Un difficile inizio
Ho
appena finito di leggere, in ebook, il libro di Fulvio De Giorgi, professore
all’Università di Modena e Reggio Emilia, Quale Sinodo per la Chiesa
italiana. Dieci proposte, Morcelliana 2021. L’opera ha in allegato
documenti utili per intendere il processo sinodale che si vorrebbe far partire
dal mese prossimo: il discorso del Papa per il 50° anniversario dell’istituzione
del Sinodo dei vescovi, il 17 ottobre 2015, il discorso del Papa al 5° Congresso
nazionale della Chiesa italiana, il 10 novembre 2015, il discorso del Papa alla
CEI del 20 maggio 2019, il discorso del Papa all’incontro del 30 gennaio 2021
dell’Ufficio catechistico nazionale della CEI, l’articolo del card. Gualtiero Bassetti su Avvenire del 3-2-21 dal titolo “La via sinodale
della Chiesa italiana. Un cammino di comunità” e, molto importante, lo studio
della Commissione Teologica Internazionale “La sinodalità nella vita e nella
missione della Chiesa”, pubblicato nel 2018 e frutto di un lavoro svolto
dal 2014 al 2017.
De Giorgi sintetizza efficacemente quello
che chiama gigantesco fallimento pastorale e che si è prodotto tra il 1985 e fino all’elezione
di papa Francesco nel 2013, fondamentalmente a causa di un orientamento della gerarchia
nell’esercizio dell’autorità
episcopale e di una ignavia del resto dei fedeli, che in qualche modo si sono
accomodati nella condizione di gregge in posizione passiva verso l’autorità
ecclesiastica. Una Chiesa autoritaria e totalitaria, dedita al monologo identitario,
con ridottissimi spazi di libertà di pensiero, parola, autonomia al suo
interno, una Chiesa che puntando sull’evangelizzazione a scapito della promozione umana, campo
privilegiato delle persone laiche, ha ripreso ad umiliare queste ultime, dopo
la primavera succeduta al Concilio Vaticano 2°, una Chiesa che rifiuta la negoziazione con il suo tempo distaccandosene progressivamente
fino a divenire inutile per la maggior parte della gente, una Chiesa che pratica
un marcato papismo affidando ad esso la sua credibilità in società e scoraggiando
ogni altra voce. Il risultato è stato un lungo inverno ecclesiale e la perdita
della continuità generazionale. Una Chiesa, quindi, in prevalenza fatta di
anziani e guidata da anziani. Una Chiesa che ha fatto e fa ancora molto
affidamento su aggregazioni a prevalente contenuto emotivo, capaci di riempire
piazze a comando, che diffida dei processi democratici e del dialogo e non li
insegna, aspettandosi dai fedeli la docilità come massa di manovra, pronta ad andare qua e
là a comando e a farsi ripetitrice dei discorsi approvati in alto. Una Chiesa
che strumentalizza spregiudicatamente il sacro
e il prodigioso per fascinare il popolo, poi però disprezzandolo per
questo e lamentandosene. Una Chiesa che ciclicamente rampogna le persone laiche
per la loro scarsa incidenza nella società civile, nel contempo però non
formandole più a quella partecipazione e scoraggiandone le iniziative,
preferendo trattare direttamente e sbrigativamente con gli esponenti della
società sui temi di interesse.
Il Papa vorrebbe un Sinodo della Chiesa italiana
realmente partecipato. Da come si sono messe le cose, non lo avrà.
Il Documento preparatorio che è stato
diffuso qualche giorno fa chiarisce che:
-
il Sinodo della Chiesa italiana, almeno nella sua fase diocesana, sarà mischiato
a quello della Chiesa universale, con il che sarà impossibile dibattere dei
problemi specificamente italiani ed europei, marcatamente diversi da quelli
della Chiese asiatiche, africane, latino-americane, nord-americane, dell’Oceania
e dell’Amazzonia;
-
da ogni diocesi non si vuole un vero processo sinodale partecipato, con il reale coinvolgimento dei
fedeli, ma dieci pagine dieci di sintesi delle risposte date a un questionario,
che, come al solito è successo, prevedibilmente non giungerà mai tra le mani
dei fedeli, ma rimarrà in quelle degli addetti ai lavori;
-
non ci sarà una vera discussione nella base, anche perché essa dovrebbe
svolgersi con metodo democratico, ciò che nel Documento preparatorio in modo perentorio e arrogante si vieta.
Mi sono chiesto come mai, con tutti gli
ingegni che ci sono nella Chiesa italiana, tra i suoi dottori, nelle sue
rinomate università, e tra i suoi
vescovi, la redazione del Documento
preparatorio, un testo con tutta evidenza uscito raffazzonato e confuso,
sia finita nelle mani di redattori che si sono rivelati così impari a ciò che
era loro richiesto, e non ne faccio tanto una colpa a loro ma a chi li ha
scelti e diretti, ai committenti insomma. Un documento che non era riservato a un
uditorio limitato, ma addirittura, tradotto in più lingue, alla Chiesa
universale. Che figura abbiamo fatto!
De Giorgi ricorda che anche nella fase preparatoria
del Concilio Vaticano 2° si era messa male nello stesso modo, ma che poi, nella
prima sessione dei lavori e poi nelle altre sessioni, i vescovi del mondo
avevano cambiato le carte in tavola. Ma ora è diverso. Il Sinodo della Chiesa
italiana, una procedura che ha scopi diversi dal Sinodo della Chiesa
universale, è stato voluto dal Papa, ma senza apparente diffuso entusiasmo dei
vescovi. I fedeli, poi, ma anche il clero di base, semplicemente non contano nulla
di nulla, per cui, se non accade qualcosa, finirà tutto come sempre. E il Papa,
molto apprezzabilmente, non vuole imporsi d’autorità, lo ha detto. Ma non ha
fiducia nel metodo democratico, perché viene da una storia, quella dell’America
Latina, tanto diversa da quella europea, in cui la democrazia spesso si è
rivelata un imbroglio in danno di chi stava peggio. Questo è il suo più grande limite,
che gli deriva anche dalla sua formazione di gesuita. In particolare, come già
Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger prima di lui, non conosce veramente e non
apprezza la storia del cattolicesimo democratico europeo, che tanto ha fatto
nella costruzione dell’Europa contemporanea, in genere trascinandosi dietro, riluttante,
la gerarchia nel campo dei grandi valori universali. E, del resto, noi fedeli
non siamo più, certamente, quelli di un tempo, quelli che, ad esempio, nella
Costituente, tra il ’46 e il ’47, progettarono la nuova Repubblica democratica.
Siamo, appunto, ignavi. Pronti, tuttavia, a
lamentarci dei parroci che non ci comprendono, come emerge dai sondaggi
di cui si dà conto in un altro lavoro collegato al processo sinodale che sta per
iniziare, Il gregge smarrito.Chiesa e società nell’anno della pandemia, Rubettino
2021, di Giuseppe De Rita ed altri, ma non a renderci veramente presenti in
chiesa, al loro fianco e se necessario anche come forza critica rispetto a
loro, tutto sommato trovandoci appagati
nella condizione di gregge inerte e deresponsabilizzato nella quale la gerarchia ci preferisce.
De Giorgi fa la proposta di collegare l’apertura
del procedimento sinodale nella fase diocesana al rinnovamento dei consigli
pastorali parrocchiali, in particolare nei membri che dovrebbero essere eletti dall’assemblea
parrocchiale (a mia memoria nella nostra parrocchia non lo si è mai fatto, ma
potrei sbagliarmi perché la memoria non è più quella di quand’ero giovane). Il
consiglio pastorale parrocchiale è un embrione di democrazia in un contesto
tristemente autocratico e, pur nel suo essere fondamentalmente un gruppo di
consulenza, senza poter decidere veramente nulla di nulla ma solo, appunto,
consigliare, suggerire, nella sua pur limitata autonomia organizzativa, che gli
è stata comunque riconosciuta, può divenire effettivamnte da embrione un organismo
partecipativo più sviluppato, specialmente se anche gli altri fedeli possano
essere sistematicamente in qualche modo coinvolti nelle sue iniziative, e
innanzi tutto informati dei suoi lavoro. Ora, in genere, è poca cosa, tanto che
a Roma si è ritenuto di dovergli affiancare le equipe pastorali, con
competenza sovrapposta, di nomina gerarchica. In un processo autocratico, gerarchico,
chi diviene sgradito all’autocrate può essere sbrigativamente allontanato.
Qualcosa del genere, lo ricorda De Giorgi, accadde a mio zio sociologo bolognese,
maestro di schiere di giovani, duramente, lungamente e stupidamente emarginato
dalla sua diocesi, alla quale aveva dato molto. In un processo che si generi dal basso, chi è
eletto ha invece un diritto-dovere di resistere e di spiegarsi e l’autocrate
non può sommergerlo. Più che altro il consiglio pastorale parrocchiale, come si
è immiserito via via, mi pare sia diventato una specie di assemblea
condominiale tra capetti di movimenti e associazioni
che pretendono spazio in parrocchia, con nessuna capacità di dialogo, ognuno cercando
di avere più spazio per il proprio gruppo e di inserire nelle liturgie e attività
formative le proprie particolari consuetudini e idee religiose, insofferente
verso tutto il resto.
Cambiare richiederebbe di darsi da fare e anche
di pigliare di petto qualcuno. Con il senno del poi mi rimprovero di non averlo
fatto quando, negli anni ’90, le cose presero una brutta piega nella nostra
parrocchia. E non so se neppure oggi mi va veramente di prendermi questa briga.
La tentazione di mandare tutti a farsi il Sinodo come vogliono è forte. Vista da lontano, un po’ vista e un po’ sognata,
la nostra Chiesa ancora si regge, ma quando le ci si avvicina non è sempre un
bello spettacolo. Forse questo è più un
lavoro da giovani, che però sono sempre meno tra noi, dicono le statistiche.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San
Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli