Figli
di re
28-4-09
Ieri in televisione ho sentito parlare del
popolo sovrano. Non bisogna creare tante difficoltà al sovrano eletto dal
popolo, mi pare che sia stato detto. Egli deve avere mano libera. Deve poter
fare in fretta. I tempi lo richiedono.
E allora abbiamo cominciato dicendo ai
ragazzi che erano tutti figli di re. Immaginate la sorpresa. I vostri genitori
sono re, quindi voi siete figli di re. Questo significa l'art.1 della nostra
Costituzione, quello che amo di più, quello che dice che siamo una repubblica
popolare. Bisogna quindi che i figli di re imparino a fare i re. Non solo sui
libri. Guardate il vostro popolo. Guardate che bisogno di giustizia c'è. Girate
in mezzo al vostro popolo.
Ma: e la faccenda dei "limiti"?
"Nelle forme e nei limiti", è scritto. E' lì che da ragazzo, quando
ho letto per la prima volta quel testo, ho sospettato la fregatura. Ecco che ci
sono dei limiti. Sono tutte parole, quelle sulla sovranità del popolo.
In una repubblica popolare "tutti"
sono re. Quindi è necessaria la giustizia. Questi re devono per forza essere
giusti. Non come gli altri despoti capricciosi della storia. A questo servono
le leggi in una repubblica popolare. A fare in modo che "tutti"
possano essere re. Non si può essere repubblica popolare, in cui
"tutti" sono re, senza la giustizia. Per questo, chi va contro la
giustizia vuole impedirvi di essere re, abbiamo detto.
Io penso che oggi
questo problema di elevare il popolo al potere supremo e alla giustizia sia
sempre attuale. Si parla di "crisi della politica" e in realtà si
vuole alludere a questo. Sento che la gente spesso vede nella politica solo
l'esercizio di un atto di forza. Se si convince che questa è l'unica realtà
vera, allora diviene un gruppo di sudditi, si dimette dalla cittadinanza.
Negli scorsi anni
abbiamo dilapidato molto. In risorse di pensiero. In risorse etiche. Ci siamo
lasciati andare. Spesso abbiamo pensato che essere "realisti",
accettare la dura legge della forza, fosse l'unico modo di essere moderni. Ora
quindi ci troviamo in difficoltà. E forse pensiamo: "meglio essere servi,
ma con la pancia piena, che vivere così". Eppure dobbiamo fare in modo che
questo popolo, che siamo tutti noi, questo popolo che ha vissuto così male, non
trovi un padrone lì dove ora è diretto, ma colui che lo riporti alla regalità:
"Presto, andate a prendere il vestito più bello e fateglielo indossare.
Mettetegli l'anello al dito e dategli un paio di sandali. Poi prendete il
vitello, quello che abbiamo ingrassato, e ammazzatelo. Dobbiamo festeggiare con
un banchetto il suo ritorno". Così come, nella storia di Twain, alla fine,
il ragazzo del popolo, vestito da re, riconosce nel figlio di re, vestito di
stracci, il suo re: "E' lui il re!".
Il bello della
costituzione di una repubblica popolare viene prima di sentire le regole che vi
sono scritte. Dovrebbe bastare anche solo il suo annuncio per essere re. E leggere un testo come l'art.1 della nostra
Costituzione per sapere che fare, da re.
Da un libro di
Levinas ho saputo dell'antica saggezza, secondo la quale, quando il grande
legislatore scese dal monte santo, e presentò la legge al popolo, il popolo
proruppe in un "Faremo e udremo". Non "Udremo e faremo". E
allora su ciascuno scese un angelo recando una corona da re. Essi infatti avevano
accettato il patto che consentiva loro di essere re giusti, prima ancora di
conoscere quello che si doveva e non doveva fare. Avevano accettato, innanzi
tutto, di essere re giusti.
Abbiamo molto
sbagliato quando abbiamo fatto una politica cinica, cattiva, violenta. Questa è
la politica dei despoti. Dobbiamo fare una politica che innanzi tutto rispetti
gli infiniti mondi vitali, mio zio Achille ci scrisse un libro su, che
sorreggono la nostra vita. Non escludere nessuno, non disprezzare nessuno.
Ancora con Capitini: interessarsi sommamente a tutti, sperare che la realtà di
tutti arrivi a tutti gli esclusi per guarirli; scoprire che c'è sempre una non
violenza più autentica e che "ieri eravamo violenti". Capitini
definiva questo come lavoro "religioso" perché ci mette in rapporto
con una realtà sommamente amata e rispettata, una ricerca "sacra"
perché comprende chi soffre e sta peggio di noi. Sulla via della più alta
sovranità incontriamo l'esigenza della più alta giustizia.
Io faccio parte di
una genia di malvagi persecutori. Noi cristiani siamo stati ciechi per
millenni. Seguaci di maestri ebrei, del fariseo Paolo di Tarso, abbiamo
perseguitato l'ebraismo, disprezzato le sue sante tradizioni, i suoi riti, le
sue consuetudini; abbiamo infierito in modo inaudito su quel mondo vitale sul
quale nondimeno continuavamo a invocare benedizioni: "Gerusalemme siano rinforzate
le tue porte e i tuoi bastioni, scorra in te latte e miele, siano salvate le
tue madri, crescano forti i tuoi figli...". Questa la situazione in cui mi
sono ritrovato, da cristiano. Ora che abbiamo finalmente iniziato a
convertirci, noi cristiani, ora capiamo l'infinito amore che c'è dietro ogni
gesto religioso dell'ebraismo, dietro ogni sua tradizione e preghiera, dietro
ogni rito, e ci strazia l'orrore di quello che è stato fatto per tanto tempo.
Il passato non può essere cambiato. Ma almeno per il presente e per il futuro,
nei quali si può essere diversi, vorrei mostrare di aver imparato la lezione
che ho ricevuto dalla storia e agire diversamente. "Teshuvà",
pentimento e conversione. E invitare i miei compagni a fare altrettanto, quando
insieme pensiamo a un mondo nuovo.