Un’affermazione inaccettabile sul metodo democratico
14. I Pastori, costituiti da Dio come «autentici custodi,
interpreti e testimoni della fede di tutta la Chiesa», non temano perciò di
porsi all’ascolto del Gregge loro affidato: la consultazione del Popolo di
Dio non comporta l’assunzione all’interno della Chiesa dei dinamismi della
democrazia imperniati sul principio di maggioranza, perché alla base della
partecipazione a ogni processo sinodale vi è la passione condivisa per la
comune missione di evangelizzazione e non la rappresentanza di interessi in
conflitto. In altre parole, si tratta di un processo ecclesiale che non può
realizzarsi se non «in seno a una comunità gerarchicamente strutturata». È nel
legame fecondo tra il sensus fidei del Popolo di Dio e la funzione di
magistero dei Pastori che si realizza il consenso unanime di tutta la Chiesa
nella medesima fede.
[dal
Documento preparatorio per la 16° Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi (2021-2023)]
Ritengo del tutto inaccettabile questa affermazione che si legge
nel Documento preparatorio per la 16° Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi (2021-2023):
« la consultazione del Popolo di Dio non comporta
l’assunzione all’interno della Chiesa dei dinamismi della democrazia imperniati
sul principio di maggioranza ».
Una
consultazione popolare che non si
faccia con metodo democratico a) non consente il dialogo franco, libero e
aperto sui temi e problemi tra le persone che compongono quel popolo, e b)
conseguentemente impedisce che si manifesti una volontà collettiva popolare
con riferimento a ciò su cui si è consultati. Quindi non sarà una vera consultazione
popolare. Ciò che verrà fatta passare come tale ne sarà solo una sorta
di mimesi poco affidabile.
Si
procederà allora, come al solito, con voci attribuite al popolo, ma in
realtà riferibili a consulenti scelti arbitrariamente dai vescovi, e in
genere a loro graditi, o su indicazione
delle istituzioni, anche laicali, che di fatto hanno acquisito maggiore
capacità di influenzare la cosiddetta gerarchia e, in questo modo, concorrono
a comporre il sistema di potere clericale che sovrasta la parte rimanente del popolo.
Quest’ultimo, privo di procedure democratiche, dovrà presentarsi solo in forma
sparsa, in genere come insieme di comparse che devono leggere quello che è
scritto sul foglietto che viene
messo loro tra le mani.
Se rifiuta la democrazia anche quando si
tratta di consultare il popolo, e soprattutto di ascoltarne le proposte,
e non su una qualche sofisticata questione teologica ma sul modo di fare Chiesa
insieme, vale a dire di stare e
procedere insieme come Chiesa, allora la Chiesa assume di fatto la configurazione
di un emirato.
E’ veramente
impressionante che un rifiuto così plateale, addirittura orgoglioso, di qualsiasi procedura democratica in una consultazione popolare su come fare
Chiesa insieme sia stata contemporanea ad una analogo rifiuto da parte delle
nuove autorità afgane, che propongono un duro fondamentalismo religioso. Si
tratta di modi assai simili di coniugare fede e vita sociale.
Come si
farà, con queste premesse a raggiungere uno dei dichiarati obiettivi della
sinodalità che, secondo il Documento preparatorio sarebbe:
• accreditare la comunità cristiana come soggetto
credibile e partner affidabile in percorsi di dialogo sociale, guarigione,
riconciliazione, inclusione e partecipazione, ricostruzione della
democrazia, promozione della fraternità e dell’amicizia sociale?
Ricostruire una democrazia di cui si
diffida profondamente e che si espunge dall’ambito ecclesiale? E dove la dovrebbero
imparare le persone laiche di fede? E perché dovrebbero proporla alla società civile
quando la loro Chiesa la rifiuta proprio lì dove vorrebbe consultare?
Infine: si mira al consenso unanime sul governo della Chiesa, in tutte le
sue articolazioni, oltre che sulla fede? Esso non è alla portata degli
esseri umani: può solo essere contraffatto. Di questo bisogna realisticamente
prendere atto. Dove c’è ancora la possibilità di dire la propria, come appunto teoricamente
accade quando si è consultati, sempre vi saranno minoranze di
dissenzienti, ad esempio sull’organizzazione delle attività di una parrocchia o
sull’impiego di certe risorse materiali per un fine invece che per un altro. Il
metodo democratico, che, nella concezione contemporanea, non si risolve solo
nel criterio della decisione a maggioranza ma comprende tutta una serie di
principi a tutela principalmente delle minoranze e della dignità delle singole
persone, consente di procedere senza annientare i dissenzienti e quindi senza
annullarne la dignità di persone con il pretesto che, sulle singole questioni,
siano erranti. In democrazia il dissenso viene accettato e, dove si
esprime un organo collegiale, viene evidenziato con relazioni o proposte di
minoranza (accade ad esempio nel lavoro della Corte europea dei diritti umani,
e nel lavoro del nostro Parlamento). In questo modo, chi consulta può avere di
fronte la panoramica completa degli orientamenti e quindi dire di aver realmente consultato. Senza democrazia c’è l’emirato,
la decisione che cala dall’alto con la pretesa di intangibilità sacrale e che
può solo essere accettata pena l’esclusione e l’emarginazione.
Mario
Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli