Carenze formative
Ieri, su Avvenire,
un articolo criticava il capo egemone della
Cina comunista per aver accentrato le massime cariche nel partito e nello
stato, per aver fatto rimuovere il limite costituzionale alla durata della sua
presidenza, per aver imposto lo studio dei suoi scritti come materia
curriculare nelle scuole e per aver assecondato una sorta di culto della sua personalità.
Mi è venuto subito in mente che in realtà quelle contestazioni si attagliavano
anche al nostro sistema di potere ecclesiastico. Da decenni, ormai, ci siamo
fatti ripetitori acritici della vasta letteratura pontificia, naturalmente con
forte accentuazione per quella prodotta dal sovrano regnante, verso il quale,
addirittura tra i sedicenti non credenti, si è creato un vero e proprio culto
della personalità. La Chiesa del popolo
dei fedeli è praticamente sparita dalla
considerazione pubblica, su ogni tema ci si conta tra chi è con lui e chi contro di lui, ma poi risulta che a quasi tutti sta simpatico, e, del resto, per evidenti carenze formative,
la gran parte dei fedeli non può fare altro.
L’idea di una Chiesa completamente sinodale, vale a dire partecipata a tutti i livelli, è
la manifestazione dell’esigenza di un correttivo. In Italia, tuttavia, non
sembra avere veramente allignato, a differenza, ad esempio, di ciò che accade
nelle Chiesa tedesca, che ha in corso il suo Sinodo nazionale. I nostri vescovi
vi sono stati, sembra, trascinati per obbedienza, ma ancora il nostro Sinodo nazionale
appare indistinguibile da quello, concomitante, indetto per la Chiesa
universale. La fase diocesana dedicata all’ascolto della gente, sarà comune, sembra. Ben altra organizzazione
ha il Sinodo tedesco. Lì il popolo ha
una sua organizzazione che partecipa in posizione paritaria con la gerarchia.
Ho pubblicato su questo blog lo Statuto e il Regolamento interno di quel Sinodo,
dai quali, in particolare, emerge con chiarezza l’accettazione del metodo
democratico nell’organizzazione del lavori, ripudiata invece nel triste Documento preparatorio
del Sinodo generale diffusa qualche giorno fa. Il rifiuto
del metodo democratico va considerato un oltraggio contro il popolo di fede,
una prepotenza, e non vi si può aderire: ne va della nostra dignità, personale,
collettiva e religiosa. Non si può
collaborare, con quei presupposti. Ma non bisogna disperare: in qualche modo ci si
può fare sentire, le cose possono cambiare in corsa. E’ importante che anche
tra i cattolici si stia affermando l’idea di sinodalità diffusa, non solo tra gerarchi
pariordinati.
“Il cammino di preparazione verso le prossime Settimane Sociali è volto
alla ricerca di risposte adeguate alle grandi sfide del nostro tempo. Tutti
perciò siamo invitati a riflettere sul «Pianeta che speriamo» con uno sguardo capace
di tenere insieme ambiente e lavoro nella evidenza che #tuttoèconnesso.”, si legge
nello Strumento di lavoro che ha guidato
la preparazione della 49° Settimana sociale, che si svolgerà a Taranto dal 21
al 24 ottobre prossimi. E anche: “la prossima Settimana Sociale vuole contribuire
alla conciliazione tra Cristianesimo e Modernità nei termini in cui ne parla il
Concilio Vaticano II particolarmente nella Gaudium et Spes […] Abbiamo bisogno di un nuovo umanesimo che abbracci anche
la cura della casa comune, premessa che dà origine al principio del bene comune
globale […] Su questa strada, siamo invitati a una rivoluzione
epistemica [=nel modo di apprendere e organizzare il sapere]. L’iperspecializzazione e la frammentazione dei saperi - che sono
state formidabili propulsori del progresso scientifico - rappresentano oggi, di
fronte alla complessità e alla multidisciplinarietà delle sfide da affrontare,
degli ostacoli difficili da superare. Il livello di sviluppo delle nostre
società è tale da richiedere il superamento della rigida separazione dei saperi
che è sì all’origine del grande balzo fatto dall’umanità negli ultimi secoli ma
anche della enorme produzione di entropia. L’effetto della disintegrazione del
reale causa una conoscenza iperspecialistica e parcellizzata. Per capire le
correlazioni e le interdipendenze tra le diverse dimensioni dei problemi che abbiamo di fronte sono necessarie
competenze e saperi integrati […] Per
far questo abbiamo bisogno di un pensiero capace di non chiudere i concetti, di
ristabilire le articolazioni fra ciò che è disgiunto, di sforzarci di
comprendere la multi-dimensionalità, di pensare con la singolarità, con la
località, la temporalità, ma di non dimenticare mai l’insieme in relazione.” Questo significa creare cultura affrancandosi
dall’egemonia della teologia miserella praticata dalla gerarchia verso il popolo,
che da ogni parte ci chiude le strade.
Infatti: “nel percorso che ci condurrà a Taranto saranno raccolte le
«buone pratiche» che, in ambito non solo imprenditoriale ma anche
amministrativo e personale e familiare, mostrano come coniugare la difesa
dell’ambiente e la protezione del lavoro- [….] è importante che
le comunità cristiane, seguendo il magistero sviluppato dal Concilio sino a
papa Francesco, facciano sempre più proprio il cammino per superare una
dimensione individualistica della fede in favore di una esperienza che
abbraccia i vari aspetti della condizione umana. In concreto, di individuare
contenuti, processi, buone pratiche, sussidi, per compiere due importanti passi
in avanti. Il primo passo consiste nel far sedimentare nelle diocesi le idee, i
valori e le proposte emerse dalla Settimana Sociale”. Ma come si farà,
visto che in genere ai laici è propinata, come integrazione della formazione
religiosa di base, una spiritualità di tipo simil-monastico, tutta basata sull’interiorità
e sull’orazione, con inclinazione verso il prodigioso, verso personalità, luoghi,
eventi, pratiche miracolanti, senza che ci siano momenti di riflessione su
altri aspetti, in particolare sull’azione sociale, nel senso sopra indicato? E
questo è molto grave quando ci si occupa delle persone più giovani. Del resto
la formazione dei preti, intorno ai quali tutto è ancora accentrato nelle realtà
di base, quelle di prossimità per la maggior parte dei fedeli, non comprende
più quel lavoro di organizzazione e questo fa specie, tenendo conto di quanto
la nostra democrazia repubblicana debba all’azione del clero di base, da Murri
a Sturzo, a Montini (che da semplice prete riorganizzò la FUCI e contribuì a fondare i Laureati Cattolici
e, lavorando alla Segreteria di
Stato vaticana, a progettare la nostra nuova Repubblica), a Milani, a Mazzolari,
a Dossetti.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San
Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli