La 49° Settimana Sociale a Taranto
0. Ieri sera, nel mio gruppo MEIC – Movimento
ecclesiale di impegno culturale, abbiamo discusso su una proposta da inviare
alla 49° Settimana sociale che si terrà a Taranto dal 21 al 24 ottobre
prossimi sul tema “Il pianeta che speriamo – Ambiente lavoro futuro -
#tutto è connesso, con evidente
rimando al magistero di papa Francesco, in particolare nell’enciclica Laudato
si’ (2015). Continueremo venerdì prossimo, in videoconferenza Zoom. Nella Settimana
sociale ci si propone di portare un
contributo per sostenere e orientare la formazione di un nuovo
modello di sviluppo capace di ridefinire il rapporto tra economia e
ecosistema, ambiente e lavoro, vita personale e organizzazione sociale. Al di
là dell’apparenza superficiale, il tema è quindi politico, perché riguarda il governo delle
società.
La settimana sociale si svolge a Taranto,
città la cui economia si basa ancora su un’industria siderurgica che è risultata
gravemente inquinante, tanto da riuscire pericolosa per la salute pubblica, ma
essenziale per la sussistenza di larghe fasce della popolazione locale, e in
cui tutte le istituzioni
pubbliche, governo nazionale e locale, istituzioni giudiziarie, partiti
politici, sindacati e altri movimenti attivi sulle questioni sociali e Chiesa
cattolica hanno finora clamorosamente fallito nel progettare e costruire un
modello cittadino di sviluppo sostenibile, vale a dire capace di
integrare tutto ciò che rientra nell’idea di benessere umano, in
particolare il sostentamento dignitoso delle famiglie, la salute pubblica, il
paesaggio.
Sul sito
https://www.settimanesociali.it/
potrete
trovare ulteriori informazioni e documentazione sull’evento.
Ci si è preparati da tempo, dal novembre scorso,
riflettendo sugli argomenti esposti nello Strumento di lavoro che potete trovare su
https://www.settimanesociali.it/wp-content/blogs.dir/57/files/sites/61/2020/11/Inst_Lab_completo_2020-2-1.pdf
In particolare, nelle diocesi del nord
si sono svolti seminari che hanno prodotto proposte interessanti, che potete
leggere su
https://www.settimanesociali.it/wp-content/blogs.dir/57/files/sites/61/2021/08/Doc_Proposte_Diocesi_Nord_Set_Soc.pdf
La maggiore attenzione dei cattolici su questi
argomenti, riconducibile essenzialmente al magistero di papa Francesco, ha
sicuramente contribuito (finora) al buon esito di una proposta di legge di
modifica costituzionale, in particolare per inserire, dopo il secondo comma dell’art.9 della Costituzione –
norma compresa nei Principi fondamentali,
[La Repubblica] Tutela
il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione.
un altro
comma
La Repubblica tutela
l’ambiente e l’ecosistema, protegge le biodiversità e gli animali, promuove lo
sviluppo sostenibile, anche nell’interesse delle future generazioni
approvata
dal Senato il 9 giugno di quest’anno. Il corso legislativo è ancora lungo,
perché, dopo l’approvazione della Camera dei Deputati, ci dovrà essere una
nuova approvazione di entrambi i rami del Parlamento dopo un intervallo di
almeno tre mesi. Sul tema si sono levate voci critiche, perché talvolta
innovazioni per la tutela dell’ambiente, in particolare lo sviluppo di fonti di
energia sostenibili, nella specie pale eoliche e i campi fotovoltaici,
ha inciso negativamente sul paesaggio. Si vorrebbe una riformulazione della
norma per bilanciare più chiaramente i valori costituzionali implicati. La
modifica costituzionale produrrebbe importantissimi effetti su tutto il sistema
legislativo, in particolare orientando il legislatore e le interpretazioni
delle norme, in sede giudiziaria e amministrativa. Questo rende più chiaro il
significato politico di certi temi.
2. La consapevolezza del significato funzionale degli
ecosistemi risale agli anni Trenta
del Novecento. La nozione di ecosistema è questa: l’insieme degli
organismi viventi e delle sostanze non viventi con le quali i primi
stabiliscono uno scambio di materiali e di energia, in un’area delimitata [così definita in https://www.treccani.it/enciclopedia/ecosistema]. L’idea è che tutti i viventi sono profondamente integrati fra
loro e nel loro ambiente. Questa integrazione è il risultato di una lunga
evoluzione dei viventi e dei non viventi, che può essere studiata scientificamente.
Se ne cambia qualche elemento, anche l’insieme cambia.
Con le
stragi atomiche di Hiroshima e Nagasaki, il 6
e il 9 agosto 1945, durante il conflitto tra gli Stati Uniti d’America e
l’Impero nipponico, si cominciò ad acquisire consapevolezza che gli esseri
umani erano in grado di incidere su larga scala sugli ecosistemi vitali per l’umanità.
Si comprese che un conflitto con l’impiego dell’arma atomica sarebbe stato addirittura
in grado, per le conseguenze del fallout radioattivo, la ricaduta di
particelle radioattive disperse nell’atmosfera dall’esplosione atomica, di
rendere l’intero pianeta, o comunque sue aree vastissime, inabitabile per gli
umani per lunghissimo tempo, avvelenando gli ecosistemi di riferimento. Il
discorso ecologico iniziò quindi ad assumere un significato politico, tuttavia,
in questa prima fase, con riguardo essenzialmente alla salvaguardia della vita
umana, per la prevenzione di confitti catastrofici.
Dagli
anni Sessanta del Novecento si cominciò ad avere consapevolezza che l’attività umana
incideva in molti altri modi sugli ecosistemi, in particolare a causa della dispersione
dei sottoprodotti della civiltà industriale, e che, inoltre, le materie prime e
la produzione di energia da fonti non rinnovabili avevano limiti che potevano essere stimati, e quindi
previsti. Se non si fosse cambiato il modello di sviluppo, esso avrebbe
portato al collasso i sistemi sociali che lo esprimevano. All’epoca era invece diffusa
l’idea che potesse esservi uno sviluppo crescente indefinito, che avrebbe portato a risolvere in modo pacifico
i maggiori problemi dell’umanità dai quali erano anche scaturiti i ciclici
conflitti bellici.
Si
legge in un rapporto dal titolo I limiti dello sviluppo - Rapporto del System Dynamics Group Massachussets Institute of Technology (MIT)
per il progetto del Club di Roma sui dilemmi dell’umanità, in Italia pubblicato nel 1972 da Mondadori, che
fece all’epoca molto scalpore:
La storia del faticoso progresso dell’uomo e
dei suoi sforzi per conciliare le necessità dell’esistenza con le limitazioni
dell’ambiente fisico è fatta di successi e di fallimenti, ma solo i primi sono
rimasti a formare la tradizione culturale dominante. Considerando in
particolare gli ultimi trecento anni, la storia sembra presentare una
successione trionfale di progressi tecnologici spettacolari, in un continuo superamento dei limiti naturali volta
a volta incontrati sulla via dello sviluppo economico e della crescita
demografica. Incoraggiata da tale passato, è naturale allora che la maggior
parte delle persone veda nella tecnologia lo strumento che consentirà di
avanzare indefinitamente, innalzando il tetto delle possibilità materiali.
Queste persone parlano del futuro con marcato ottimismo tecnologico.
Sia per
le materie prime sia per l’energia, non si vede alcun limite sostanziale che
non si possa pensare di superare mediante modificazioni della struttura dei
prezzi, sostituzione di alcuni prodotti con altri, più rapidi progressi della
tecnologia o del controllo dell’inquinamento.
Affermazioni
di tal genere, una così totale fiducia nelle nuove tecnologie,
andrebbero verificate nel contesto di una più completa rappresentazione del
sistema mondiale, in particolare nei cinque settori fondamentali,
interconnessi, del sistema popolazione-capitale, per. accertare se e in
quale misura esse si concilino, a breve e a lunga scadenza, con i limiti
naturali dello sviluppo e con la tendenza del sistema stesso alla crescita e al
successivo collasso.
L’ecologia, la scienza che studia gli
ecosistemi, cominciò allora ad assumere, in Occidente e specialmente nell’Europa
occidentale, un forte significato
politico, nel senso che venne adottata come ideologia di riforma sociale dai
movimenti critici nei confronti dello sviluppo delle società capitalistiche, in
particolare dai movimenti socialisti. Questo non caratterizzò invece la politica
dei regimi comunisti del mondo, detti del socialismo reale, dove l’assillo
principale era la crescita industriale. E’ solo nel neo-comunismo cinese
secondo Xi Jinping che l’ecologia, quindi la comprensione e la tutela degli
ecosistemi, è divenuta un obiettivo politico, del partito unico e quindi dello
stato.
Negli anni ’70 la giurisprudenza del pretore,
ufficio giudiziario monocratico che
trattava dell’ambiente e del lavoro,
cominciò a svilupparsi innovativamente, rispetto al passato, interpretando
le leggi vigenti in modo più aderente alla Costituzione, che prevede l’ambiente,
il paesaggio e la salute come valori costituzionali. Anche da questa
giurisprudenza scaturirono poi modifiche legislative, sorrette dalla politica democratica
di allora.
La Chiesa cattolica italiana fu coinvolta in
questo movimento.
Quanto alla prima fase, quella volta alla
prevenzione di un conflitto catastrofico, si ricorda l’enciclica La pace in
terra, del 1963. La seconda fase vide il protagonismo del popolo, seguito
molto più tardi dal Magistero. Chi ha vissuto negli anni ’70 ricorda sicuramente
che di problemi ecologici si parlava molto, essenzialmente in funzione di
critica del modello dell’economia capitalista: oltre a creare i poveri, esso
distruggeva l’ambiente, che, in religione, veniva immaginato con gli occhi di
Francesco d’Assisi, come il prodigio della Provvidenza che non doveva essere
guastato da mani umane. Nel 1971, papa Paolo 6°, nella Lettera apostolica L’Ottantesimo
anniversario avvicinandosi [dell’enciclica
Le novità -Rerum novarum] – Octogesima adveniens vi accennò brevemente.
21. Mentre
l'orizzonte dell'uomo si modifica, in tale modo, tramite le immagini che sono
scelte per lui, un'altra trasformazione si avverte, conseguenza tanto
drammatica quanto inattesa dell'attività umana. L'uomo ne prende coscienza
bruscamente: attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura, egli
rischia di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta
degradazione. Non soltanto l'ambiente materiale diventa una minaccia
permanente: inquinamenti e rifiuti, nuove malattie, potere distruttivo totale;
ma è il contesto umano, che l'uomo non padroneggia più, creandosi così per il
domani un ambiente che potrà essergli intollerabile: problema sociale di vaste
dimensioni che riguarda l'intera famiglia umana.
A queste nuove prospettive
il cristiano deve dedicare la sua attenzione, per assumere, insieme con gli
altri uomini, la responsabilità di un destino diventato ormai comune.
Vi era una
differenza di accenti, tra l’atteggiamento dei popolo e quello del Magistero. Il
primo era connotato più specificamente da una polemica politica, seguendo
sostanzialmente quella sviluppata dai socialismi europei occidentali, il secondo
era diretto maggiormente contro la pretesa dell’uomo di essere il solo
legislatore dell’universo, prescindendo dal volere divino, artefice della
natura e quindi anche degli ecosistemi. Quest’ultima posizione riteneva indispensabile,
ma tutto sommato sufficiente, un cambiamento morale dell’umanità, mentre l’altra riteneva necessari
provvedimenti di governo della società, quindi una strategia propriamente
politica. In questa fase il Magistero scontava il condizionamento dell’essere
sostanzialmente alleato delle potenze Occidentali, le quali sostenevano il
capitalismo mondiale.
Anche nell’era dominata dal papa Giovanni
Paolo 2° quella rimase la posizione del Magistero
Il senso essenziale
della regalità, del dominio dell’uomo sul mondo visibile, a lui assegnato come
compito dallo stesso Creatore, consiste nella priorità dell’etica sulla
tecnica, nel primato della persona sulle cose, nella superiorità dello spirito
sulla materia» .
[enciclica Il Redentore dell’uomo (1979)
pur iniziando a trattare sempre più
diffusamente dell’esigenza di una programmazione economica che tenesse conto
anche delle esigenze ambientali.
Insomma la polemica era fondamentalmente etica,
contro l’uomo “dominatore” del liberalismo e del socialismo
L’uomo, preso dal
desiderio di avere e di godere, più che di essere e di crescere, consuma in
maniera eccessiva e disordinata le risorse della terra e la sua stessa vita.
Alla radice dell’insensata distruzione dell’ambiente naturale c’è un errore
antropologico, purtroppo diffuso nel nostro tempo. L’uomo, che scopre la sua
capacità di trasformare e, in un certo senso, di creare il mondo col proprio
lavoro, dimentica che questo si svolge sempre sulla base della prima originaria
donazione delle cose da parte di Dio. Egli pensa di poter disporre
arbitrariamente della terra, assoggettandola senza riserve alla sua volontà,
come se essa non avesse una propria forma ed una destinazione anteriore datale
da Dio, che l’uomo può, sì, sviluppare, ma non deve tradire. Invece di svolgere
il suo ruolo di collaboratore di Dio nell’opera della creazione, l’uomo si
sostituisce a Dio e così finisce col provocare la ribellione della natura,
piuttosto tiranneggiata che governata da lui» [dall’enclica Il Centenario
– Centesimus Annus, 1991, nell’anniversario dei cento anni dall’enciclica Le
novità - Rerum Novarum].
L’idea era quella di una natura
fondamentalmente buona e ordinata,
che veniva rovinata dall’azione degli umani per il loro smodato desiderio di avere e di godere.
A questi
argomenti, da parte capitalista si replicava osservando che tutta l’umanità, e
le stesse Chiese cristiane, avevano beneficiato dello sviluppo consentito dall’economia
capitalista, che per questo non poteva essere considerata in sé malvagia,
perché, particolare, si basava sulla libertà e dignità delle persone e del loro
lavoro e sul principio di equità degli scambi.
Con il forte declino dei movimenti socialisti
a livello mondiale, prodottosi improvvisamente nel corso degli anni ’90, la
capacità di argomentare contro il capitalismo come fonte di emarginazione sociale
e di povertà fu sempre meno diffusa. E il Magistero non mostrava interesse a
riprendere quel discorso. Diverso fu l’atteggiamento nei popoli cristiani,
specialmente in Europa occidentale e in America Latina. In particolare in quelle due zone del mondo
si mantenne la visione politica del problema che aveva dato il socialismo, che
nell’Europa occidentale aveva subìto in parte importante una conversione
ecologica sfociando nei partiti Verdi.
Dal 2013, il Magistero di papa Francesco ha ripreso questa linea di riflessione,
che è anche politica, prefigurando un diverso governo delle società. Riferendosi
all’ecologia integrale, egli
comprende anche le politiche di riforma delle società, non solo quelle di manutenzione
e di tutela degli ecosistemi naturali. La società intera, con le sue
istituzioni, movimenti, economia, insediamenti umani, è vista come un grande ecosistema.
3. Il principale problema nell’approccio cattolico ai temi ecologici
sta nel pregiudizio, di origine teologica su base scritturistica, di una natura
buona guastata dagli umani.
Questa idea è irrealistica.
Premesso che le nozioni di bontà e di cattiveria hanno senso solo se
poste in riferimento alla vita umana, la natura non appare essere stata
progettata per gli umani, e dunque non è buona, in quel senso. Le
frange radicali dell’ecologismo politico da questo derivano la convinzione che
gli esseri umani si debbano fare da parte, puramente e semplicemente.
Il richiamo all’esperienza e al pensiero di
Francesco d’Assisi è del tutto inconferente, e quindi inutile per i nostri
problemi. Il personaggio è vissuto nel Medioevo, in cui appariva manifesto il senso
soverchiante della Natura, assolutamente non disponibile per gli umani, vista
come espressione del potere divino. Essa si imponeva con la sua forza e
brutalità, dava vita e morte. Bisognava piegarsi, accettarla, e anche amarla in
ciò che di buono, ma anche di cattivo, presentava. Anche le
belve, in questo quadro, avevano un senso, e, allora, se poverette avevano
fame, uno poteva anche decidersi, per amor loro, di offrirsi loro come pasto. Non
c’è in Francesco d’Assisi un senso
ecologico della natura, ma solo lo stupore per la sua forza, espressione di
quella divina. Follia umana era pensare di sottrarvisi! Fu un naturismo che
entrava in polemica con l’artificiosità delle costruzioni sociali e culturali
del suo tempo, viste, in particolare, come anti-evangeliche nelle loro dinamiche
di potere.
Bisogna dire che certamente il santo trasse
le sue convinzione su basi evangeliche, anch’esse piuttosto irrealistiche.
Guardate gli uccelli del cielo: essi non seminano, non
raccolgono e non mettono il raccolto nei granai. Eppure il Padre vostro che è
in cielo li nutre! Ebbene, voi non valete forse più di loro? [Mt 6,26 - versione
TILC]
Fin da piccolo, stando per circa tre mesi a
Palestrina in mezzo alla campagna, mi colpì il fatto che quel brano evangelico
non ritraeva realisticamente la vita degli uccelli come io la vedevo: essi si
dovevano freneticamente sfinire per procurare da mangiare per lo stessi e per
la loro prole e in più dovevano difendersi dai molti predatori. Non erano nutriti
dal Cielo. Dovevano darsi da fare e, se non lo facevano, morivano e allora
venivano mangiati. E questa era sicuramente la situazione dell’Italia di
Francesco d’Assisi e lo è ancora in gran parte del mondo. Vivendo in Occidente
può sanguinare il cuore per la sorte di tigri e squali, ma per chi vive loro
vicino quotidianamente sono pericoli mortali. In una città come Roma ci siamo
abituati a non essere più attaccati dalle belve e ci sorprendiamo quando le bestie
selvagge fanno improvvisamente irruzione tra di noi come accade con le
passeggiate tra le strade urbane dei cinghiali, animali che possono diventare
pericolosi in certe circostanze. Ma anche quando ci imbattiamo in un orso in un
parco naturale. La natura è un ambiente in cui tutti mangiano tutti ed è solo
per il progresso recente delle nostre civiltà che ce ne siamo chiamati fuori.
La natura non è mai, in sé, un ambiente propizio per la nostra vita. Deve essere
resa tale, lavorandoci sopra. Sotto questo profilo l’esperienza da scout mi è
stata molto formativa.
Nella fase di preparazione alla Settimana
sociale di Taranto, mi pare che ci si sia un po’ affrancati da quella visione
(che però rimane sullo sfondo), focalizzando l’attenzione sulle politiche
necessarie per preservare gli ecosistemi, a partire naturalmente da quelli
umani. Insomma, non c’è solo la contemplazione estatica di una natura buona.
Si è progettato un nuovo modello di sviluppo che possa consentire tutti
i benefici sociali della modernità, ma estesi il più possibile, prevenendo il
collasso da esaurimento delle risorse e l’avvelenamento terminale. In
particolare questo è risaltato nel lavoro delle diocesi del nord.
La relazione d’arcivescovo di Modena Ario
Castellucci ha ricalcato molto il tradizionale magistero, nella linea Paolo 6°
- Giovanni Paolo 2°, proponendo il valore etico della sobrietà. Non so
che effetto potrebbe fare tra la cittadinanza di Taranto, costretta, come tante
altre sfortunate parti del mondo, nel dilemma tra il disastro economico e
quello sanitario e ambientale.
Nel suo intervento, Piero Cerfogli ha posto in
risalto la crescente influenza che l’atteggiamento di consumatori e movimenti
sociali ha nell’orientamento delle strategie d’impresa, addirittura in campo finanziario.
Il modello d’impresa che è capace di confrontarsi con esso appare più resistente
nelle crisi.
Essere sostenibili significa anticipare e gestire opportunità
e rischi di carattere economico, sociale e ambientale presenti e futuri […] Questo
approccio si traduce in vantaggio competitivo e in capacità di creare valore nel
lungo periodo
Anche la politica delle istituzioni ne è influenzata
e ha prodotto un corrispondente sviluppo normativo, in particolare da parte
dell’Unione Europea e della Banca Centrale Europea.
Giuseppe Tripoli ha presentato un
interessante excursus storico sull’idea di economia circolare, basata
sul principio di riparazione e riciclo
dei materiali esistenti e quindi sul
reimpiego degli scarti e dei rifiuti.
Nel documento contenente le proposte delle
diocesi del nord sono indicate anche, come fattore per la transizione ecologica,
quindi per il passaggio ad un diverso modello di sviluppo, la digitalizzazione,
da rendere accessibile a quante più
persone possibile, e la dematerializzazione.
Si pone l’accento sulla necessità di adeguate politiche industriali.
Complessivamente però, del resto nella linea
del Magistero di papa Francesco, pur essendosi acquisita più sempre più chiara
consapevolezza della dimensione politica implicata nell’idea di ecologia
integrale, non si è sviluppato in modo conseguente il discorso politico,
che in particolare richiederebbe di individuare un agente politico del
cambiamento, inteso come complesso di forze
sociali le quali, in un modello economico fondato sull’idea di sfruttamento indiscriminato
e crescente delle risorse, premano per il cambiamento. L’appello semplicemente etico
si è sempre rivelato inefficace.
Fare la predica ai potenti della Terra e cercare di impietosirli con lo
spettacolo delle sofferenze umane non è mai bastato.
Proporre di cambiare un potente modello di sviluppo, che ha soggiogato la Terra intera, significa inevitabilmente, e di
questo non pare essersi presa consapevolezza tra noi cattolici, impegnarsi in un
duro conflitto. In Occidente noi abbiamo l’ulteriore problema che siamo i
principali beneficiari di quel modello di sviluppo. Attraverso quel modello di
sviluppo noi abbiamo dominato il mondo. Nelle altre parti del mondo, ad esempio
nella Cina continentale contemporanea, ora si diffida delle prediche ecologiche
che vengono dall’Occidente, proprio perché quest’ultimo è stato il principale
beneficiario del sistema intensivo di sfruttamento e distruzione delle risorse
planetarie e gli altri, che ora si affacciano a modesti livelli di benessere,
non vogliono più esserne esclusi.
4. La via della decrescita e
della sobrietà non sono praticabili
su un pianeta nel quale la maggior parte dei popoli vive male e in modo insicuro.
Il benessere, un moderato livello
benessere, secondo il ragionevole obiettivo che oggi si propone la Cina
continentale, deve essere un obiettivo globale. Questo non può essere
considerato uno sconsiderato ed empio desiderio di avere e di godere.
Benessere significa cibo, vestiario, casa, un lavoro non schiavizzante, cure sanitarie,
istruzione, libertà di pensiero e di espressione, sicurezza pubblica, per
tutti, uomini e donne, dovunque. Questi devono essere obiettivi universali,
altrimenti non ci sarà mai l’agente collettivo in grado di premere per il cambiamento contro un sistema economico-sociale
che nei decenni passati si è fatto totalitario e sempre più resistente, in
quanto globalizzato.
L’obiettivo
del benessere universale richiede di cambiare la natura intorno a noi: non
dobbiamo illuderci che non sia così. Questo cambiamento però deve essere governato,
non può essere lasciato alle dinamiche dell’economia capitalista, basata sul
dominio proprietario, perché altrimenti non ce ne sarà per tutti e, soprattutto,
non ce ne sarà a lungo. Secondo questa logica, minoranze di proprietari
dominano su maggioranze di impossidenti. Questo è il senso del conflitto di
classe, che ci si è illusi fosse sparito come per incanto e che, invece, è più
reale che mai. Viene icasticamente definito come la signoria dell’ “1%”
contro tutti gli altri, comunque dei pochi sui molti. Anche nella
prevenzione sanitaria del Covid 19 è andata così.
Il
pensiero dell’ecologia integrale, in cui non prevalga a scapito della
maggioranza la logica proprietaria, rimanda all’idea di beni comuni,
quelli che riguardano diritti fondamentali della persona e che possono essere
fonte di benessere umano, e in questo senso possono essere goduti, solo se sottratti all’appropriazione privata.
Tipicamente l’ambiente e il paesaggio sono beni comuni, come anche un certo equilibrio
nel ciclo del prelievo, trasformazione
e re-immissione di sostanze nell’ambiente.
L’ideologia
del benessere come frutto dell’affermazione
dei beni comuni può essere la base per l’aggregazione di una forza sociale
sufficiente a divenire agente collettivo del cambiamento, in particolare per
sostenere politiche sociali e industriali adeguate.
L’affermazione
dei beni comuni richiede il contenimento delle risorse oggetto di appropriazione
privata. Non ci si illuda che questo possa avvenire senza conflitto. Proprio a
Taranto abbiamo visto come ciò possa essere difficile. Di fatto, lavorazioni
industriali dannose per la salute pubblica sono state fatte proseguire,
addirittura per forza di legge, perché non si è vista altra soluzione possibile.
E la popolazione si è mostrata combattuta
tra lo spettro della disoccupazione, inevitabile con la cessazione di quell’attività
industriale, e quello del danno alla salute, perché ancora non si è riusciti a
rimediare alla dispersione nell’ambiente di sostanze. Anche i cattolici si trovano nello stesso
dilemma, che si pose anche con riguardo
a problemi industriali a Mestre.
Il
nostro contributo può limitarsi alla ripetizione della tradizionale teologia estatica
in materia di natura, che ha quei limiti ai quali ho accennato?
In una
democrazia, ci sono vie politiche per risolvere i problemi politici. Un
primo contributo che possiamo dare in ambito ecclesiale è, dunque, quello della
formazione delle persone alla politica democratica, quindi ad affrontare
ragionevolmente e dialogicamente le questioni che si pongono. L’ecologia integrale,
come proposta ora dal Magistero, comprende anche questa capacità prettamente
politica. La si dovrebbe insegnare inserita nella formazione religiosa di base,
anche come via alla sinodalità come oggi la si intende.
L’altro
contributo è quello di agire collettivamente come stakeholders (soggetti
capaci di influenzare decisioni in quanto risentono gli effetti di tali decisioni
e hanno interesse a indirizzarle) in relazione al sistema del commercio
al consumo, che influenza fortemente la produzione, quindi per assumere collettivamente,
come consumatori, atteggiamenti negli acquisti che cerchino di favorire le imprese
che mostrano atteggiamenti virtuosi in tema di economia circolare. Ciò che facciamo
come consumatori ha un valore politico. Non facciamo politica solo iscrivendoci
ad un partito o mettendo un segno su una scheda elettorale. Questa capacità di
un consumo etico non è innata, si
impara: bisogna quindi insegnarla. Potrebbe rientrare nella formazione
religiosa di base, visto anche che l’ecologia integrale è ora parte
importante del magistero.
Il
contributo, infine, che specificamente può dare un’associazione ecclesiale come
il MEIC è legato fondamentalmente al valore della competenza culturale e
professionale delle persone che vi partecipano, che si arricchisce delle occasioni
di dialogo e di riflessione che creiamo. Non dobbiamo sottovalutare l’importanza di
tradurre in discorsi ragionevoli, argomentati, gli aneliti della gente.
Mario Ardigò
– Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli