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Prendere la parola
Tutti
sono invitati a parlare con coraggio e parresia, cioè integrando libertà,
verità e carità. Come promuoviamo all’interno della comunità e dei suoi
organismi uno stile comunicativo libero e autentico, senza doppiezze e
opportunismi? E nei confronti della società di cui facciamo parte? Quando e
come riusciamo a dire quello che ci sta a cuore? Come funziona il rapporto con
il sistema dei media (non solo quelli cattolici)? Chi parla a nome della
comunità cristiana e come viene scelto?
Noi persone laiche non abbiamo né diritto né libertà
di parola nella nostra Chiesa e questo è
tutto sul punto. Questa nostra condizione è ben conosciuta dai vescovi perché è
opera loro, della gerarchia. Questa è la verità su di noi.
Nella società civile, in Italia, è molto
diverso. Viviamo in una Repubblica democratica e vi partecipiamo in vari modi e
in varia misura, ma vi partecipiamo. La Costituzione ci dà diritto di parola,
all’art.21. Il sistema dei media è libero e pluralistico e ce ne serviamo per capire che accade e che fare, confrontando
le varie voci che ne emergono.
La gerarchia si serve della teologia, il suo
linguaggio tipico, per umiliarci e silenziarci. Questa è una sua tradizione antica, dalla quale non riesce a distanziarsi. Essa è stata storicamente causa di tante
sofferenze e violenze.
La teologia
riguardante la comunione e il Corpo di Cristo viene usata per toglierci ogni libertà. Si contrappongono comunione e concilio, oggi diremo sinodalità. Ci si vuole imporre l’uniformità dietro la gerarchia, come se fossimo
un corpo solo, ma questo
modo di considerare la società è disumano. La stessa gerarchia, vista da
vicino, si mostra di fatto pluralistica, ma si ritiene sconveniente fare emergere
questa realtà, per cui si pratica la doppiezza e l’opportunismo, come gli
stessi nostri gerarchi lamentano.
Noi, in
genere, non siamo pratici di teologia, anche se sempre più laici, e molte
donne, decidono di studiarla. Ci si lamenta che non esista un percorso
formativo a loro dedicato, ma poi si fa poco per rimediarvi.
I nostri
vescovi attribuiscono valore quasi solo alla loro teologia e la presidiano con
istituzioni disciplinari, proprio perché è strumento di potere. Noi persone laiche raramente riusciamo a parlare in modo accettabile di teologia e, anche quando
ci riusciamo, siamo accettati solo se ci facciamo ripetitori di quella
normativa. Con il Catechismo della Chiesa
cattolica essa
ingabbia addirittura gli stessi teologi qualificati. Ma la teologia disegna in
genere un mondo immaginifico molto lontano dalla realtà come noi la viviamo e in
quel suo essere così ci è inutile. Mediante la teologia la gerarchia ci toglie
la parola e pretende di ingabbiare la società negli schemi che la vedono sempre
prevalere. Il diritto canonico è una tipica espressione di questo modo di fare:
è un diritto in cui ogni diritto cede al cospetto dell’autocrate. Per nostra
buona sorte noi persone laiche ne siamo stati in gran parte affrancati ed esso
è rimasto ad opprimere solo preti e religiosi.
Quando noi
persone laiche riusciamo ad esprimere quello che abbiamo nel cuore, in genere
veniamo condannate come indisciplinate e presuntuose, se non addirittura
cattive e perfino criminali. Così ci capita spesso di essere diffamati dal clero. In genere siamo
poco apprezzati. Diffidano di noi. Si è insofferenti delle nostre richieste di compartecipazione
alle decisioni, fosse anche solo per decidere di dove piazzare in chiesa la
statua di un santo. Questa costante umiliazione che viviamo genera disaffezione.
Usando la
teologia, i nostri vescovi riescono a dire cose tremende, dure, dolorose per
noi, come se fosse loro dovere dirle.
Così noi persone
laiche, in genere, rinunciamo a prendere la parola, salvo che si sia tra amici,
ad esempio in una associazione o movimento di quelli che non mimano l’autocrazia
clericale e, addirittura, spesso ne superano i tristi costumi. D’altra parte la
vita di chiesa ci serve, la messa ci serve, i sacramenti ci servono, perché,
fatta la tara di tutta questa presuntuosa autocrazia, la fede religiosa è vitale.
E, allora, perché guastarsi con il clero di prossimità, esso stesso del resto
vessato dall’alto? Quanto ai capi più in alto, chi li vede mai? Passano ogni
tanto a dirci le solite cose e allora facciamo loro festa senza tanto pensarci
su, non stiamo a guastarla dicendo loro di noi, di come dolorosamente viviamo
il rapporto con loro. Loro parlano per noi, ma certo non secondo quello che noi
sentiamo. Così, in genere, parlano per loro e per una Chiesa che non c’è. Sono
gli unici a poterlo fare, così vuole il diritto da loro creato. Intorno al loro
potere si sono costruiti una fortezza teologica
e pensano, a
volte sinceramente penso, che quello sia l’unico modo per far sopravvivere la
Chiesa nel mondo di oggi. La realtà li smentisce. “La
Chiesa brucia”, è il titolo dell’ultimo libro di Andrea
Riccardi, ed è così. Però si potrebbe anche descrivere la sua situazione
dicendo che si sta spegnendo. Anche le donne, così duramente umiliate eppure così fedeli, hanno iniziato
ad allontanarsi: lo dicono i sondaggi statistici più recenti. Erano le ultime
irriducibili praticanti.
L’idea di promuovere una stile comunicativo libero e autentico è buona, se la gerarchia sarà disposta
ad ascoltare, dopo aver aperto, fin dalle comunità di prossimità come le
parrocchie, degli spazi in cui si possa realmente
parlare e dialogare con le altre persone. Di solito
ci chiude la bocca con la questione della verità, della quale secondo le regole da essa sancite, è arbitra assoluta. Si
illude che la sua teologia possieda la verità. Non sono un teologo e quindi non posso interloquire su questo.
Constato che non di rado le idee che la gerarchia ha sulle società del nostro
tempo e su come dovrebbero essere governate sono irrealistiche, fantasiose, e
quindi irrealizzabili, e se anche si riuscisse a conformarvi la realtà per noi
sarebbe un incubo. Quindi è una fortuna per noi che siano irrealizzabili. Il principale
problema nella verità della gerarchia è che secondo essa non c’è
spazio per alcuna vera libertà, dunque neanche per quella di prendere la parola. Questo naturalmente
conduce i nostri vescovi ad adottare disinvoltamente, talvolta, prese di posizione oltraggiose verso la
democrazia, i suoi principi, i suoi
metodi, del resto secondo una tradizione che risale agli albori dei movimenti democratici europei dell'era moderna.
Ecco qui,
cari vescovi: secondo il vostro invito, ho risposto con parrèsia alla vostra domanda, che troviamo
nel confuso Documento preparatorio che ci avete comunicato qualche giorno fa, opera, evidentemente, di più teste
che non hanno saputo coordinarsi bene.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente
papa – Roma, Monte Sacro, Valli