L’esperienza dell’apertura universale
[da Paolo Naso, Martin Luther King. Una storia americana,
Laterza 2021, anche in -ebook]
I passi successivi [nella vita di Malcom X, rivoluzionario
afroamericano convertitosi all’Islam in polemica contro i bianchi statunitensi
e la loro religione] furono il viaggio in Egitto e il pellegrinaggio alla Mecca: un’esperienza
eccezionalmente che produsse un cambiamento spirituale e politico rilevante, espresso
in una specifica autocritica. Riferendosi al clima di fratellanza che sentiva attorno
a sé, Malcom sentiva che il suo settarismo ed esclusivismo razziale appariva incompatibile
con il messaggio universalistico dell’Islam, al punto da indurlo a rivedere «molte delle mie conclusioni […]. Posso dire, basandomi sulle
esperienze che ho avuto, di nutrire la speranza che i bianchi delle giovane
generazione, gli studenti dei college e delle università capiranno le
cause del problema e molti di loro si metteranno sulla strada spirituale della
verità, l’unica rimasta all’America se vuole evitare la catastrofe verso cui il
razzismo inevitabilmente la conduce [dall’Autobiografia di Malcom X]. Il
cambiamento più rilevante è quello relativo al “soggetto” della trasformazione
sociale, che non è più il nero ma una coalizione ampia e articolata,
interreligiosa, interrazziale e politicamente trasversale. E’ Malcom stesso a
dirlo con parole molto chiare, che segnano una linea di netta demarcazione tra
il leader settario della Nation of Islam [il gruppo politico
rivoluzionario statunitense di ispirazione islamica da cui Malcom X era uscito
nel 1964] e il musulmano ortodosso che riconosce il valore dell’incontro, del
dialogo e dell’azione comune tra bianchi e neri.
Da quando ho imparato la verità alla
Mecca – ammise – tra i miei più cari amici
ci sono persone di tutte le specie: cristiani, ebrei, buddhisti, induisti, agnostici
e persino atei. Ho amici tra i capitalisti, i socialisti e i comunisti, alcuni
sono moderati, altri conservatori o estremisti e altri ancora hanno la
mentalità dello zio Tom: oggi i miei amici sono di pelle nera, bruna, rossa,
gialla ed anche bianca [dall’Autobiografia di Malcom X]
Negli anni ’60, durante il Concilio Vaticano 2° (1962-1965) i cattolici
italiani vissero un’esperienza spirituale universale analoga a quella di
Malcom X alla Mecca. Un nuovo mondo si spalancò loro davanti. Già dalla fine delle
elementari potei parteciparvi anch’io: “La Chiesa – ci spiegò il prete della
nostra parrocchia che veniva a farci religione – non è l’edificio in cui
andiamo a sentire Messa, che è la chiesa parrocchiale, ma siamo tutti noi che crediamo”.
Ero stato portato in chiesa a sentire la Messa come si diceva una volta, in latino. Da un certo punto cominciai a sentirla in italiano e a comprendere. Alle medie e al liceo tutto questo si intensificò, nel clima di
effervescente primavera che la nostra Chiesa stava all’epoca vivendo. Ci si era
aperta l’immagine della Chiesa
universale fatta di tutti i popoli
della Terra, fattore di pace e di solidarietà. Si veniva
dalla Chiesa totalitaria nella quale era molto sensibile l’imperialismo ideologico
e politico degli europei, una Chiesa che oggi diremmo identitaria. L’apertura agli altri cambia profondamente, specialmente se è
tendenzialmente universalizzante.
Negli anni ’80 quel moto fu bruscamente
avversato, fondamentalmente perché si temeva di perderne il controllo e anche di non riuscire a recuperare validi
fattori identitari, una volta lasciati quelli che la tremenda storia delle
nostre Chiese ci aveva tramandato, quelli che erano stati all’origine degli
efferati conflitti religiosi che avevano travagliato la storia religiosa dei cristiani,
e in particolare quella dei cristiani europei. La decisione, quanto ai
cattolici, è ascrivibile alla gerarchia, che ora, con il senno del poi
naturalmente, capiamo aver imboccato una via esiziale, per cui la nostra Chiesa
ci appare oggi poco vitale e anche incapace di rivitalizzarsi. Rimane il suo
smisurato apparato burocratico dedito all’amministrazione di un ingente
patrimonio, composto da immobili e risorse finanziarie, tra le quali un flusso
automatico di circa un miliardo di euro che viene ogni anno dallo stato
italiano in base ad un accordo concluso nel 1984, proprio nel tempo in cui
iniziò quello che Fulvio De Giorgi ha definito come un lungo inverno
ecclesiale.
L’interruzione della continuità generazionale
tra i fedeli, che anche noi abbiamo sperimentato in Azione Cattolica, è ora un
ostacolo gravissimo alla ripresa.
Una Chiesa come la nostra è un organismo
complesso: questo ne potenzia le capacità di resistenza in certe difficoltà. Ma
essa ci si manifesta ora incapace di vero rinnovamento e questo perché è sostanzialmente
diventata un tronco inaridito, la cui solidità è solo apparente e precaria. Il processo
sinodale che si vorrebbe iniziare il mese prossimo dovrebbe servire a compiere un
miracolo analogo a quello che si produsse ai tempi dell’ultimo Concilio ecumenico,
ma le premesse non sono buone. E’ impressionante, soprattutto, che nelle
Diocesi, almeno a quanto se ne sa, non si faccia alcun tentativo di
coinvolgervi la gente, preparandosi più che altro a sbrigare la preparazione
della dieci pagine dieci che l’organizzazione centrale del Sinodo ha
richiesto. E probabilmente sono già state scritte, con le solite ovvietà
tranquillizzanti (per la burocrazia ecclesiastica). Così è, in fondo, per la nostra
parrocchia. Come gruppo di Azione cattolica, un’associazione che ha fatto dell’attuazione
dei principi dell’ultimo Concilio uno dei suoi obiettivi principali, potremmo
pensare di farci parte propulsiva e propositivi di un percorso sinodale, non
solo scrivendo
le consuete banalità in ecclesialese, ma cercando di realizzare nuove
strutture partecipative in parrocchia e, innanzi tutto, di spingere per una rivitalizzazione del
Consiglio pastorale parrocchiale, cominciando con l’integrarlo con una
componente elettiva, come già oggi, e per la verità da molto tempo, è
consentito.
Mario Ardigò
– Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli