Sinodo totale
Una Chiesa sinodale è quella partecipata da tutti. Si basa sul
riconoscimento della pari dignità dei suoi membri. Non si tratta solo di una
Chiesa nella quale i capi del suo clero cercano di esaminare le questioni e di
decidere insieme. La sua sinodalità diffusa, totale, comporta l’accettazione del suo pluralismo,
vale a dire dell’esistenza di diversi modi di vivere da cristiani. Questo non è
scontato, tenendo conto della nostra storia.
L’Azione Cattolica fu fondata nel 1906 al tempo di quella che Fulvio De
Giorgi, nel suo libro Quale Sinodo per la Chiesa italiana. Dieci proposte, Morcelliana
2021, chiama Chiesa totalitaria. Si era in tempi bui, quelli della durissima
persecuzione contro il cosiddetto modernismo e della contrapposizione
frontale con il liberalismo democratico e il socialismo. L’Azione Cattolica fu
concepita per influire in società, nell’economia e in politica come corpo
unitario e totalizzante, con le sue varie articolazioni professionali e per età
e sesso, i suoi rami, in particolare per sostenere le rivendicazioni
politiche del Papato, che in Italia aveva in corso una forte polemica con il nuovo
Regno unitario, detta Questione
romana, perché originata nel 1870 dalla soppressione violenta, per conquista militare,
dello Stato Pontificio con capitale Roma. L’Azione Cattolica era, ed è ancora,
una istituzione della Chiesa, la principale istituzione della Chiesa per
la partecipazione delle persone laiche
all’apostolato e, anzi, da esse stesse animata. Infatti ha natura associativa.
Rimanevano per le persone laiche varie altre organizzazioni di spiritualità
e devozione, Terz’ordini e Confraternite
ma con obiettivi limitati, centrati sul perfezionamento interiore, su atti
devozionali e sulla carità.
La
caratteristica principale dell’Azione Cattolica dalla fondazione alla riforma
attuata negli anni ’60, durante la presidenza di Vittorio Bachelet, fu di
essere il braccio della gerarchia. Essa non aveva una propria
connotazione di spiritualità, né un orientamento politico definito
autonomamente. Si dedicava alla formazione delle masse per l’azione
sociale, nel senso indicato dalla gerarchia. La sua fondazione origina dalla
reazione del Papato contro i moti democratici che si erano manifestati nella
precedente organizzazione di massa dei cattolici italiani, l’Opera dei
Congressi, a cavallo tra Ottocento e Novecento. Durante il fascismo
italiano l’Azione Cattolica nazionale in gran parte si fascistizzò, nonostante
gli iniziali screzi poco dopo la conclusione dei Patti Lateranensi, nel
1929, con i quali la Questione Romana venne chiusa. Del resto, nel 1931, con
l’enciclica Il Quarantennale [dalla
prima enciclica sociale, la Le Novità – Rerum Novarum] - Quadragesimo anno, il papa Pio 11°
le aveva ordinato di collaborare alle riforme corporative del fascismo
mussoliniano. L’azione sociale e politica era una forma di carità, disse quel Papa parlando agli universitari
della FUCI – Federazione universitaria cattolica italiana, uno dei rami intellettuali dell’Azione Cattolica. Tuttavia, sempre negli anni ’30, per
impulso della Segreteria di Stato Vaticana, l’Azione Cattolica formò alla
democrazia un ceto di laureati, un altro suo ramo intellettuale, i Laureati
Cattolici (che ora è un’organizzazione autonoma, il MEIC – Movimento
ecclesiale di impegno culturale), al quale poi, regnante il papa Pio 12°,
fu ordinato di progettare una nuova democrazia post-fascista, cosa che fu
fatta.
Il
Concilio Vaticano 2° (1962-1965) deliberò una importante riforma dogmatica
riguardante il ruolo delle persone laiche. Esse non vennero più considerate
legittimate all’apostolato per delega
dalla gerarchia, ma in virtù della
loro personale e diretta relazione con Cristo. Questo comportò la riforma
dell’Azione Cattolica, espressa nel suo nuovo statuto del 1969. Il rapporto con
la gerarchia venne definito di diretta collaborazione
L'Azione
Cattolica Italiana è una Associazione di laici che si impegnano
liberamente, in forma comunitaria ed organica ed in diretta collaborazione
con la Gerarchia, per la realizzazione del fine generale apostolico della
Chiesa.
Il legame con la gerarchia rimase forte e
caratterizzante, ma basato sui presupposti deliberati dall’ultimo Concilio.
Dagli anni ’70, sui medesimi presupposti dogmatici, sorsero altre
organizzazioni partecipative, composte da laici, clero e religiosi, che
ebbero poi il riconoscimento dell’ecclesialità, nessuna però con quel
particolare legame con la gerarchia che aveva l’Azione Cattolica,
organizzazione specificamente laicale. Alcune delle nuove aggregazioni si
posero esplicitamente in polemica con i principi conciliari in materia di ruolo
e azione della Chiesa nel mondo e di
ruolo delle persone laiche e divennero protagoniste dei moti reazionari contro
l’attuazione della riforma deliberata dal Concilio Vaticano 2°, cercando anche
di influire sulla gerarchia e sull’elezione del Papa formando un proprio clero
e anche un proprio episcopato. Esse attaccarono duramente l’Azione Cattolica,
in particolare dagli anni ’80, durante il regno del papa Giovanni Paolo 2°.
Contemporaneamente, quello che De Giorgi ha definito un lungo inverno
calò sulla Chiesa italiana bloccandone l’effervescenza sociale che si era
manifestata nel decennio precedente. Questo clima si manifestò progressivamente
ma con sempre maggiore evidenza anche nella nostra parrocchia, per la quale dal
1983 iniziò una nuova stagione, con molti cambiamenti. Come testimoniato dai
ricordi raccolti da Bruno Bonomo nel libro Il quartiere delle Valli –
Costruire Roma nel secondo dopoguerra, Franco Angeli, 2007, negli anni ’80
l’Azione Cattolica parrocchiale aveva ancora numerosi aderenti, in particolare
molti giovani. Questo è anche il mio ricordo personale. Tuttavia non la si
ritenne più un percorso formativo valido, in particolare per i ragazzi, e così
fu interrotta la sua continuità generazionale. Progressivamente la si mantenne
sostanzialmente come esperienza in via di esaurimento, mentre ai giovani vennero proposte altre vie. Per il suo
particolare legame con la gerarchia, l’Azione Cattolica non può sopravvivere in
sede locale se non collaborando con il clero. Questo nuovo orientamento creò anche
dei problemi evidenti con la gente del quartiere, sui quali ho scritto molto
negli anni passati e potete quindi capire di che si è trattato cliccando sui
relativi post. Dall’autunno del 2015 si è tentato di porvi rimedio, con
visibili risultati. In particolare si è cercato di ripristinare un certo
pluralismo formativo. L’Azione Cattolica parrocchiale è comunque
sopravvissuta e il titolo di questo blog “AC VIVE A ROMA VALLI” ne è una
orgogliosa rivendicazione. Ma si trova ancora in una condizione per così dire embrionale.
E’, tuttavia, un seme piantato nel quartiere, un piccolo seme, ma si sa la
considerazione per i piccoli semi che troviamo nei Vangeli.
Dagli anni ’60 il principale scopo dell’Azione Cattolica è l’attuazione
delle riforme deliberate nel Concilio Vaticano 2°, che riguardano la Chiesa e
l’intera società. L’orientamento principale è dato dalle Costituzioni Luce
per le genti – Lumen Gentium e La gioia e la speranza – Gaudium
et spes e dal Decreto sull’apostolato
dei laici L’apostolato – Apostolicam actuositatem del Concilio Vaticano
2°. L’attuazione della sinodalità
totale ne è espressione. Da qui il
grandissimo impegno che in Azione Cattolica, anche in parrocchia, vogliamo
spendervi.
Il principale problema della nostra parrocchia, sulla via della
sinodalità, è di essere divenuta progressivamente una sorta di condominio di vari gruppi, con prevalenza di uno di essi,
derivata dal vecchio corso. Si è in parrocchia partecipando a quei gruppi. Al
di fuori dei gruppi non ci si conosce e si diffida. Nel percorso sinodale
l’Azione Cattolica parrocchiale però non ha una propria individualità da
preservare. Essa è semplicemente Chiesa. Così accetta pienamente il
pluralismo sociale ed ecclesiale, che è uno delle più importanti acquisizioni
conciliari, e non si presenta come esclusiva, per cui, ad esempio, facendone
parte non si possa partecipare ad altre esperienze o aggregazioni. Entrando
in Azione Cattolica non si è obbligati a rinunciare a nulla di come si è
cristiani, non si è obbligati a perdere nulla, ad amputarsi nulla, come se al
di fuori dell’Azione Cattolica ci fosse qualcosa di scandaloso, o imperfetto,
da cui emendarsi aderendo. Si è accettati e apprezzati come i cristiani che
si è. Non si è costretti ad alcuna particolare iniziazione né ad alcuna
particolare progressione per livelli di perfezione. L’adesione e la
partecipazione sono libere. Per questo ci si avvale del metodo
democratico. L’esperienza in Azione Cattolica è infatti definita come popolare
e democratica. Così, partecipando
al processo sinodale in una realtà di base come la parrocchia, l’Azione
Cattolica si fa evangelicamente lievito, e non è più distinguibile come
tale.
Bisogna infatti aver chiaro questo: non vi
è vero processo sinodale dove si rimane confinati nel proprio gruppo di
prevalente riferimento e alla sua disciplina, se non si partecipa liberamente.
Se si
accetta pienamente il pluralismo
ecclesiale, bisogna accettare come gli altri vivono da cristiani e anche che vi siano coloro che contrastano i
moti di riforma del Concilio. Dobbiamo imparare la dura lezione della storia
dei cristiani, che è stata caratterizzata nella sua gran parte e fino ad epoca
molto recente da violenza, intolleranza, discriminazione, totalitarismo,
oppressione delle coscienze. Però non sono accettabili prevaricazioni. Se le
organizzazioni che finora hanno dominato in parrocchia, e certamente l’Azione
Cattolica parrocchiale non è fra queste, non accettano di far partecipare i
propri aderenti al processo sinodale in condizione di libertà di coscienza,
non vi sarà reale processo sinodale.
Poiché però il Papa e i vescovi hanno convocato la Chiesa di Dio
in Sinodo, come si legge nel sito
del Sinodo 2021-2023, l’Azione Cattolica deve premere, e anche lottare dove
occorra, perché Sinodo sia, e quindi, in particolare, perché sia creata anche
nella nostra realtà di base, la parrocchia, una organizzazione che consenta realmente
quella Chiesa sinodale, partecipata liberamente,
che si vuole indurre. Dobbiamo insistere perché ogni aggregazione lasci liberi
i propri aderenti di parteciparvi,
senza condizionamenti.
In passato troppe decisioni importanti sono state prese senza la minima
consultazione con i fedeli, umiliandoli in una condizione dolorosa, come se non
fossero degni del loro nome di cristiani, come se la loro vita da cristiani non
contasse nulla senza sottoporsi alle forche caudine di un qualche vaglio
speciale di spiritualità.
Processo sinodale non può
significare lasciare tutto come prima e continuare a vivere sostanzialmente come separati
in casa.
In un certo senso, la sinodalità che si vuole realizzare significa anche ricostruire una Chiesa locale, fatta di gente che si
conosce e si stima, laddove essa era
diventata più che altro una chiesa intesa come spazio dove la gente è stipata,
divisa per appartenenze settoriali, secondo una turnazione condominiale, oggi
noi, domani voi.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in
San Clemente papa – Roma, Monte Sacro Valli