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Compagni
di viaggio
Nella
Chiesa e nella società siamo sulla stessa strada fianco a fianco. Nella vostra
Chiesa locale, chi sono coloro che “camminano insieme”? Quando diciamo “la
nostra Chiesa”, chi ne fa parte? Chi ci chiede di camminare insieme? Quali sono
i compagni di viaggio, anche al di fuori del perimetro ecclesiale? Quali
persone o gruppi sono lasciati ai margini, espressamente o di fatto?
Siamo
convocati in Sinodo. Siamo stati invitati a interrogarci su chi siano i nostri compagni
di viaggio come cristiani. Bisogna discuterne. Questo discuterne è l’embrione
di una Chiesa sinodale, che oggi non c’è.
Gli esseri umani si radunano per mangiare,
gioire, progettare e costruire. Un Sinodo è progetto e costruzione. Non ci si
va come semplici spettatori o comparse, altrimenti non si partecipa, si assiste.
Quando ci chiediamo chi sono i nostri compagni di viaggio non vogliamo limitarci a fotografare l’esistente ma immaginare un futuro in cui sia importante averne.
Non si va in chiesa come quando si entra
in una stazione e, benché si possa
essere in molti vicini, si è sempre ciascuno per sé, in un’organizzazione che
somministra servizi. Perché?
Sono tanto importanti le altre persone per il
nostro essere cristiani? In fondo non si va in chiesa per stare bene, ad
esempio in pace con se stessi, o per essere consolati per come va il
mondo, per cui, ottenuto un certo effetto psicologico di benessere, si
possa essere soddisfatti?
Se potessimo confrontarci, in una sede di
discussione che ora non c’è, scopriremmo che in merito abbiamo molte idee
diverse. Questo dipende dal fatto che ciascuno è confinato nella sua vita, ad
esempio nella sua età, e il tempo trascorre rapidamente di età in età, o nella
sua condizione sociale, per cui si è diventati qualcuno tra gli altri. Realmente ognuno è cristiano
a modo suo, nonostante che faccia riferimento a una cultura comune. Eppure
è proprio dell’essere umano stabilire relazioni con le altre persone e questo fondamentalmente
perché per sopravvivere non bastiamo a noi stessi, specialmente poi in società
molto complesse come quelle in cui viviamo. E questo a cominciare dall’orientarsi:
di solito guardiamo come fanno gli altri per decidere. Anche il vangelo non l’abbiamo
inventato da noi stessi, ci è venuto da fuori.
Guardando come viviamo oggi nella nostra
parrocchia, mi pare che, in realtà, ogni persona se ne stia sulle sue. Gli
ambienti sociali sono molto limitati e quando ci incontriamo non sappiamo bene
che dire e che fare. Spesso del vangelo sappiamo quello che ci hanno raccontato
da piccoli e facciamo fatica ad intendere quello che i preti dicono a messa.
Del resto non vi sono veri momenti formativi per approfondire sistematicamente.
Per molte persone essere cristiani significa principalmente pregare recitando
formule tradizionali e ascoltare la Messa. Per tanti è fare riferimento
alla fede dell’infanzia. La vita che si fa fuori della chiesa, come spazio
liturgico, appare scollegata con quella che si fa in chiesa, più dura, con principi
diversi. E la maggior parte della gente del quartiere appartiene a questa vita
diversa. Ma anche tra di noi ci sopportiamo a mala pena. Rimaniamo in genere
con le poche decine di persone con le quali ci siamo affiatati. Condividiamo i
preti, che sono, in questo, il vero elemento di unità della parrocchia. E,
naturalmente, condividiamo degli spazi in chiesa, intesa come edificio e arredi
liturgici.
La teologia scrive che si potrebbe essere
qualcosa di più insieme, e anzi si dovrebbe. Ma noi di queste cose non parliamo
insieme. E, innanzi tutto, non parliamo mai insieme, al più ascoltiamo.
Ora che vorrebbero ascoltare noi, siamo sorpresi. Lo vogliono veramente? Davvero contiamo
qualcosa oltre ad essere comparse sulle scene liturgiche? Ma non ci vengono le
parole. Scopriamo che per parlare non basta cercare in noi, ma dovremmo cercare tra noi. Costruire una cultura dello stare
insieme, cominciare ad agire sinodalmente anche prima di aver capito bene
di che si tratta.
La proposta pratica: impegniamoci una volta
alla settimana a dialogare insieme, imparando anche qualcosa e innanzi tutto a
stare insieme. Il Consiglio pastorale
parrocchiale organizzi sistematicamente queste occasioni di incontro.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli