Un documento deludente
Il Documento preparatorio fatto
scrivere dalla Segreteria generale del Sinodo dei vescovi e presentato l’altro
ieri, 7 settembre 2021, è un testo veramente deludente: confuso, di non agevole lettura in
quanto steso in ecclesialese, in stile para-omiletico fuori luogo in quel contesto, con sofisticate efferatezze, come quando
fa sfoggio del gergo aziendale parlando di decision-making, decision-taking,
accountability senza decrittare questi termini, e con un’uscita urtante
(per la sensibilità degli europei occidentali) e veramente inaccettabile in
materia di metodo democratico, quando sentenzia che «la consultazione del Popolo di Dio non comporta
l’assunzione all’interno della Chiesa dei dinamismi della democrazia imperniati
sul principio di maggioranza, perché alla base della partecipazione a ogni
processo sinodale vi è la passione condivisa per la comune missione di
evangelizzazione e non la rappresentanza di interessi in conflitto», allineandosi in ciò alla
più progredita ideologia talebana (esponenti del nuovo regime afgano hanno
sostenuto qualche giorno fa il medesimo principio).
Il
documento è pieno di citazioni da scritti
del Papa e si capisce, quindi, che il Sinodo è voluto da lui. Ma per fare che,
per decidere che? Quali sono i problemi per cui si ritiene addirittura di consultare
il Popolo di Dio? Non certo quelli della corruzione che si è manifestata nell’amministrazione dei
beni ecclesiastici e degli abusi del clero su persone, anche minori, che gli erano
state affidate, citati nel documento: essi riguardano infatti la sola gerarchia e, appunto, il clero, che nelle cose loro sono assolutamente autoreferenziali e non
accettano intromissioni.
Sembra che la consultazione
si farà rispondendo a una specie di questionario in dieci punti, elencati in fondo
al documento. Sarebbe stato più efficace, a questo punto, organizzare un vero e
proprio sondaggio, affidato a una organizzazione tecnicamente qualificata. Esso
avrebbe rimandato le reali opinioni prevalenti nel popolo, ma questo
penso non avrebbe fatto tanto piacere alla nostra gerarchia, perché è sentire
comune che esse divergano marcatamente da quello che i nostri gerarchi ritengono
accettabile. Non su cose che si pensano fondamentali, i famosi dogmi, ma
su questioni più terra terra, come il fatto che alle persone laiche è
sostanzialmente inibito di partecipare alla formulazione dei principi di azione
sociale, attività che rientrerebbe nel loro proprio statuti, per agire, come si
dice in gergo, nel temporale. Ma anche di partecipare a qualsiasi attività
di amministrazione e di organizzazione, a qualsiasi livello, se non come consulenti. La decisione di un milione di
loro non vale quella di un singolo alto gerarca.
Il rifiuto
del metodo democratico nella fase della consultazione impedirebbe al popolo di
esprimere un parere collettivo sui diversi temi proposti e ogni persona
andrebbe in ordine sparso e poi gli organizzatori sceglierebbero nel mucchio le
voci ritenute più appropriate e
convenienti, espressione quindi di quello che pomposamente, ma vanamente, viene
definito sensus fidei, che
sarebbe la capacità di intuire emotivamente la via giusta senza tanto ragionarci,
alla quale proprietà si vorrebbe attribuire addirittura l’infallibilità,
che, Papa a parte naturalmente, non è data agli esseri umani. Già non è facile
fare i conti con un infallibile,
sarebbe consigliabile non allargare la cerchia. Anche perché, in realtà, l’opinione
corrente nel popolo viene stimata
a nulla. Altro che infallibilità!
Penso che
nella fase attuativa, pur senza esarcerbare gli animi, sarebbe opportuno, nel
dialogo che faremo tra noi, specie nelle realtà di base come le parrocchie,
impiegare quel metodo democratico che i gerarchi ripudiano e che comprende non
solo il principio di maggioranza, ma anche la dignità delle minoranze e di ogni
singola persona e, prima di tutto, la possibilità di dibattere liberamente e
compiutamente sulle varie questioni, stilando un resoconto veritiero di questo
dialogo.
Nei prossimi
post cercherò di enucleare in quel Documento
preparatorio piuttosto criptico in merito i temi che realmente contano e
che è opportuno dibattere per cercare di inserire, da persone laiche, anche la nostra voce nelle dieci paginette dieci
che sono richieste a ogni Diocesi (la nostra sulla carta comprende milioni di
abitanti) per farne oggetto di riflessione tra i vescovi del mondo quando si riuniranno
in assemblea generale, tra due anni.
Tutto
questo, naturalmente, riguarda il Sinodo della Chiesa universale, all’interno
del quale c’è da temere che finisca per sparire, almeno nella fase consultiva, che ci riguarda direttamente, quello
della nostra Chiesa nazionale.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente
papa - Roma, Monte Sacro Valli.