiali, sono ancora piuttosto stupidi. Una parte dei lettori è fatta dei nostri soci, i quali, anche se avanti con gli anni, hanno una buona familiarità con il Web. Altre persone non so chi siano, ma presumo che siano gente colta, in grado di superare le porte invisibili poste deliberatamente qua e là sul sito per selezionarne gli ospiti. Una di queste è proprio all’inizio, è la lunga presentazione. I più, credo, si fermano lì. Il blog non è costruito per la propaganda religiosa di massa, né per il proselitismo.

  Nel complesso, quindi, due piccoli gruppi in grado, come tali, di suscitare una realtà di mondo vitale, di quelle che danno senso alla vita. Mi piacerebbe, però, che riuscissero a integrarsi, con l’ausilio delle videoconferenze in Meet, che abbiamo imparato  a usare durante l’emergenza dell’epidemia di Covid 19.

 Per questo ho proposto la serie di incontri su come realizzare la sinodalità in una realtà di base, il primo dei quali sarà il prossimo 14 gennaio, un sabato, alle 17. Si tratterà di un brain storming, ciascuna persona che parteciperà sarà chiamata a proporre, nel tempo di tre minuti, un’idea su un’attività parrocchiale da sinodalizzare e sul modo per farlo.

 Nella prima parte di quest’anno abbiamo seguito uno dei percorsi formativi dell’Azione Cattolica e abbiamo lavorato sulla sinodalità, seguendo la prima fase di ascolto nel quadro dei processi sinodali attivati l’anno scorso riguardo il Sinodo dei vescovi da una parte e le Chiese in Italia dall’altra. Alla ripresa dopo la pausa estiva mi pare che si sia vissuto un momento di stanchezza, in cui si sia un po’ perso il filo di quello che si stava facendo negli anni scorsi.

  Per il gruppo, però, continuare su quella strada è condizione di sopravvivenza. Se dovesse trasformarsi in un gruppo anziani, sarebbe solo il doppione di quello che c’è già e, a quel punto, non avrebbe senso continuare.

  L’utilità di un gruppo di Ac in parrocchia è costituita dal fatto che, mentre si sta faticosamente tentando di organizzare una sinodalità diffusa, popolare, l’Ac è già totalmente sinodale, e quindi può fare da esempio.

  Il processo sinodale mi pare sia stato vissuto distrattamente e superficialmente in parrocchia. I preti, che ancora accentrano ogni cosa, ne hanno poca dimestichezza, quando addirittura non sono stati formati a diffidarne. È una situazione che riflette quella generale. I processi sinodali hanno coinvolto pochissima gente, in prevalenza addetti ai lavori riluttanti.

  Penso che, come gruppo di Ac, dovremmo impegnarci maggiormente in quel campo. D’altra parte l’impegno per la sinodalità è stato presentato come una fase di attuazione delle novità introdotte durante il Concilio Vaticano 2º, e l’Azione Cattolica, dalla fine degli scorsi anni Sessanta, si è data tra i propri principali fini proprio quello di contribuire all’attuazione di quel Concilio.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli 

venerdì 30 dicembre 2022

Il dialogo secondo Bruno Forte

                                      Il dialogo secondo Bruno Forte

 

 Sul numero 22\2022 della rivista Il Regno è stato pubblicato un articolo del teologo napoletano Bruno Forte,  di 73 anni, vescovo di Chieti, dal titolo “Chiesa – sinodalità: il dialogo come stile. La proposta di un decalogo”.

  Le comunità cristiane sono pervase da tensioni e conflitti, scrive l’autore, ciò che ostacola quel procedere insieme in cui si fa consistere la sinodalità. Per attuarla, superando i contrasti, serve il dialogo, che significa etimologicamente incontrarsi mediante la parola (la parola ci viene dal gergo antico diá-logos [διάλογος]composta da diámediante, e da logos, parola [ma anche ragionamento e scienza]e originariamente significava conversazione).

 Dialogare per risolvere i conflitti non è facile però.  Quali sono le condizioni che rendono possibile autentico il dialogo?

  Bisogna anzitutto allargare il proprio punto di vista individuando un interesse superiore e comune alle parti, insegna Forte. Non c’è vero dialogo quando si cerca di farne uno strumento di dominio. Presupposto del dialogo autentico è il riconoscere dignità alle persone con le quali si entra in relazione. Senza di questo manca la reciprocità delle coscienze e il tentativo di dialogare non produce nulla, è vano. Questo comporta, sia nelle relazioni interpersonali che in quelle fra gruppi, di superare l’idea che le altre persone siano un rischio da cui difendersi. Inoltre vi deve essere la reale possibilità di dare e ricevere, vale a dire di uno scambio dialogico.

 Forte richiama il pensiero del filosofo austriaco di fede ebraica Martin Buber [morto a Gerusalemme nel 1965 a 87 anni], il quale in diversi scritti, in particolare nel saggio Io e tu [raccolto in Il principio dialogico e altri saggi, San Paolo, 2014] ha trattato del dialogo come condizione della realizzazione della persona umana, nell’apertura e nella reciprocità, per superare visuali parziali. Per Buber, scrive Forte, «soltanto nella relazione interpersonale la prigionia dell’io è infranta e si coglie la realtà non come dominio, ma come incontro». L’uomo, infatti, non è per la solitudine. La relazione più realizzante è quella col Tu supremo. Per Buber, quindi, la religione stessa è interpretata in chiave dialogica. Tuttavia, osserva Forte, Buber non fa i conti con la durezza dei rapporti con gli altri, vale a dire con come va il mondo.

 La Chiesa, concepita secondo il Vangelo, fornirebbe, secondo Forte, una soluzione. È basata su un duplice movimento, dal basso e dall’alto. L’iniziativa verrebbe dall’alto e, in questa concezione, andrebbe incontro alla nostra storia, che si muove dal basso. La Chiesa, per Forte, sarebbe il luogo dell’incontro tra quei due movimenti, a partire da Gesù il Cristo, «colui nel quale questo incontro è originariamente e sommamente realizzato». In quest’ottica, la comunione ecclesiale, intesa come prevenzione e risoluzione dei conflitti, sarebbe dono dall’alto che attenderebbe una risposta, come ascesi, dal basso. La risposta dal basso dovrebbe essere libera, in un dialogo in cui il dono venga liberamente accolto.

  A questo punto Forte affronta il tema della verità, che pare opporsi ad un dialogo libero. Non c’è opposizione, sostiene però Forte. Su questo non bisognerebbe cedere, a costo del rischio di far fallire la convergenza cercata. Così si sarebbe veramente liberi, non facendosi soggiogare dai poteri forti e se ne uscirebbe più credibili, perché onestamente obbedienti al giusto e al vero.

  La  Chiesa dovrebbe farsi, al suo interno, icona della Trinità, concepita come modello del dialogo che si propone di attuare. Nel dialogo con la comunità degli uomini, anche in politica, dovrebbe annunciare ciò che le è stato rivelato e donato. Forte richiama, in merito, i ragionamenti svolti dal papa Giovanni 23º nel discorso di apertura del Concilio Vaticano 2º l’11 ottobre 1962, e l’Esortazione apostolica Ecclesiam suam, del 1964, diffusa sotto l’autorità del papa Paolo 6º.

  Per Forte, per un’autentico dialogo sinodale, occorrono umiltà, ascolto, stupore (per il fatto che il vero può venire da dove non ce se l’aspetta), una lingua comune  (nel senso di imparare anche quella delle altre persone), silenzio (per ascoltare e riflettere e farsi prossimi anche a gesti), libertà (liberi da sé stessi e dai condizionamenti altrui, per obbedire solo alla  verità, che rende liberi), perdono reciproco, conoscenza reciproca, senso di responsabilità nei confronti del bene di tutti, verità (non ne  viene data una definizione, si dà per conosciuta). Questo, dunque, il Decalogo di Forte per il dialogo che dovrebbe caratterizzare la sinodalità ecclesiale.

  L’articolo si chiude con un suggestivo richiamo al brano del libro dell’Apocalisse, capitolo 22, versetti 17 e 20, che presenta un dialogo nel Cielo “sulla linea di confine tra il tempo e l’eternità”: «Lo Spirito e la Sposa dicono: “Vieni! […] Colui che attesta queste cose dice: “Sì, vengo presto!”. Amen. Vieni Signore Gesú».

  Osservo che il discorso di Forte parte dall’Uomo dell’antropologia teologica e non dalle persone umane come realmente appaiono. Certo, queste ultime sono viventi che costruiscono società e di esse necessitano per orientarsi, ma il mondo vitale della singola persona, quello che le è indispensabile per pensarsi come tale, quindi per realizzarsi nel senso spiegato da Buber, è molto piccolo, mentre le altre relazioni, in particolare quelle fra i gruppi sociali sono essenzialmente contrapposizioni di potere. Le relazioni interpersonali rispondono a una logica molto diversa rispetto a quella delle relazioni tra gruppi, così come il dialogo. Il dialogo sociale al di fuori dei piccoli gruppi di mondo vitale è molto più formalizzato, facendo ricorso a miti e diritto. Puntare a relazioni dialogiche molto profonde e intense  tra nei gruppi maggiori può rivelarsi controproducente, in particolare se si mira alla pacificazione.

  C’è poi il problema della verità, che, se intesa come sistema di definizioni enunciato dalla gerarchia come condizione per essere considerat@ dentro la Chiesa, ostacola sicuramente un processo sinodale in cui è al centro del dialogo il modo di esercizio dell’autorità gerarchica. La libertà è solo quella di obbedire a quella cosiddetta verità? Si comincerebbe male.

Umiltà, silenzio, obbedienza: sono tutti ostacoli seri al dialogo con le autorità costituite, assai propense ai monologhi, specie se si tratta di autorità sacralizzate, come quelle espresse dalla cosiddetta gerarchia ecclesiastica. Più utile la parresìa, la franchezza.

  La verità,  nel  senso di cui sopra, è stata ed è costruzione sociale, organizzata prevalentemente per sacralizzare sistemi di potere sociali, ecclesiastici e civili. La sinodalità, quale oggi viene proposta, richiede di allentare quella sacralizzazione, in modo da riorganizzare alcune attività superando l’attuale assolutismo clericale. Non occorre porre mano a faccende di verità per cambiare in quei limiti l’attuale ordinamento ecclesiastico cattolico che umilia ancora in una condizione sub-umana, in quanto privata di libertà di parola e quindi di reale dialogo, tutte le persone che si dedicano a ruoli ecclesiali diversi da quelli ordinati. È solo il portato della nostra tremenda storia ecclesiastica.

   Infine: sognare di una sinodalità ecclesiale costruita sul modello divino della Trinità è irrealistico. In questo Forte e le persone che ragionano come lui vanno incontro alla stessa obiezione di irrealismo che Forte ha proposto nei confronti del pensiero di Buber. Infatti non si è mai riusciti ad attuare nella vita vera quel modello, addirittura fin da prima della Resurrezione. Nonostante tutti i discorsi suggestivi dei teologi in materia di unione tra divino e umano, pretendere caratteristiche divine nelle società umane è disumano e, di fatto, al dunque si è sempre cercato inutilmente di riuscire ad ottenerle mediante violenza, repressione e, come minimo, emarginazione. Questa la sorte di tante nostre grandi anime.

  L’articolo di Forte è interessante perché proviene da un gerarca ecclesiastico molto sapiente e illuminato: esprime la posizione di quella parte della gerarchia con la quale il dialogo può essere più facile. Con altre è francamente impossibile. Eppure con tutte occorre, se si vuole veramente rimanere insieme almeno in qualche cosa, trovare un sistema per convivere, non necessariamente troppo vicini. A volte la pace sociale richiede di distanziarsi un po’.

Mario Ardigó – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

  

giovedì 29 dicembre 2022

I Cantieri di Betania - 4 -

I Cantieri di Betania – 4 -

 

«Il carattere laboratoriale ed esperienziale dei cantieri potrà integrare il metodo della “conversazione spirituale” e aprire il Cammino sinodale anche a coloro che non sono stati coinvolti nel primo anno. 

  Quella del cantiere è un’immagine che indica la necessità di un lavoro che duri nel tempo, che non si limiti all’organizzazione di eventi, ma punti alla realizzazione di percorsi di ascolto ed esperienze di sinodalità vissuta, la cui rilettura sia punto di partenza per la successiva fase sapienziale.» [Dal documento della CEI I Cantieri di Betania, nel paragrafo “Un incontro lungo il cammino”]

 

 

  Nel documento della CEI I Cantieri di Betania le cose importanti non sono evidenziate, poste in risalto. È lo stile curiale. Si vuole rendere un’immagine di continuità proprio quando si sta cambiando ciò che s’era fatto prima e che non aveva funzionato. Ad una lettura superficiale, qual è quella della maggior parte delle persone, funziona. La produzione di documenti ecclesiastici è imponente ma i lettori sono pochi e i non addetti ai lavori non sono abituati a scandagliarli per capirne il senso profondo.

  Dal maggio di quest’anno è cambiato il Presidente della Conferenza episcopale italiana, il quale nel luglio successivo ha diffuso il documento I Cantieri di Betania. In esso si scrive con toni entusiastici del primo anno del processo (Cammino) delle Chiese in Italia, aperto nel maggio dell’anno precedente, ma poi si riferisce francamente che ha coinvolto una esigua minoranza, fatta di addetti ai lavori, dalle equipe pastorali in su. Quindi si è deciso di correggere il metodo di lavoro. Da qui l’idea dei cantieri. Un cambio di rotta che è con tutta evidenza collegato al cambio al vertice della CEI, che è stato disposto dal Papa. Uno dei primi e più rilevanti atti del nuovo vertice è stato il documenti sui Cantieri. Il Papa, dunque, non è stato soddisfatto di ciò che s’è fatto nel primo anno del processo sinodale.

  Con l’immagine evangelica dell’incontro con Marta si è posto l’accento sulla scelta della parte migliore, che è quella di una diaconia rivalutata, molto più partecipativa e riflessiva e orientata alla sequela. Certamente il metodo della conversazione spirituale, apparentemente magnificato nel documento, non la realizza e quindi gli si vuole affiancare altro, appunto il cantiere.

  La conversazione spirituale è quando, incontrandosi, ogni persona che partecipa dice che cosa ha in mente sul tema in discussione e poi si prega, senza discussione, senza dialogo. L’assemblea non decide nulla. Il resoconto è fatto da chi ha il compito di prendere appunti e poi è consegnato, per via gerarchica, a chi accentra il potere di trarne le conclusioni, adottando anche delle decisioni.  Mancando il confronto, non si litiga. Le divisioni restano, ma rimangono irrisolte, perché non si tenta una mediazione tra le diverse posizioni. L’intesa è che poi si accetterà docilmente ciò che deciderà il gerarca. È  però, in genere, un’intesa ipocrita, perché nessuno pensa veramente di adeguarvisi. La pace apparente delle corti ecclesiastiche è fondata sull’ ipocrisia.

  Il metodo dei cantieri è diverso. Si scrive che integrerà quello della conversazione spirituale e, pertanto, appunto, è diverso.

  Il punto importante è la sinodalità vissuta, vale a dire messa in pratica. Si vuole che se ne faccia esperienza, come in un laboratorio. Si scrive infatti di un «carattere laboratoriale ed esperienziale dei cantieri».

 In laboratorio si ricerca sperimentando. Si prova a fare vedendo che succede e ci si corregge sulla base dell’esperienza. Questo implica delle scelte e, trattandosi di lavorare sull’organizzazione di una collettività, questo è il campo della sinodalità, deve trattarsi di scelte collettive. Lo scopo è di allargare le cerchie delle persone coinvolte, in particolare di«coloro che non sono stati coinvolti nel primo anno». Il metodo della conversazione spirituale ha scoraggiato la partecipazione. Si è capito che non sarebbe cambiato nulla, che sarebbe stato tempo perso. Si è partecipato, per così dire, per dovere d’ufficio.

 Dalla sinodalità praticata dovrebbe scaturire una fase sapienziale.  Che cosa sarà mai? Penso che si tratti di riflettere sull’esperienza vissuta, ma chi debba farlo e in quale sede resta imprecisato. Se a ragionare dovessero essere solo i gerarchi e gli specialisti sarebbe la negazione della sinodalità.

  Nel trafiletto che segue il passo del documento che ho trascritto all’inizio sembra che si mettano però le mani avanti:

 

È utile ribadire che questo resta un tempo di ascolto e non di letture sistematiche e di risposte pastorali, a cui saranno invece dedicate le successive fasi, sapienziale e profetica. È certo un ascolto “orientato”, per poter raccogliere narrazioni utili a proseguire il cammino; un ascolto che si fa riflessione, in una circolarità feconda tra esperienza e pensiero che comincia ad acquisire gli strumenti con cui costruire le novità chieste dallo Spirito.

 

  Qui sembra cambiato l’autore del documento. Niente più laboratorio con carattere esperienziale, niente più sinodalità vissuta, si ritorna al semplice ascolto del primo anno, non si deve decidere nulla, lo si farà in sede sapienziale e profetica, qualunque cosa e chiunque ci sia dietro questa espressione criptata in puro ecclesialese. È pur vero che si scrive di «ascolto che si fa riflessione, in una circolarità feconda tra esperienza e pensiero», cioè che si potrà ragionare anche mentre si fa esperienza di sinodalità praticata. Aggrappiamoci a questo.

  Ma davvero tutto ciò è uscito dal lavoro fatto nel primo anno? Tutti questi contorcimenti curiali, questo dire-non dire, dire e poi dire anche il contrario. Un passo avanti e uno indietro.

  Il carattere verticistico del documento emerge dal resoconto della sua elaborazione contenuto nel paragrafo “Uno sguardo al primo anno”:

 

  Ciascuna diocesi ha trasmesso alla Segreteria Generale della CEI una sintesi di una decina di pagine.

   I referenti diocesani si sono incontrati alcune volte online e due volte in presenza a Roma: dal 18 al 19 marzo e dal 13 al 15 maggio.

   Quest’ultimo appuntamento residenziale, con la partecipazione dei Vescovi rappresentanti delle Conferenze Episcopali Regionali, ha permesso di stendere una prima sintesi nazionale, detta “Testo di servizio”, articolata intorno a “dieci nuclei”; successivamente, durante la 76ª Assemblea Generale della CEI (23-27 maggio), alla quale hanno preso parte, nelle giornate del 24 e 25 maggio, 32 referenti diocesani, cioè due per ogni Regione ecclesiastica, si è ulteriormente riflettuto, in modo sinodale, arrivando a definire alcune priorità sulle quali concentrare il secondo anno di ascolto. 

 

  Nessuna partecipazione popolare a quelle scelte. Non sono previste procedure per realizzarla, che assomiglierebbero troppo alla tanto deprecata democrazia. “La Chiesa non è una democrazia” dicono quelli del partito anti-sinodale, e, purtroppo, è ancora effettivamente così. È di questo che le nostre Chiese stanno annichilendosi, riducendosi più che altro a organizzazioni per pittoreschi eventi liturgici.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli 

 

  

 

 

  

 

mercoledì 28 dicembre 2022

I Cantieri di Betania - 3

Cantieri di Betania – 3 –

 

Ogni persona interviene nei fatti sociali, che ne sia consapevole o non, modificandoli con il proprio apporto. Ma lo fa, inevitabilmente, in un ambiente sociale storicamente determinato, innanzi tutto da una cultura, che comprende anche la lingua, le concezioni sul senso personale e sociale della vita, i rapporti di dominio sociale e via dicendo. Se lo fa con atteggiamento critico, perché vuole cambiare ciò che c’è, critica, appunto, ciò che c’è e lo fa con gli strumenti culturali che condivide nell’ambiente sociale in cui è immersa.

 Le narrazioni evangeliche non fanno eccezione. Il loro ambiente sociale di riferimento è quello dell’antico giudaismo che aveva assimilato elementi culturali dell’ellenismo, quello che negli Atti degli apostoli viene indicato come “i greci”. Questo perché in quel contesto culturale vennero scritti, in greco antico appunto, raccogliendo narrazioni orali. Ma narrano di fatti accaduti in un altro contesto sociale, quello dell’antica Galilea della quale erano originari il Maestro e i Dodici. Era caratterizzato da una certa commistione tra giudei e non giudei, indicati come “le genti”, nel greco evangelico ἔθνη, che si legge ètne, e che si ritiene corrisponda all’ebraico  gōyīm [è una translitterazione dai caratteri dell’antico alfabeto ebraico]. Noi traduciamo di solito con pagani, che non ne rende l’idea, perché reca anche il significato dispregiativo di villici, nel senso di burini, che naturalmente ἔθνη - gōyīm non aveva, perché erano considerati tali anche gli ellenisti, portatori di una cultura molto sofisticata. La Galilea veniva indicata in senso non positivo Galilea delle genti, nel senso che ci vivevano tanti non giudei.Quella promiscuità dei galilei con le genti non era vista di buon occhio dal giudaismo espresso dalle autorità religiose organizzate intorno alle liturgie del Tempio di Gerusalemme, nel quale, secondo le narrazioni evangeliche, il Maestro portò un certo scompiglio, cosa che ebbe il suo peso nella decisione di farlo fuori.

  Non ci si aspettava granché dalla Galilea ai tempi degli eventi evangelici, come emerge dalla premessa al racconto dell’incontro con Natanaele che troviamo nel Vangelo secondo Giovanni, capitolo 1, versetti 45 e 46 – Gv 1,45-46:

 

 Filippo incontrò Natanaèle e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret [città della Galilea]».  Natanaèle esclamò: «Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi». 

 

  Bene, la narrazione che troviamo nel Vangelo di Luca, capitolo 8, versetti da 1 a 3 – Lc 8,1-3, al quale si fa riferimento, nella versione in italiano diffusa dalla Conferenza episcopale italiana nel 2008 [CEI 2008], per contestualizzare l’episodio evangelico del dialogo con Marta, che nel documento I Cantieri di Betania è stato proposto come riferimento spirituale, è indicativa di costumi più liberi di quelli seguiti a Gerusalemme. In particolare si racconta di molte donne che scelgono.

  Riporto in fondo una riflessione in merito dell’autorevole biblista Gianfranco Ravasi, divulgatore molto efficace.

  In Lc 8,1-3 è narrata con grande  evidenza  la presenza di molte donne nel gruppo che giunse nel villaggio dove abitavano Marta e Maria. Spesso nella predicazione le ho sentite presentare un po’ come delle specie di nostre suore, ma nulla nella narrazione evangelica autorizza a ritenerle tali. Erano donne che avevano deciso di porsi in sequela senza intorno qualcun altro del loro ambiente parentale, nel quale all’epoca le donne erano come incastrare. Di tre di loro si fanno i nomi: di una si fa il nome del marito, Cuza, alto funzionario della corte del sovrano della Galilea, Erode Antipa, tetrarca sotto il dominio imperiale dei romani. Dov’era il marito? Ma ce n’erano molte altre è scritto. Poi c’erano i Dodici, che, appunto, erano dodici.

 Quelle molte donne, in fondo libereαἵτινες διηκόνουν αὐτοῖς ἐκ τῶν ὑπαρχόντων αὐταῖς [dal versetto 3 del capitolo 8 del Vangelo secondo Luca - si legge: àirines (esse] diekónun (aiutavano sostenendo] autòis, ek ton uparcònton (con ciò che possedevano) autàis] non si limitavano quindi  a seguire, perché è scritto che svolgevano una diaconia [è nella parola diekònun]vale a dire che sostenevano  il gruppo che era in sequela e lo facevano con ciò che possedevano. Erano quindi donne che non solo erano libere di seguire, ma anche di disporre autonomamente di beni propri per quello scopo. Sia pure nella Galilea delle genti, si era pur sempre nel contesto dell’antico diritto giudaico, che in genere non riconosceva alle donne il potere di disporre dei beni patrimoniali, anche se di loro proprietà.

  Nella nostra tradizione ecclesiastica la diaconia è divenuta un ministero ecclesiastico ordinato minore riservato ai maschi. La si pensa un po’ come un servire al modo degli assistenti sociali, ma i biblisti avvertono che non era questo il senso che le si attribuiva al tempo dei fatti narrati nel Nuovo Testamento. Si fa notare ad esempio che Stefano, protomartire, fu, appunto, diacono e negli Atti degli apostoli gli si attribuisce una sofisticata ed estesa predicazione, durante il processo che precedette la sua esecuzione capitale per lapidazione [leggi gli Atti degli apostoli, capitolo 7, versetti da  1 a 53].

  Il gruppo dei galilei, con i  Dodici e quelle molte donne piuttosto libere, si narra sia arrivato, nella sua sequela, nella casa dove abitavano Marta e Maria, in quel villaggio che in base a notizie che troviamo nel Vangelo secondo Giovanni identifichiamo nell’antica Betania, in Giudea, a circa tre chilometri a oriente di Gerusalemme. Qui avvenne l’episodio del dialogo con Marta, con l’insegnamento sulla parte migliore, narrato nel Vangelo secondo Luca, nel capitolo 10, versetti da 38 a 42, utilizzato con grande risalto ne I Cantieri di Betania.

  Bisogna dire che nel capitolo 10 del Vangelo di Luca si narra anche del secondo invio di settantadue discepoli in giro per varie città dei dintorni con questo incarico: - guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: «È vicino a voi il regno di Dio» -. La gente che era alla sequela era quindi più numerosa dei Dodici e di quelle molte donne. Chi, oltre al Maestro, fu ospitato nella casa di Marta e Maria? Non è scritto.

  La narrazione di quel dialogo con Marta mette in scena solo il Maestro, Maria, la quale ascoltava la sua predicazione, e Marta, che, molto indaffarata, serviva come facevano di solito le donne di quel tempo. È scritto che c’erano molti servizi di quel genere da fare nella casa e che Marta appariva agitata, sentiva bisogno di un aiuto. Molti servizi fa pensare a molta gente da servire. Inoltre il Maestro, quando predicava, si rivolgeva a più persone. C’era qualcun altro ad ascoltarlo, oltre a Maria, in quella casa? C’erano in particolare le altre donne che lo seguivano?  Non c’è scritto. È scritto invece che Marta era stata lasciata sola a servire. Dunque nessun’altra donna la stava aiutando [leggi nel versetto 40 del capitolo 10 del Vangelo secondo Luca – Lc 10,40: «non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire?»

 Penso che ciò che non fu scritto non fu considerato importante in quel contesto. E io in questo momento voglio concentrarmi su ciò che fu considerato importante. Non sono un biblista, né un filologo: sto meditando su quel brano evangelico, sollecitato dal documento I Cantieri di Betania del nostro episcopato, come nutrimento della mia spiritualità e della mia preghiera.

  Dunque è scritto che Marta si rivolse al Maestro, interrompendone il filo della predicazione, per chiedergli che ordinasse a Marta che l’aiutasse in quei molti servizi, diciamo domestici. Perché non si rivolse direttamente a Maria? Non è scritto.

  Fatto sta che il Maestro le rispose che Maria aveva scelto la parte migliore, che non le sarebbe stata tolta (Lc 10, 42). E anche, poco prima: «una sola è la cosa di cui c'è bisogno» (stesso versetto).

  Di solito nella predicazione si cerca di conglomerare i personaggi di Marta e di Maria, facendone una suoresca Martamaria per dire che alle donne in religione competono entrambi i ruoli, e questo serve al clero anche per risolvere i suoi  problemi di ricerca di colf e di personale alberghiero.

  Tuttavia non mi sembra che questa interpretazione corrisponda al detto evangelico. «Una sola è la cosa di cui c’è bisogno». Le due donne dell’episodio evangelico impersonarono un’alternativa, e Maria fece una scelta. Non è scritto, invece,  che Marta scelse i servizi domestici. Del resto questi ultimi mi pare rientrassero nel ruolo sociale femminile di allora: arriva gente a casa e le donne preparano. Non è così che anche da noi, in genere, accade? Non era necessaria una scelta.

  Lo scegliere mi pare accomuni Maria con le molte altre donne che, appunto, avevano scelto la diaconia nella sequela, con un atteggiamento anche qui difforme dal loro ruolo sociale, ma evidentemente approvato dal Maestro.

  Questo atteggiamento di scelta non conformista da parte delle donne evidentemente era un tratto caratteristico della diaconia femminile formatasi intorno al Maestro, tanto da essere così evidenziata dall’evangelista. Anche in altre parti del Nuovo Testamento se ne parla. 

  Anche quella dei nostri vescovi di metterla al centro di un documento, I Cantieri di Betania, che cerca di organizzare attività comunitarie per riflettere su un modo più partecipato e responsabile di fare Chiesa, è stata evidentemente una scelta, centrata sul tema della diaconia femminile, stravolta e immiserita nel corso dei secoli rispetto alle origini.

   Alcuni osservano che la dignità della donna come oggi viene concepita nelle società democratiche dell’Europa occidentale non emerge negli insegnamenti evangelici, che facevano riferimento alla cultura del loro ambiente sociale di riferimento. Il Maestro fu un galileo del Primo secolo e il suo insegnamento ci è narrato in documenti prodotti dal giudaismo ellenizzante della stessa era, in fase di distacco da quello centrato sulla cultura sociale dell’antica Giudea. E rispetto a quest’ultima era marcatamente critico, esprimendo quello che è stato definito (Karl Barth) come un blando anarchismo). Però al suo centro c’è anche, per uomini e donne, la questione della scelta e, in particolare, di una diaconia di sequela liberamente scelta, che non annullava la libertà.

  Nella nostra Chiesa, purtroppo, il tema della libera diaconia delle donne è ancora una sorta di tabù, anche a causa dei duri interdetti risalenti all’inverno ecclesiale vissuto tra l’85 e il 2013, anch’essi espressione di una determinata  cultura sociale in cui s’erano formati coloro che ritennero di imporceli, con condizionamenti ambientali dai quali neppure i santi, come ben sappiamo, riescono del tutto ad evadere, sebbene facciano tanto soffrire. Ogni persona vede le cose con gli occhi di quelli del suo tempo, anche quando tenta di superarlo, e non ci si può fare nulla, perché è così che funzionano le nostre menti.

  L’organizzazione del lavoro sulla sinodalità avviato dai nostri vescovi risente certamente dei condizionamenti ambientali, anche perché è prevalentemente produzione del clero, e il clero è fatto in prevalenza di persone che vivono come virtù a)la libera rinuncia alla libertà, b)l’ineguale diaconia di uomini e donne basata solo sul genere, sull’essere uomini o donne, con il genio di queste ultime orientato a ruoli di accudimento per natura, quindi c)la separatezza nell’essenziale tra uomini e donne. Questa è, oggettivamente, la base di partenza. Ma il documento dei vescovi non ha impostazione conservatrice o addirittura reazionaria.

  I condizionamenti ambientali e storici spiegano il minimo accento esplicito alla questione femminile nella Chiesa che troviamo ne I Cantieri di Betania. E tuttavia, orientando la riflessione su quel brano evangelico dell’episodio avvenuto nella casa di Marta e Maria, è effettivamente come se si fosse centrata tutta la ricerca sulla sinodalità su quel tema, e questo davvero non è poco.

  Su quella base biblica ci è stata data, in definitiva, la facoltà di parlare.Facciamolo.

Mario Ardigó  – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

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Dal Web:

https://www.famigliacristiana.it/blogpost/le-donne-discepole.aspx

 

Famiglia Cristiana on line (su internet), 14 marzo 2019

 

Le donne discepole” di Gianfranco Ravasi, biblista, nella rubrica “50 parole greche del Nuovo Testamento”

 

  I lettori che seguono con continuità il nostro viaggio testuale all’interno del Vangelo di Luca ricorderanno che la scorsa settimana abbiamo presentato una figura femminile apparentemente sconcertante – era una nota prostituta – trasformata in un esempio di conversione e liberazione dopo l’incontro con Gesù (7,36-50). Subito dopo la narrazione di tale episodio leggiamo questa nota: «Egli se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio. C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che li servivano con i loro beni» (Luca 8,1-3).

  Gettiamo, allora, lo sguardo su questo corteo che accompagna Gesù. Ecco innanzitutto i Dodici: è piuttosto scontato per un rabbì essere scortato dal gruppo dei suoi discepoli. Inatteso è il resto dei seguaci: una piccola accolta di donne che avevano alle spalle storie di sofferenza, rubricate secondo il linguaggio del tempo, in malattie varie ma anche in possessione di «spiriti cattivi». Sappiamo che nelle culture antiche, compresa quella biblica, avvenivano spesso contaminazioni tra il demoniaco e le infermità. Esemplare è il caso della lebbra che “scomunicava” chi ne era affetto perché la si considerava punizione di una colpa grave del soggetto. Anche il ragazzo – che ai piedi del monte della Trasfigurazione è guarito da Cristo e che rivela indubbiamente i sintomi dell’epilessia – è considerato dal suo stesso padre vittima di uno “spirito” maligno (Luca 9, 37-43).

  Se già non era decoroso per un rabbì avere donne come discepole, a maggior ragione era sconveniente essere in compagnia di figure femminili che avevano alle spalle storie oscure. Di alcune di costoro affiorano i nomi: la prima è Maria di Magdala, «dalla quale erano usciti sette demòni», un tratto biografico che è da spiegare con quanto abbiamo sopra detto, ma che la tradizione ha subito interpretato assegnandole inopinatamente il ruolo di prostituta e identificandola con l’omonima peccatrice della citata scena precedente, svoltasi nella casa di Simone il fariseo. Noi, però, lasciamo a parte la Maddalena perché ne delineeremo un ritratto più avanti, in occasione della sua memoria liturgica che cade il 22 luglio.

  A lei è accostata una nobildonna non altrimenti nota, Giovanna, moglie di Cuza. Quest’ultimo è definito in greco epítropos, vocabolo che può essere tradotto con “sovrintendente” o “amministratore” o anche “fattore” (tale è nella parabola dei vignaioli assunti nelle diverse ore del giorno in Matteo 20,8) e persino “tutore” (Galati 4,2). In realtà, Cuza è un alto funzionario del re Erode Antipa, figlio di Erode il Grande. Questo sovrano emise la sentenza di morte per il Battista e resse la Galilea dal 4 a.C. al 39 d.C. Segue nell’elenco una certa Susanna, che portava lo stesso nome di un’eroina di onestà dell’Antico Testamento (Daniele 13).

  Infine vengono evocate «molte altre» donne che sostenevano con i loro «beni» questo predicatore ambulante privo di sussidi finanziari e votato alla povertà. Il verbo usato per indicare la loro opera è diakonéin, “essere al servizio”, ma con una sfumatura di amore, fede e generosità (dal verbo, infatti, deriva la parola “diacono”). Le donne, che nella società giudaica antica non erano neppure un soggetto giuridico, sono invece le compagne di viaggio e di missione di Gesù, al quale offrono quanto posseggono con una generosità che non sarà certo testimoniata da uno degli apostoli, Giuda, che «era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro» (Giovanni 12,6).

 

 

martedì 27 dicembre 2022

L’immaginazione e il potere

L’immaginazione e il potere

 

   In un mondo ormai non troppo lontano nel futuro, esseri pensanti non biologici, produzioni delle nostre tecnologie, avranno un ruolo sempre più importante nel fare le cose e tenere l’ordine. 

  Le loro menti non risiederanno nei dispositivi che saranno loro necessari per interfacciarsi con gli esseri umani, come avviene a noi con il nostro cervello,  ma in molte altre strutture dedicate, sparse fisicamente in diversi luoghi,  organizzate in un sistema del quale non si potrà più dire che sia in un qualche preciso luogo,  con le quali quei dispositivi si connetteranno. 

  Già oggi i precursori di quegli esseri, che definiamo intelligenze artificiali, funzionano così, ad esempio il motore di ricerca ed elaborazione massiva di dati Google  che è un’intelligenza artificiale, della quale l’I-Pad che sto usando è un terminale. 

  Chi controllerà questi nuovi esseri avrà sulle società degli umani un potere quale non c’è mai stato, fino a che essi, una volta imparato a controllare le nostre società, impareranno a controllare anche i loro creatori, e allora saranno i nuovi dei.

 Nelle scienze giuridiche già si discute come e in che limiti attribuire ai sistemi più evoluti di intelligenza artificiale personalità giuridica, come avviene per le società commerciali e con altri tipi di enti. Solo che dietro alle attuali persone giuridiche ci sono organizzazioni di umani, nell’altro caso non più. Già in alcuni settori della società si è arrivati a questo, ad esempio nei sistemi di intelligenza artificiale ai quali è stato concesso di prendere importanti decisioni sui mercati degli strumenti finanziari, vendendo e comprando.

 Ciò che ancora negli scorsi anni ’70, quando iniziai ad appassionarmi della fantascienza, rientrava in quel genere di letteratura, ai tempi nostri è già realtà.  

  Non si è però ancora arrivati a produrre ciò che viene definito singolarità, e che possiamo descrivere come un nuovo essere pensante non biologico. 

  Per ora si privilegia l’interazione delle intelligenze artificiali con gli umani, innanzi tutto perché è economicamente più conveniente (la biologia di un essere umano può sostentarsi in un deserto inospitale mangiando cavallette, come è scritto che facesse Giovanni il Battezzatore),  ma poi anche per il fatto che se per fare cose distruggerle i sistemi di intelligenza artificiale superano gli esseri umani, per avere questi ultimi nelle proprie mani basta l’immaginazione, il mito, e avere gli esseri umani in proprio potere è stato finora il fine principale delle organizzazioni di governo. Queste ultime sono fatte di esseri umani e la nostra biologia, della quale le nostre menti sono produzioni, ci assoggetta, tutti, i potenti come gli schiavi, alle relazioni profonde con altri come noi, senza i quali quindi non raggiungiamo emotivamente ciò che definiamo il senso della vita. Ciò ha consentito, finora, di limitare il potere sociale delle organizzazioni di governo semplicemente rovesciandone i miti fondativi.  I processi democratici si sono sviluppati in questo modo in Europa  dalla fine del Settecento, trovando però la loro prima realizzazione politica in Nord America, in una società lontana di colonizzazione europea dove fu meno forte la resistenza del potere fino a quel momento dominante.

  E tuttavia in futuro potrebbe non essere più così. Gli dei infatti potrebbero non essere più umani e, anche prima di quel momento, i nuovi dominatori del mondo, con l’ausilio dei nuovi esseri pensanti, potrebbero divenire così pochi che tutte le moltitudini intorno potrebbero essere sovrabbondanti per soddisfare le loro esigenze emotive di senso. 

  La gran parte degli esseri umani potrebbe diventare inutile a strutture sociali dominanti, composte da minoranze sempre più esigue, che non abbiano più bisogno di allestire miti per legittimarsi al governo, ma che sfruttino la potenza di controllo sociale,  del fare e nel distruggere,garantita dai nuovi esseri pensanti non biologici. L’intuizione di papa Francesco di uno scarto sociale, con sempre più persone ridotte in una condizione sub-umana da un sistema tecnocratico, potrebbe rivelarsi allora sempre più azzeccata.

  La democrazia, intesa come complesso di miti e procedure che consentano alle masse di influenzare in qualche modo il governo sociale potrebbe diventare obsoleta, e, per la verità, ci sono segni inequivocabili che lo stia già diventando.

  È un fenomeno sociale che ha iniziato a manifestarsi nel nuovo Millennio, l’epoca in cui i sistemi di intelligenza artificiale sono stati sempre più utilizzati per conquistare il consenso sociale. L’Italia, gli Stati Uniti d’America e il Brasile appaiono essere stati i massimi laboratori, a livello mondiale, di questi nuovi sistemi di potere sociale. In Italia negli ultimi dieci anni si sono prodotti per questa via processi francamente rivoluzionari, anche se non mi pare che la gente se ne sia resa bene conto. Fondamentalmente perché manca di un immaginario adeguato per comprendere ciò che sta avvenendo, che invece è ben chiaro, mi pare, ai sociologi.

  Il principale mito fondativo che sta traballando è quello dell’uguaglianza. La via ideologica seguita per superarlo è quella del contrapposto mito del merito. La società del futuro che sarà dominata sfruttando  sistemi pensanti non biologici, sarà immaginata come fatta di persone diseguali dove la diseguaglianza sarà legittimata dal merito, che sarà riconosciuto ai gruppi che saranno riusciti ad assicurarsi il controllo di quei sistemi.

  In una società così non ci sarà più posto per i cristianesimi.

  La sfida tra essi e il nuovo modello di egemonia sociale sarà mortale. Sorgeranno infatti nuovi dei.

  Di fronte a questi scenari, i deludenti tentativi di riforma allestiti nella nostra Chiesa da una gerarchia ostinatamente autoreferenziale, che si appaga di coinvolgervi solo le proprie esigue corti, lasciano il tempo che trovano. Ciò che si fa potrebbe essere stato fatto, così com’è, negli scorsi anni Sessanta, e infatti i riferimenti culturali proposti, i documenti di un Concilio ormai divenuti obsoleti, risalgono a quell’epoca. Il pervicace rifiuto del metodo democratico rende tutto inutile a fronteggiare la sfida dei tempi nuovi e del resto tutto procede stancamente e senza convinzione, più che altro per inscenare un’obbedienza gerarchica ad un Papa vegliardo, con scarsissimo coinvolgimento popolare, del quale non si sente il bisogno, appunto perché si respingono tutte le istanze democratiche.

  Si ripropone allo sfinimento lo stesso immaginario dell’ultimo secolo e mezzo, con il quale sinora si è riusciti a salvare l’autocrazia clericale, ma che, almeno in Europa, sta conducendo all’annichilimento delle nostre Chiese.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

  

 

  

  

lunedì 26 dicembre 2022

I Cantieri di Betania -2

I Cantieri di Betania -2

 

 L’immagine del Cantiere, utilizzata per rendere l’idea di come si propone di lavorare quest’anno sulla sinodalità, è una metafora: serve per rendere l’idea di un cooperare prolungato per costruire qualcosa destinato a durare, appunto come si fa in un cantiere. Vale a dire che non ci si vuole appagare del solo trovarsi insieme e anche del solo lavorare, ciò che conta è quello che si vuole costruire.

   Per la verità, come è stato osservato, in materia di sinodalità già il solo lavorare insieme realizza ciò che ci si propone di costruire. Ma è un inizio, sebbene un buon inizio, perché si vorrebbe rendere permanenti questo metodo e soprattutto un certo spirito con cui si lavora. È un’idea che la parola sinodalità non esprime, ma che le è stata storicamente associata, vale a dire quella di procedere insieme collaborando con pari dignità.

  Attualmente la massima parte delle persone di fede, in particolare le donne, vive nelle nostre Chiese in una condizione di dura umiliazione, che non ha nulla a che fare con l’umiltà evangelica, anche se chi comanda cerca di spacciarla come tale. 

  Nell’attuazione della sinodalità si vorrebbe cambiare questa situazione, che abbiamo ricevuto dalla tremenda storia dei secoli passati e che ci accomuna tuttora ad esperienze religiose di altre fedi e di altri tempi della nostra religione che, a parole e non col cuore, vengono  di solito ripudiate dal nostro Magistero.

  Il costruire sociale comporta anche una revisione dei miti sociali e delle procedure, a partire dalle consuetudini per proseguire con le norme formali. 

  Di questo nella nostra parrocchia abbiamo fatto esperienza nel tentativo abortito di riforma comunitaria pervicacemente perseguito tra il 1983 e l’autunno del 2015. La ragione del suo fallimento è stata principalmente  nel fondamentalismo e integralismo che lo ispirava, che sono presto sfociati in assolutismo, per cui si pensava di sostituire integralmente tutto ciò che c’era prima: la gente non l’ha tollerato e ha cominciato ad allontanarsi. L’immigrazione religiosa da altri quartieri non e bastata a colmare le perdite e, ad un certo punto, veramente troppo tardivamente, si è corsi ai rimedi,  cercando di ripristinare un certo pluralismo. Nel frattempo, però, in Italia si era spento l’attivismo che, più o meno fino alla fine degli anni ’80, aveva fortemente connotato il cattolicesimo italiano, facendone un unico nel mondo. Così s’è fatto ciò che si è potuto.

  La partecipazione ai processi sinodali potrebbe essere l’occasione per fare di più. A conti fatti, il problema di quel tentativo di riforma fondamentalista non è stato tanto nel suo fondamentalismo, la maggior parte degli ordini religiosi storici lo manifestano, ma proprio nel suo assolutismo autocratico, vale a dire nel suo essere l’antitesi della sinodalità. Del resto da secoli ogni riforma ecclesiale si è più o meno mossa così, salvo quella che si tentò di produrre negli scorsi anni Sessanta, con il Concilio Vaticano 2º.

  L’idea di metter su dei cantieri per lavorare sinodalmente sulla sinodalità non parte dalla presunzione di sapere già che fare. Dunque ingloba anche l’idea di laboratorio, che è quando ci si riunisce per lavorare su una ricerca.

  In effetti, nella presentazione dei Cantieri c’è anche questo termine, laboratorio, per spiegare ciò che si intende per cantiere:

 

Un cantiere si può immaginare come un percorso che, facendo leva sulla narrazione dell’esperienza, conduca a momenti di approfondimento e di formazione con l’aiuto di competenze specifiche, senza limitarsi a organizzare singoli eventi.All’interno di ogni cantiere potranno dunque trovare spazio, a titolo di esempio: riunioni di gruppi sinodali; momenti di studio; celebrazioni e iniziative pubbliche aperte al territorio; laboratori di progettazione; incontri in luoghi di particolare valore sociale o culturale.


   Si scrive anche, più avanti, del «carattere laboratoriale ed esperienziale dei cantieri».

  Ed anche: «Quella del cantiere è un’immagine che indica la necessità di un lavoro che duri nel tempo, che non si limiti all’organizzazione di eventi, ma punti alla realizzazione di percorsi di ascolto ed esperienze di sinodalità vissuta, la cui rilettura sia punto di partenza per la successiva fase sapienziale

  Ecco quindi: si ha di mira la sinodalità vissuta realizzata in quei cantieri-laboratorio, per poi rifletterci sopra, anche, probabilmente, tirando di mezzo   la teologia (sconsigliabile in queste fasi precoci), ma più in generale per arricchire il mito della sinodalità, che ora è ancora molto striminzito e inadeguato 

 Nel documento I Cantieri di Betania si propongono – si sostiene sulla base delle indicazioni scaturite dal primo anno di ascolto – tre grandi aree tematiche:

-      relazioni con la società intorno;

-      organizzazione interna;

-      i ministeri ecclesiali, vale a dire i compiti assegnati alle persone nell’interesse comunitario.

 Nel descriverle nel documento si scrive in ecclesialese, per cui sopra ho dovuto decrittare e sintetizzare.

 Ne I Cantieri di Betania ci si rende conto del problema e infatti i suoi autori ad un certo punto scrivono:

 

Di quali linguaggi dobbiamo diventare più esperti? Come possiamo imparare una lingua diversa dall’“ecclesialese”? 

 

  La questione femminile, che evidentemente gli autori del documento avvertono come pericolosa, è confinata in poche righe nel terzo punto. Nel secondo si chiede di esaminare se esistano «esperienze ospitali positive per ragazzi, giovani e famiglie», quindi di riflettere su ciò che già è stato sperimentato. Chissà perché le persone adulte che non siano genitrici non sono menzionate, eppure sono molte di più di un tempo. È il campo dei nuovi movimenti del post-concilio, ma anche dell’Azione Cattolica riformata  alla fine degli anni Sessanta. Va detto che l’Azione Cattolica è già un’esperienza totalmente sinodale.

  Nel documento I Cantieri di Betania si immagina che l’organizzazione della fase di ascolto si svolga in una organizzazione rigidamente controllata dalle Diocesi, ciascuna delle quali può aggiungere una quarta area tematica, un quarto cantiere-laboratorio, secondo le esigenze locali. Non c’è la minima apertura ad esperienze progettate dalla base, che poi si coordinino con le altre (un fenomeno che caratterizzò l’effervescenza post-conciliare quando, a sangue freddo, si decise deliberatamente di porvi termine dalla metà degli scorsi anni ’80). 

 Il livello più vicino alla gente che viene preso in considerazione è quello delle equipe pastorali parrocchiali, i piccoli gruppi di esperti nominati dai parroci, che purtroppo a Roma stanno soppiantando i Consigli pastorali, i quali in altri documenti vengono considerati incubatori di sinodalità. Si entra in quelle equipe per volontà del solo gerarca di prossimità e ci si rimane a quella condizione: difficile quindi che vi si sviluppino istanze critiche.

  Rilevo che nel Documento si sostiene che nel secondo anno si vorrebbe coinvolgere anche le persone che non hanno partecipato alle attività del primo, mentre nel Vademecum che l’accompagna con indicazioni operative, si sostiene addirittura che «Non tutti coloro che hanno partecipato al primo anno potranno essere coinvolti nei cantieri», restringendo ulteriormente la già minima partecipazione comunitaria. Tuttavia si precisa che agli esclusi «sarà bene fornire una prospettiva di continuità della partecipazione al Cammino e favorire il loro impegno per crescere nella capacità di vivere in modo sinodale la vita ordinaria della Chiesa». Lo interpreto nel senso che la burocrazia ecclesiastica lavorerà con il proprio personale, clero, religiosi, dirigenti dell’associazionismo e del movimentismo ecclesiali, equipe pastorali,  in tal modo sentendosi dire, alla fine, ciò che ha deciso debba unanimemente essere detto, che varrà (in modo antisinodale) come parola ascoltata dal Popolo di Dio, ma che non sono escluse altre esperienze di base  «per crescere nella capacità di vivere in modo sinodale la vita ordinaria della Chiesa». C’è quindi un sia pur minimo spazio per esperienze sinodali autoconvocate.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli