INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Questo blog è un'iniziativa di laici aderenti all'Azione Cattolica della parrocchia di San Clemente papa e manifesta idee ed opinioni espresse sotto la personale responsabilità di chi scrive. Esso non è un organo informativo della parrocchia né dell'Azione Cattolica e, in particolare, non è espressione delle opinioni del parroco e dei sacerdoti suoi collaboratori, anche se i laici di Azione Cattolica che lo animano le tengono in grande considerazione.

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

SUL SITO www.bibbiaedu.it POSSONO ESSERE CONSULTATI LE TRADUZIONI IN ITALIANO DELLA BIBBIA CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONALE IN LINGUA CORRENTE, E I TESTI BIBLICI IN GRECO ANTICO ED EBRAICO ANTICO. CON UNA FUNZIONALITA’ DEL SITO POSSONO ESSERE MESSI A CONFRONTO I VARI TESTI.

ON THE WEBSITE www.bibbiaedu.it THE ITALIAN TRANSLATIONS OF THE BIBLE CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONAL IN CURRENT LANGUAGE AND THE BIBLICAL TEXTS IN ANCIENT GREEK AND ANCIENT JEWISH MAY BE CONSULTED. WITH A FUNCTIONALITY OF THE WEBSITE THE VARIOUS TEXTS MAY BE COMPARED.

giovedì 30 settembre 2021

Prendere la parola

 


Il logo del Sinodo


Prendere la parola

 

Tutti sono invitati a parlare con coraggio e parresia, cioè integrando libertà, verità e carità. Come promuoviamo all’interno della comunità e dei suoi organismi uno stile comunicativo libero e autentico, senza doppiezze e opportunismi? E nei confronti della società di cui facciamo parte? Quando e come riusciamo a dire quello che ci sta a cuore? Come funziona il rapporto con il sistema dei media (non solo quelli cattolici)? Chi parla a nome della comunità cristiana e come viene scelto?

 

 Noi persone laiche non abbiamo né diritto né libertà di parola  nella nostra Chiesa e questo è tutto sul punto. Questa nostra condizione è ben conosciuta dai vescovi perché è opera loro, della gerarchia. Questa è la verità  su di noi.

  Nella società civile, in Italia, è molto diverso. Viviamo in una Repubblica democratica e vi partecipiamo in vari modi e in varia misura, ma vi partecipiamo. La Costituzione ci dà diritto di parola, all’art.21. Il sistema dei media  è libero e pluralistico e ce ne serviamo per capire che accade  e che fare, confrontando le varie voci che ne emergono.

  La gerarchia si serve della teologia, il suo linguaggio tipico, per umiliarci e silenziarci. Questa è una sua tradizione antica, dalla quale non riesce a distanziarsi.  Essa è stata storicamente causa di tante sofferenze e violenze.

   La teologia riguardante la comunione e il Corpo di Cristo viene usata per toglierci ogni libertà. Si contrappongono  comunione  e concilio, oggi diremo sinodalità. Ci si vuole imporre l’uniformità dietro la gerarchia, come se fossimo un corpo solo, ma questo modo di considerare la società è disumano. La stessa gerarchia, vista da vicino, si mostra di fatto pluralistica, ma si ritiene sconveniente fare emergere questa realtà, per cui si pratica la doppiezza e l’opportunismo, come gli stessi nostri gerarchi lamentano.

  Noi, in genere, non siamo pratici di teologia, anche se sempre più laici, e molte donne, decidono di studiarla. Ci si lamenta che non esista un percorso formativo a loro dedicato, ma poi si fa poco per rimediarvi.

 I nostri vescovi attribuiscono valore quasi solo alla loro teologia e la presidiano con istituzioni disciplinari, proprio perché è strumento di potere. Noi persone laiche raramente riusciamo a parlare in modo accettabile di teologia e, anche quando ci riusciamo, siamo accettati solo se ci facciamo ripetitori di quella normativa. Con il Catechismo della Chiesa cattolica  essa ingabbia addirittura gli stessi teologi qualificati. Ma la teologia disegna in genere un mondo immaginifico molto lontano dalla realtà come noi la viviamo e in quel suo essere così ci è inutile. Mediante la teologia la gerarchia ci toglie la parola e pretende di ingabbiare la società negli schemi che la vedono sempre prevalere. Il diritto canonico è una tipica espressione di questo modo di fare: è un diritto in cui ogni diritto cede al cospetto dell’autocrate. Per nostra buona sorte noi persone laiche ne siamo stati in gran parte affrancati ed esso è rimasto ad opprimere solo preti e religiosi.

 Quando noi persone laiche riusciamo ad esprimere quello che abbiamo nel cuore, in genere veniamo condannate come indisciplinate e presuntuose, se non addirittura cattive e perfino criminali. Così ci capita spesso di essere diffamati dal clero. In genere siamo poco apprezzati. Diffidano di noi. Si è insofferenti delle nostre richieste di compartecipazione alle decisioni, fosse anche solo per decidere di dove piazzare in chiesa la statua di un santo. Questa costante umiliazione che viviamo genera disaffezione.

  Usando la teologia, i nostri vescovi riescono a dire cose tremende, dure, dolorose per noi, come se fosse loro dovere dirle.

 Così noi persone laiche, in genere, rinunciamo a prendere la parola, salvo che si sia tra amici, ad esempio in una associazione o movimento di quelli che non mimano l’autocrazia clericale e, addirittura, spesso ne superano i tristi costumi. D’altra parte la vita di chiesa ci serve, la messa ci serve, i sacramenti ci servono, perché, fatta la tara di tutta questa presuntuosa autocrazia, la fede religiosa è vitale. E, allora, perché guastarsi con il clero di prossimità, esso stesso del resto vessato dall’alto? Quanto ai capi più in alto, chi li vede mai? Passano ogni tanto a dirci le solite cose e allora facciamo loro festa senza tanto pensarci su, non stiamo a guastarla dicendo loro di noi, di come dolorosamente viviamo il rapporto con loro. Loro parlano per noi, ma certo non secondo quello che noi sentiamo. Così, in genere, parlano per loro e per una Chiesa che non c’è. Sono gli unici a poterlo fare, così vuole il diritto da loro creato. Intorno al loro potere si sono costruiti una fortezza teologica  e pensano, a volte sinceramente penso, che quello sia l’unico modo per far sopravvivere la Chiesa nel mondo di oggi. La realtà li smentisce. “La Chiesa brucia”, è il titolo dell’ultimo libro di Andrea Riccardi, ed è così. Però si potrebbe anche descrivere la sua situazione dicendo che  si sta spegnendo. Anche le donne, così duramente umiliate eppure così fedeli, hanno iniziato ad allontanarsi: lo dicono i sondaggi statistici più recenti. Erano le ultime irriducibili praticanti.

 L’idea  di promuovere una stile comunicativo libero  e autentico  è buona, se la gerarchia sarà disposta ad ascoltare, dopo aver aperto, fin dalle comunità di prossimità come le parrocchie, degli spazi in cui si possa realmente parlare e dialogare con le altre persone. Di solito ci chiude la bocca con la questione della verità, della quale secondo le regole da essa sancite, è arbitra assoluta. Si illude che la sua teologia possieda la verità. Non sono un teologo e quindi non posso interloquire su questo. Constato che non di rado le idee che la gerarchia ha sulle società del nostro tempo e su come dovrebbero essere governate sono irrealistiche, fantasiose, e quindi irrealizzabili, e se anche si riuscisse a conformarvi la realtà per noi sarebbe un incubo. Quindi è una fortuna per noi che siano irrealizzabili. Il principale problema nella  verità  della gerarchia è che secondo essa non c’è spazio per alcuna vera libertà, dunque neanche per quella di prendere la parola. Questo naturalmente conduce i nostri vescovi ad adottare disinvoltamente, talvolta,  prese di posizione oltraggiose verso la democrazia, i suoi principi, i  suoi metodi, del resto secondo una tradizione  che risale agli albori dei movimenti democratici europei dell'era moderna.

  Ecco qui, cari vescovi: secondo il vostro invito, ho risposto con parrèsia  alla vostra domanda, che troviamo nel confuso Documento preparatorio che ci avete comunicato qualche giorno fa, opera, evidentemente, di più teste che non hanno saputo coordinarsi bene.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

martedì 28 settembre 2021

Ascoltare

 

Il logo del Sinodo



Ascoltare

 

L’ascolto è il primo passo, ma richiede di avere mente e cuore aperti, senza pregiudizi. Verso chi la nostra Chiesa particolare è “in debito di ascolto”? Come vengono ascoltati i Laici, in particolare giovani e donne? Come integriamo il contributo di Consacrate e Consacrati? Che spazio ha la voce delle minoranze, degli scartati e degli esclusi? Riusciamo a identificare pregiudizi e stereotipi che ostacolano il nostro ascolto? Come ascoltiamo il contesto sociale e culturale in cui viviamo?

 

 

  Noi persone laiche non siamo mai ascoltate. Quello che diciamo non conta nulla. Noi non contiamo nulla. Dovunque ci è sbarrata la strada. Ci siamo abituati. Lasciamo fare. Tutto sommato è anche più comodo. Fin da piccoli siamo abituati così. Da grandi siamo trattati come se fossimo sempre piccoli.

  Sono i nostri vescovi che ci chiedono se veniamo ascoltati. Non lo sanno che nessuno ci ascolta? O immaginano di vivere in un mondo diverso, immaginano di ascoltarci?

  Noi persone laiche siamo scartate  ed escluse, vittime di pregiudizi e stereotipi, di un immaginifica tradizione teologica che vieta di ascoltarci e ci riduce a semplice gregge.

  Le Consacrate forse stanno ancora peggio. I Consacrati no, se sono preti, perché allora sono inquadrati in quelli che comandano per diritto divino, quelli che quindi hanno anche il diritto di essere ascoltati da noi.

 Questa è la realtà.

 Che cosa volevate che dicessimo? Volevate che vi ripetessimo le vostre fantasie di comunione?

  La Chiesa sta forse finendo? E’ possibile. Sopravviverà dove saprà cambiare. Le istituzioni che abbiamo ricevuto dalla tradizione sono invece condannate. Non sono riformabili.

 La scelta di indurre un processo sinodale, non solo di celebrare  un Sinodo di vescovi, è stata lungimirante. E’ stata preceduta da sperimentazioni, scrivono gli esperti: il Sinodo dell’Amazzonia, quello sulla famiglia, quello sui giovani. E’ il metodo giusto di procedere, per sperimentazioni.

  Questa volta non si tratta di fiancheggiare  il Sinodo dei vescovi, che si terrà nel 2023, ma di essere noi Sinodo, a partire da una realtà di prossimità come la nostra parrocchia.

   Si è aperto uno spazio per noi, ma certamente non siamo stati preparati a questo. Ogni strada ci era sbarrata. E ancora fatichiamo a farci largo nella teologia di corte che ha cercato di dare una giustificazione razionale alla nostra umiliazione.

  Per quella via si è perso molto del vangelo. Molte persone vi hanno perso dimestichezza, da troppo tempo si sono allontanate. Questa è una grave situazione di deprivazione. L’istituzione che ha resistito alla riforma ne è stata l’artefice, non lo spirito dei tempi. Ora non sappiamo nemmeno più da dove cominciare. Non osiamo nemmeno prendere l’iniziativa di occasioni di incontro in parrocchia per discutere delle domande che i nostri vescovi ci fanno. Chi risponderà? Chi ha risposto le altre volte? Quanti di voi hanno potuto parlare? Ma, come è stato giustamente osservato, non basta aprire la bocca e tirar fuori le cose che una persona ha in testa. Bisogna rispondere come comunità, quindi dopo averne parlato. Non è qualcosa come un sondaggio. Sono domande che vogliono suscitare una discussione. Discutere richiede di avvicinarsi e di conoscersi. Di dare ordine al dibattito. Quel fare ordine per poter discutere sarebbe già l’embrione del nuovo.

  E’ bene chiarirlo. Qui non c’è una maggioranza che esclude una minoranza, ma una minoranza che silenzia una maggioranza. Finora la gerarchia, che come un tempo pensa di poter fare Chiesa  anche senza di noi, non ha voluto veramente ascoltarci, perché quello che veniva fuori da noi non la soddisfaceva. Noi possiamo parlare solo leggendo la nostra parte sul foglietto  preparato da altri. Quando ci consultano, non sono obbligati a farlo, e possono fare sempre come pare loro, anche contro il nostro parere. Quanti siamo, di persone di fede a Roma? Centinaia di migliaia certamente, ma non contiamo quanto le poche decine di persone che compongono la gerarchia locale. E non solo sulle sofisticate questioni di teologia, ma su ogni altra cosa, anche, ad esempio, sugli arredi delle chiese parrocchiali.

  Criticano chi apprezza certe aperture recenti dicendo che fa sociologia  e che vuole ridurci  come un parlamento. Ma la sociologia, a differenza della teologia, cerca di conoscere veramente le società che studia e organizzasi in parlamento non è un ridursi, ma un elevarsi, in dignità, in libertà. Nel parlamento si ha voce. Nella nostra Chiesa non viene mai il tempo, per noi persone laiche, di parlare con franchezza. Se lo si fa, poi si viene emarginati. Non c’è più la violenza brutale di un tempo, ma ce n’è una più subdola, che si ammanta di mitezza.

  Non è così? Non è più così?

  Vorrei veramente che non fosse più così. Allora il nostro Consiglio pastorale parrocchiale potrebbe deliberare un programma per crescere  nel processo sinodale, per poterci incontrare sistematicamente, per potere imparare  che cosa è sinodalità. La sinodalità non è innata, appunto si impara. A volte si tira fuori il sensus fidei di noi, Popolo di Dio, e questo significa che noi avremmo una specie di intuito che ci porta verso la verità. Io certamente non me lo sento dentro, e voi? Storicamente ciò che si è voluto affermare come verità è costato molta violenza, non c’è quasi mai stato quella specie di spontaneo convergere di cui parla la teologia. E meno male che non sono un teologo, perché allora avrei un bel problema a far quadrare i conti. Convergere pacificamente richiede fatica   e pazienza e il risultato non è mai assicurato, ma già discutere in pace è, in fondo, un grosso risultato.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

Compagni di viaggio

 

Il logo del prossimo Sinodo

Compagni di viaggio


 

Nella Chiesa e nella società siamo sulla stessa strada fianco a fianco. Nella vostra Chiesa locale, chi sono coloro che “camminano insieme”? Quando diciamo “la nostra Chiesa”, chi ne fa parte? Chi ci chiede di camminare insieme? Quali sono i compagni di viaggio, anche al di fuori del perimetro ecclesiale? Quali persone o gruppi sono lasciati ai margini, espressamente o di fatto?

 

 

    Siamo convocati in Sinodo. Siamo stati invitati a interrogarci su chi siano i nostri compagni di viaggio come cristiani. Bisogna discuterne. Questo discuterne è l’embrione di una Chiesa sinodale, che oggi non c’è.

    Gli esseri umani si radunano per mangiare, gioire, progettare e costruire. Un Sinodo è progetto e costruzione. Non ci si va come semplici spettatori o comparse, altrimenti non si partecipa, si assiste.

  Quando ci chiediamo chi sono i nostri compagni di viaggio non vogliamo limitarci a fotografare l’esistente ma immaginare un futuro in cui sia importante averne.

  Non si va in chiesa come quando si entra in  una stazione e, benché si possa essere in molti vicini, si è sempre ciascuno per sé, in un’organizzazione che somministra servizi. Perché?

  Sono tanto importanti le altre persone per il nostro essere cristiani? In fondo non si va in chiesa per stare bene, ad esempio in pace con se stessi, o per essere consolati per come va il mondo, per cui, ottenuto un certo effetto psicologico di benessere, si possa essere soddisfatti?

 Se potessimo confrontarci, in una sede di discussione che ora non c’è, scopriremmo che in merito abbiamo molte idee diverse. Questo dipende dal fatto che ciascuno è confinato nella sua vita, ad esempio nella sua età, e il tempo trascorre rapidamente di età in età, o nella sua condizione sociale, per cui si è diventati qualcuno  tra gli altri. Realmente ognuno è cristiano a modo suo, nonostante che faccia riferimento a una cultura comune. Eppure è proprio dell’essere umano stabilire relazioni con le altre persone e questo fondamentalmente perché per sopravvivere non bastiamo a noi stessi, specialmente poi in società molto complesse come quelle in cui viviamo. E questo a cominciare dall’orientarsi: di solito guardiamo come fanno gli altri per decidere. Anche il vangelo non l’abbiamo inventato da noi stessi, ci è venuto da fuori.

  Guardando come viviamo oggi nella nostra parrocchia, mi pare che, in realtà, ogni persona se ne stia sulle sue. Gli ambienti sociali sono molto limitati e quando ci incontriamo non sappiamo bene che dire e che fare. Spesso del vangelo sappiamo quello che ci hanno raccontato da piccoli e facciamo fatica ad intendere quello che i preti dicono a messa. Del resto non vi sono veri momenti formativi per approfondire sistematicamente. Per molte persone essere cristiani significa principalmente pregare recitando formule tradizionali e ascoltare la Messa. Per tanti è fare riferimento alla fede dell’infanzia. La vita che si fa fuori della chiesa, come spazio liturgico, appare scollegata con quella che si fa in chiesa, più dura, con principi diversi. E la maggior parte della gente del quartiere appartiene a questa vita diversa. Ma anche tra di noi ci sopportiamo a mala pena. Rimaniamo in genere con le poche decine di persone con le quali ci siamo affiatati. Condividiamo i preti, che sono, in questo, il vero elemento di unità della parrocchia. E, naturalmente, condividiamo degli spazi in chiesa, intesa come edificio e arredi liturgici.

  La teologia scrive che si potrebbe essere qualcosa di più insieme, e anzi si dovrebbe. Ma noi di queste cose non parliamo insieme. E, innanzi tutto, non parliamo mai insieme, al più ascoltiamo. Ora che vorrebbero ascoltare noi, siamo sorpresi.  Lo vogliono veramente? Davvero contiamo qualcosa oltre ad essere comparse sulle scene liturgiche? Ma non ci vengono le parole. Scopriamo che per parlare non basta cercare in  noi, ma dovremmo cercare tra  noi. Costruire una cultura dello stare insieme, cominciare ad agire sinodalmente anche prima di aver capito bene di che si tratta.

  La proposta pratica: impegniamoci una volta alla settimana a dialogare insieme, imparando anche qualcosa e innanzi tutto a stare insieme. Il Consiglio  pastorale parrocchiale organizzi sistematicamente queste occasioni di incontro.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

lunedì 27 settembre 2021

Sinodo totale

 



Sinodo totale

 

  Una Chiesa sinodale  è quella partecipata da tutti. Si basa sul riconoscimento della pari dignità dei suoi membri. Non si tratta solo di una Chiesa nella quale i capi del suo clero cercano di esaminare le questioni e di decidere insieme. La sua sinodalità  diffusa, totale,  comporta l’accettazione del suo pluralismo, vale a dire dell’esistenza di diversi modi di vivere da cristiani. Questo non è scontato, tenendo conto della nostra storia.

  L’Azione Cattolica fu fondata nel 1906 al tempo di quella che Fulvio De Giorgi, nel suo libro Quale Sinodo per la Chiesa italiana. Dieci proposte, Morcelliana 2021, chiama Chiesa totalitaria.  Si era in tempi bui, quelli della durissima persecuzione contro il cosiddetto modernismo e della contrapposizione frontale con il liberalismo democratico e il socialismo. L’Azione Cattolica fu concepita per influire in società, nell’economia e in politica come corpo unitario e totalizzante, con le sue varie articolazioni professionali e per età e sesso, i suoi rami, in particolare per sostenere le rivendicazioni politiche del Papato, che in Italia aveva in corso una forte polemica con il nuovo  Regno unitario, detta Questione romana, perché originata nel 1870 dalla  soppressione violenta, per conquista militare, dello Stato Pontificio con capitale Roma. L’Azione Cattolica era, ed è ancora, una istituzione della Chiesa, la principale istituzione della Chiesa per la  partecipazione delle persone laiche all’apostolato e, anzi, da esse stesse animata. Infatti ha natura associativa. Rimanevano per le persone laiche varie altre organizzazioni di spiritualità e devozione, Terz’ordini  e Confraternite ma con obiettivi limitati, centrati sul perfezionamento interiore, su atti devozionali e sulla carità.

 La caratteristica principale dell’Azione Cattolica dalla fondazione alla riforma attuata negli anni ’60, durante la presidenza di Vittorio Bachelet, fu di essere il braccio della gerarchia. Essa non aveva una propria connotazione di spiritualità, né un orientamento politico definito autonomamente. Si dedicava alla formazione delle masse per l’azione sociale, nel senso indicato dalla gerarchia. La sua fondazione origina dalla reazione del Papato contro i moti democratici che si erano manifestati nella precedente organizzazione di massa dei cattolici italiani, l’Opera dei Congressi, a cavallo tra Ottocento e Novecento. Durante il fascismo italiano l’Azione Cattolica nazionale in gran parte si fascistizzò, nonostante gli iniziali screzi poco dopo la conclusione dei Patti Lateranensi, nel 1929, con i quali la Questione Romana  venne chiusa. Del resto, nel 1931, con l’enciclica Il Quarantennale  [dalla prima enciclica sociale, la Le Novità – Rerum Novarum]  - Quadragesimo anno, il papa Pio 11° le aveva ordinato di collaborare alle riforme corporative del fascismo mussoliniano. L’azione sociale e politica era una forma di carità,  disse quel Papa parlando agli universitari della FUCI – Federazione universitaria cattolica italiana, uno dei rami intellettuali dell’Azione Cattolica. Tuttavia, sempre negli anni ’30, per impulso della Segreteria di Stato Vaticana, l’Azione Cattolica formò alla democrazia un ceto di laureati, un altro suo ramo intellettuale, i Laureati Cattolici (che ora è un’organizzazione autonoma, il MEIC – Movimento ecclesiale di impegno culturale), al quale poi, regnante il papa Pio 12°, fu ordinato di progettare una nuova democrazia post-fascista, cosa che fu fatta.

 Il Concilio Vaticano 2° (1962-1965) deliberò una importante riforma dogmatica riguardante il ruolo delle persone laiche. Esse non vennero più considerate legittimate all’apostolato  per delega  dalla gerarchia, ma in virtù della loro personale e diretta relazione con Cristo. Questo comportò la riforma dell’Azione Cattolica, espressa nel suo nuovo statuto del 1969. Il rapporto con la gerarchia venne definito di diretta collaborazione

L'Azione Cattolica Italiana è una Associazione di laici che si impegnano liberamente, in forma comunitaria ed organica ed in diretta collaborazione con la Gerarchia, per la realizzazione del fine generale apostolico della Chiesa.

 Il legame con la gerarchia rimase forte e caratterizzante, ma basato sui presupposti deliberati dall’ultimo Concilio.

  Dagli anni ’70, sui medesimi presupposti dogmatici, sorsero altre organizzazioni partecipative, composte da laici, clero e religiosi, che ebbero poi il riconoscimento dell’ecclesialità, nessuna però con quel particolare legame con la gerarchia che aveva l’Azione Cattolica, organizzazione specificamente laicale. Alcune delle nuove aggregazioni si posero esplicitamente in polemica con i principi conciliari in materia di ruolo e azione della Chiesa nel mondo  e di ruolo delle persone laiche e divennero protagoniste dei moti reazionari contro l’attuazione della riforma deliberata dal Concilio Vaticano 2°, cercando anche di influire sulla gerarchia e sull’elezione del Papa formando un proprio clero e anche un proprio episcopato. Esse attaccarono duramente l’Azione Cattolica, in particolare dagli anni ’80, durante il regno del papa Giovanni Paolo 2°. Contemporaneamente, quello che De Giorgi ha definito un lungo inverno calò sulla Chiesa italiana bloccandone l’effervescenza sociale che si era manifestata nel decennio precedente. Questo clima si manifestò progressivamente ma con sempre maggiore evidenza anche nella nostra parrocchia, per la quale dal 1983 iniziò una nuova stagione, con molti cambiamenti. Come testimoniato dai ricordi raccolti da Bruno Bonomo nel libro Il quartiere delle Valli – Costruire Roma nel secondo dopoguerra, Franco Angeli, 2007, negli anni ’80 l’Azione Cattolica parrocchiale aveva ancora numerosi aderenti, in particolare molti giovani. Questo è anche il mio ricordo personale. Tuttavia non la si ritenne più un percorso formativo valido, in particolare per i ragazzi, e così fu interrotta la sua continuità generazionale. Progressivamente la si mantenne sostanzialmente come esperienza in via di esaurimento, mentre ai giovani  vennero proposte altre vie. Per il suo particolare legame con la gerarchia, l’Azione Cattolica non può sopravvivere in sede locale se non collaborando con il clero. Questo nuovo orientamento creò anche dei problemi evidenti con la gente del quartiere, sui quali ho scritto molto negli anni passati e potete quindi capire di che si è trattato cliccando sui relativi post. Dall’autunno del 2015 si è tentato di porvi rimedio, con visibili risultati. In particolare si è cercato di ripristinare un certo pluralismo formativo. L’Azione Cattolica parrocchiale è comunque sopravvissuta e il titolo di questo blog  AC VIVE A ROMA VALLI” ne è una orgogliosa rivendicazione. Ma si trova ancora in una condizione per così dire embrionale. E’, tuttavia, un seme piantato nel quartiere, un piccolo seme, ma si sa la considerazione per i piccoli semi  che troviamo nei Vangeli.

  Dagli anni ’60 il principale scopo dell’Azione Cattolica è l’attuazione delle riforme deliberate nel Concilio Vaticano 2°, che riguardano la Chiesa e l’intera società. L’orientamento principale è dato dalle Costituzioni Luce per le genti Lumen Gentium e La gioia e la speranza – Gaudium et spes  e dal Decreto sull’apostolato dei laici L’apostolato – Apostolicam actuositatem del Concilio Vaticano 2°.   L’attuazione della sinodalità totale  ne è espressione. Da qui il grandissimo impegno che in Azione Cattolica, anche in parrocchia, vogliamo spendervi.

  Il principale problema della nostra parrocchia, sulla via della sinodalità, è di essere divenuta progressivamente una sorta di condominio  di vari gruppi, con prevalenza di uno di essi, derivata dal vecchio corso. Si è in parrocchia partecipando a quei gruppi. Al di fuori dei gruppi non ci si conosce e si diffida. Nel percorso sinodale l’Azione Cattolica parrocchiale però non ha una propria individualità da preservare. Essa è semplicemente Chiesa. Così accetta pienamente il pluralismo sociale ed ecclesiale, che è uno delle più importanti acquisizioni conciliari, e non si presenta come  esclusiva, per cui, ad esempio, facendone parte non si possa partecipare ad altre esperienze o aggregazioni. Entrando in Azione Cattolica non si è obbligati a rinunciare a nulla di come si è cristiani, non si è obbligati a perdere nulla, ad amputarsi nulla, come se al di fuori dell’Azione Cattolica ci fosse qualcosa di scandaloso, o imperfetto, da cui emendarsi aderendo. Si è accettati e apprezzati come i cristiani che si è. Non si è costretti ad alcuna particolare iniziazione né ad alcuna particolare progressione per livelli di perfezione. L’adesione e la partecipazione sono libere. Per questo ci si avvale del metodo democratico. L’esperienza in Azione Cattolica è infatti definita come popolare  e democratica. Così, partecipando al processo sinodale in una realtà di base come la parrocchia, l’Azione Cattolica si fa evangelicamente lievito, e non è più distinguibile come tale.

 Bisogna infatti aver chiaro questo: non vi è vero processo sinodale dove si rimane confinati nel proprio gruppo di prevalente riferimento e alla sua disciplina, se non si partecipa liberamente.

  Se si accetta  pienamente il pluralismo ecclesiale, bisogna accettare come gli altri vivono da cristiani  e  anche che vi siano coloro che contrastano i moti di riforma del Concilio. Dobbiamo imparare la dura lezione della storia dei cristiani, che è stata caratterizzata nella sua gran parte e fino ad epoca molto recente da violenza, intolleranza, discriminazione, totalitarismo, oppressione delle coscienze. Però non sono accettabili prevaricazioni. Se le organizzazioni che finora hanno dominato in parrocchia, e certamente l’Azione Cattolica parrocchiale non è fra queste, non accettano di far partecipare i propri aderenti al processo sinodale in condizione di libertà di coscienza, non vi sarà reale processo sinodale.

  Poiché però il Papa e i vescovi hanno convocato la Chiesa di Dio in  Sinodo, come si legge nel sito del Sinodo 2021-2023, l’Azione Cattolica deve premere, e anche lottare dove occorra, perché Sinodo sia, e quindi, in particolare, perché sia creata anche nella nostra realtà di base, la parrocchia, una organizzazione che consenta realmente  quella Chiesa sinodale, partecipata liberamente, che si vuole indurre. Dobbiamo insistere perché ogni aggregazione lasci liberi  i propri aderenti di parteciparvi, senza condizionamenti.

  In passato troppe decisioni importanti sono state prese senza la minima consultazione con i fedeli, umiliandoli in una condizione dolorosa, come se non fossero degni del loro nome di cristiani, come se la loro vita da cristiani non contasse nulla senza sottoporsi alle forche caudine di un qualche vaglio speciale di spiritualità.

  Processo sinodale  non può significare lasciare tutto come prima  e continuare a vivere sostanzialmente come separati in casa.

  In un certo senso, la sinodalità  che si vuole realizzare significa anche  ricostruire  una Chiesa locale, fatta di gente che si conosce e si stima,  laddove essa era diventata più che altro una chiesa  intesa come spazio dove la gente è stipata, divisa per appartenenze settoriali, secondo una turnazione condominiale, oggi noi, domani voi.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro Valli


domenica 26 settembre 2021

Carenze formative

 

Carenze formative

 

   Ieri, su Avvenire,  un articolo criticava il capo egemone della Cina comunista per aver accentrato le massime cariche nel partito e nello stato, per aver fatto rimuovere il limite costituzionale alla durata della sua presidenza, per aver imposto lo studio dei suoi scritti come materia curriculare nelle scuole e per aver assecondato una sorta di culto della sua personalità. Mi è venuto subito in mente che in realtà quelle contestazioni si attagliavano anche al nostro sistema di potere ecclesiastico. Da decenni, ormai, ci siamo fatti ripetitori acritici della vasta letteratura pontificia, naturalmente con forte accentuazione per quella prodotta dal sovrano regnante, verso il quale, addirittura tra i sedicenti non credenti, si è creato un vero e proprio culto della personalità. La Chiesa del popolo  dei fedeli è praticamente sparita dalla considerazione pubblica, su ogni tema ci si conta tra chi è con lui  e chi contro di lui, ma poi risulta che a quasi tutti sta simpatico,  e, del resto, per evidenti carenze formative, la gran parte dei fedeli non può fare altro.

  L’idea di una Chiesa completamente sinodale,  vale a dire partecipata a tutti i livelli, è la manifestazione dell’esigenza di un correttivo. In Italia, tuttavia, non sembra avere veramente allignato, a differenza, ad esempio, di ciò che accade nelle Chiesa tedesca, che ha in corso il suo Sinodo nazionale. I nostri vescovi vi sono stati, sembra, trascinati per obbedienza, ma ancora il nostro Sinodo nazionale appare indistinguibile da quello, concomitante, indetto per la Chiesa universale. La fase diocesana dedicata all’ascolto  della gente, sarà comune, sembra. Ben altra organizzazione ha il Sinodo tedesco. Lì  il popolo ha una sua organizzazione che partecipa in posizione paritaria con la gerarchia. Ho pubblicato su questo blog lo Statuto e il Regolamento interno di quel Sinodo, dai quali, in particolare, emerge con chiarezza l’accettazione del metodo democratico nell’organizzazione del lavori, ripudiata invece nel triste Documento preparatorio  del Sinodo generale diffusa qualche giorno fa. Il rifiuto del metodo democratico va considerato un oltraggio contro il popolo di fede, una prepotenza, e non vi si può aderire: ne va della nostra dignità, personale, collettiva  e religiosa. Non si può collaborare, con quei presupposti. Ma non bisogna disperare: in qualche modo ci si può fare sentire, le cose possono cambiare in corsa. E’ importante che anche tra i cattolici si stia affermando l’idea di sinodalità diffusa, non solo tra gerarchi pariordinati.

“Il cammino di preparazione verso le prossime Settimane Sociali è volto alla ricerca di risposte adeguate alle grandi sfide del nostro tempo. Tutti perciò siamo invitati a riflettere sul «Pianeta che speriamo» con uno sguardo capace di tenere insieme ambiente e lavoro nella evidenza che #tuttoèconnesso.”,  si legge nello Strumento di lavoro  che ha guidato la preparazione della 49° Settimana sociale, che si svolgerà a Taranto dal 21 al 24 ottobre prossimi. E anche: “la prossima Settimana Sociale vuole contribuire alla conciliazione tra Cristianesimo e Modernità nei termini in cui ne parla il Concilio Vaticano II particolarmente nella Gaudium et Spes  […] Abbiamo  bisogno di un nuovo umanesimo che abbracci anche la cura della casa comune, premessa che dà origine al principio del bene comune globale […] Su questa strada, siamo invitati a una rivoluzione epistemica [=nel modo di apprendere e organizzare il sapere]. L’iperspecializzazione e la frammentazione dei saperi - che sono state formidabili propulsori del progresso scientifico - rappresentano oggi, di fronte alla complessità e alla multidisciplinarietà delle sfide da affrontare, degli ostacoli difficili da superare. Il livello di sviluppo delle nostre società è tale da richiedere il superamento della rigida separazione dei saperi che è sì all’origine del grande balzo fatto dall’umanità negli ultimi secoli ma anche della enorme produzione di entropia. L’effetto della disintegrazione del reale causa una conoscenza iperspecialistica e parcellizzata. Per capire le correlazioni e le interdipendenze tra le diverse dimensioni dei  problemi che abbiamo di fronte sono necessarie competenze e saperi integrati […]  Per far questo abbiamo bisogno di un pensiero capace di non chiudere i concetti, di ristabilire le articolazioni fra ciò che è disgiunto, di sforzarci di comprendere la multi-dimensionalità, di pensare con la singolarità, con la località, la temporalità, ma di non dimenticare mai l’insieme in relazione.”  Questo significa creare cultura affrancandosi dall’egemonia della teologia miserella praticata dalla gerarchia verso il popolo, che da ogni parte ci chiude le strade.

  Infatti: “nel percorso che ci condurrà a Taranto saranno raccolte le «buone pratiche» che, in ambito non solo imprenditoriale ma anche amministrativo e personale e familiare, mostrano come coniugare la difesa dell’ambiente e la protezione del lavoro- [….] è importante che le comunità cristiane, seguendo il magistero sviluppato dal Concilio sino a papa Francesco, facciano sempre più proprio il cammino per superare una dimensione individualistica della fede in favore di una esperienza che abbraccia i vari aspetti della condizione umana. In concreto, di individuare contenuti, processi, buone pratiche, sussidi, per compiere due importanti passi in avanti. Il primo passo consiste nel far sedimentare nelle diocesi le idee, i valori e le proposte emerse dalla Settimana Sociale”. Ma come si farà, visto che in genere ai laici è propinata, come integrazione della formazione religiosa di base, una spiritualità di tipo simil-monastico, tutta basata sull’interiorità e sull’orazione, con inclinazione verso il prodigioso, verso personalità, luoghi, eventi, pratiche miracolanti,   senza che ci siano momenti di riflessione su altri aspetti, in particolare sull’azione sociale, nel senso sopra indicato? E questo è molto grave quando ci si occupa delle persone più giovani. Del resto la formazione dei preti, intorno ai quali tutto è ancora accentrato nelle realtà di base, quelle di prossimità per la maggior parte dei fedeli, non comprende più quel lavoro di organizzazione e questo fa specie, tenendo conto di quanto la nostra democrazia repubblicana debba all’azione del clero di base, da Murri a Sturzo, a Montini (che da semplice prete riorganizzò la FUCI  e contribuì a fondare i Laureati Cattolici  e, lavorando alla Segreteria di Stato vaticana, a progettare la nostra nuova Repubblica), a Milani, a Mazzolari,  a Dossetti.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

sabato 25 settembre 2021

La 49° Settimana Sociale a Taranto

 

La 49° Settimana Sociale a Taranto

 

0.  Ieri sera, nel mio gruppo MEIC – Movimento ecclesiale di impegno culturale, abbiamo discusso su una proposta da inviare alla 49° Settimana sociale che si terrà a Taranto dal 21 al 24 ottobre prossimi sul tema “Il pianeta che speriamo – Ambiente lavoro futuro - #tutto  è connesso, con evidente rimando al magistero di papa Francesco, in particolare nell’enciclica Laudato si’ (2015). Continueremo venerdì prossimo, in  videoconferenza Zoom. Nella Settimana sociale ci si propone di  portare un contributo per sostenere e orientare la formazione di un nuovo modello di sviluppo capace di ridefinire il rapporto tra economia e ecosistema, ambiente e lavoro, vita personale e organizzazione sociale. Al di là dell’apparenza superficiale, il tema è quindi  politico, perché riguarda il governo delle società.

  La settimana sociale si svolge a Taranto, città la cui economia si basa ancora su un’industria siderurgica che è risultata gravemente inquinante, tanto da riuscire pericolosa per la salute pubblica, ma essenziale per la sussistenza di larghe fasce della popolazione locale, e in cui tutte  le istituzioni pubbliche, governo nazionale e locale, istituzioni giudiziarie, partiti politici, sindacati e altri movimenti attivi sulle questioni sociali e Chiesa cattolica hanno finora clamorosamente fallito nel progettare e costruire un modello cittadino di sviluppo sostenibile, vale a dire capace di integrare tutto ciò che rientra nell’idea di benessere umano, in particolare il sostentamento dignitoso delle famiglie, la salute pubblica, il paesaggio.

  Sul sito

https://www.settimanesociali.it/

potrete trovare ulteriori informazioni e documentazione sull’evento.

  Ci si è preparati da tempo, dal novembre scorso, riflettendo sugli argomenti esposti nello Strumento di lavoro  che potete trovare su

https://www.settimanesociali.it/wp-content/blogs.dir/57/files/sites/61/2020/11/Inst_Lab_completo_2020-2-1.pdf

  In particolare, nelle diocesi del nord si sono svolti seminari che hanno prodotto proposte interessanti, che potete leggere su

https://www.settimanesociali.it/wp-content/blogs.dir/57/files/sites/61/2021/08/Doc_Proposte_Diocesi_Nord_Set_Soc.pdf

 La maggiore attenzione dei cattolici su questi argomenti, riconducibile essenzialmente al magistero di papa Francesco, ha sicuramente contribuito (finora) al buon esito di una proposta di legge di modifica costituzionale, in particolare per inserire, dopo il  secondo comma dell’art.9 della Costituzione – norma compresa nei Principi fondamentali,

[La Repubblica] Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione.

un altro comma

La Repubblica tutela l’ambiente e l’ecosistema, protegge le biodiversità e gli animali, promuove lo sviluppo sostenibile, anche nell’interesse delle future generazioni

approvata dal Senato il 9 giugno di quest’anno. Il corso legislativo è ancora lungo, perché, dopo l’approvazione della Camera dei Deputati, ci dovrà essere una nuova approvazione di entrambi i rami del Parlamento dopo un intervallo di almeno tre mesi. Sul tema si sono levate voci critiche, perché talvolta innovazioni per la tutela dell’ambiente, in particolare lo sviluppo di fonti di energia sostenibili, nella specie pale eoliche e i campi fotovoltaici, ha inciso negativamente sul paesaggio. Si vorrebbe una riformulazione della norma per bilanciare più chiaramente i valori costituzionali implicati. La modifica costituzionale produrrebbe importantissimi effetti su tutto il sistema legislativo, in particolare orientando il legislatore e le interpretazioni delle norme, in sede giudiziaria e amministrativa. Questo rende più chiaro il significato politico di certi temi.

2.  La consapevolezza del significato funzionale degli ecosistemi  risale agli anni Trenta del Novecento. La nozione di ecosistema è questa: l’insieme degli organismi viventi e delle sostanze non viventi con le quali i primi stabiliscono uno scambio di materiali e di energia, in un’area delimitata [così definita in https://www.treccani.it/enciclopedia/ecosistema]. L’idea è che tutti i viventi sono profondamente integrati fra loro e nel loro ambiente. Questa integrazione è il risultato di una lunga evoluzione dei viventi e dei non viventi, che può essere studiata scientificamente. Se ne cambia qualche elemento, anche l’insieme cambia.

  Con le stragi atomiche di Hiroshima e Nagasaki, il 6  e il 9 agosto 1945, durante il conflitto tra gli Stati Uniti d’America e l’Impero nipponico, si cominciò ad acquisire consapevolezza che gli esseri umani erano in grado di incidere su larga scala sugli ecosistemi vitali per l’umanità. Si comprese che un conflitto con l’impiego dell’arma atomica sarebbe stato addirittura in grado, per le conseguenze del fallout radioattivo, la ricaduta di particelle radioattive disperse nell’atmosfera dall’esplosione atomica, di rendere l’intero pianeta, o comunque sue aree vastissime, inabitabile per gli umani per lunghissimo tempo, avvelenando gli ecosistemi di riferimento. Il discorso ecologico iniziò quindi ad assumere un significato politico, tuttavia, in questa prima fase, con riguardo essenzialmente alla salvaguardia della vita umana, per la prevenzione di confitti catastrofici.

  Dagli anni Sessanta del Novecento si cominciò ad avere consapevolezza che l’attività umana incideva in molti altri modi sugli ecosistemi, in particolare a causa della dispersione dei sottoprodotti della civiltà industriale, e che, inoltre, le materie prime e la produzione di energia da fonti non rinnovabili avevano limiti  che potevano essere stimati, e quindi previsti. Se non si fosse cambiato il modello di sviluppo, esso avrebbe portato al collasso i sistemi sociali  che lo esprimevano. All’epoca era invece diffusa l’idea che potesse esservi uno sviluppo crescente indefinito,  che avrebbe portato a risolvere in modo pacifico i maggiori problemi dell’umanità dai quali erano anche scaturiti i ciclici conflitti bellici.

  Si legge in un rapporto dal titolo I limiti dello sviluppo - Rapporto del System Dynamics Group Massachussets Institute of Technology (MIT) per il progetto del Club di Roma sui dilemmi dell’umanità, in Italia pubblicato nel 1972 da Mondadori, che fece all’epoca molto scalpore:

 

 La storia del faticoso progresso dell’uomo e dei suoi sforzi per conciliare le necessità dell’esistenza con le limitazioni dell’ambiente fisico è fatta di successi e di fallimenti, ma solo i primi sono rimasti a formare la tradizione culturale dominante. Considerando in particolare gli ultimi trecento anni, la storia sembra presentare una successione trionfale di progressi tecnologici spettacolari, in un continuo superamento dei limiti naturali volta a volta incontrati sulla via dello sviluppo economico e della crescita demografica. Incoraggiata da tale passato, è naturale allora che la maggior parte delle persone veda nella tecnologia lo strumento che consentirà di avanzare indefinitamente, innalzando il tetto delle possibilità materiali. Queste persone parlano del futuro con marcato ottimismo tecnologico.

Sia per le materie prime sia per l’energia, non si vede alcun limite sostanziale che non si possa pensare di superare mediante modificazioni della struttura dei prezzi, sostituzione di alcuni prodotti con altri, più rapidi progressi della tecnologia o del controllo dell’inquinamento.

 Affermazioni di tal genere, una così totale fiducia nelle nuove tecno­logie, andrebbero verificate nel contesto di una più completa rappre­sentazione del sistema mondiale, in particolare nei cinque settori fon­damentali, interconnessi, del sistema popolazione-capitale, per. accertare se e in quale misura esse si concilino, a breve e a lunga scadenza, con i limiti naturali dello sviluppo e con la tendenza del sistema stesso alla crescita e al successivo collasso.

   L’ecologia, la scienza che studia gli ecosistemi, cominciò allora ad assumere, in Occidente e specialmente nell’Europa occidentale,  un forte significato politico, nel senso che venne adottata come ideologia di riforma sociale dai movimenti critici nei confronti dello sviluppo delle società capitalistiche, in particolare dai movimenti socialisti. Questo non caratterizzò invece la politica dei regimi comunisti del mondo, detti del socialismo reale, dove l’assillo principale era la crescita industriale. E’ solo nel neo-comunismo cinese secondo Xi Jinping che l’ecologia, quindi la comprensione e la tutela degli ecosistemi, è divenuta un obiettivo politico, del partito unico e quindi dello stato.

  Negli anni ’70 la giurisprudenza del pretore,  ufficio giudiziario monocratico che trattava dell’ambiente e del  lavoro, cominciò a svilupparsi innovativamente, rispetto al passato, interpretando le leggi vigenti in modo più aderente alla Costituzione, che prevede l’ambiente, il paesaggio e la salute come valori costituzionali. Anche da questa giurisprudenza scaturirono poi modifiche legislative, sorrette dalla politica democratica di allora.

  La Chiesa cattolica italiana fu coinvolta in questo movimento.

  Quanto alla prima fase, quella volta alla prevenzione di un conflitto catastrofico, si ricorda l’enciclica La pace in terra, del 1963. La seconda fase vide il protagonismo del popolo, seguito molto più tardi dal Magistero. Chi ha vissuto negli anni ’70 ricorda sicuramente che di problemi ecologici si parlava molto, essenzialmente in funzione di critica del modello dell’economia capitalista: oltre a creare i poveri, esso distruggeva l’ambiente, che, in religione, veniva immaginato con gli occhi di Francesco d’Assisi, come il prodigio della Provvidenza che non doveva essere guastato da mani umane. Nel 1971, papa Paolo 6°, nella Lettera apostolica L’Ottantesimo anniversario avvicinandosi  [dell’enciclica Le novità -Rerum novarum] – Octogesima adveniens vi accennò brevemente.

 

21. Mentre l'orizzonte dell'uomo si modifica, in tale modo, tramite le immagini che sono scelte per lui, un'altra trasformazione si avverte, conseguenza tanto drammatica quanto inattesa dell'attività umana. L'uomo ne prende coscienza bruscamente: attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura, egli rischia di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta degradazione. Non soltanto l'ambiente materiale diventa una minaccia permanente: inquinamenti e rifiuti, nuove malattie, potere distruttivo totale; ma è il contesto umano, che l'uomo non padroneggia più, creandosi così per il domani un ambiente che potrà essergli intollerabile: problema sociale di vaste dimensioni che riguarda l'intera famiglia umana.

 A queste nuove prospettive il cristiano deve dedicare la sua attenzione, per assumere, insieme con gli altri uomini, la responsabilità di un destino diventato ormai comune.

 

  Vi era una differenza di accenti, tra l’atteggiamento dei popolo e quello del Magistero. Il primo era connotato più specificamente da una polemica politica, seguendo sostanzialmente quella sviluppata dai socialismi europei occidentali, il secondo era diretto maggiormente contro la pretesa dell’uomo di essere il solo legislatore dell’universo, prescindendo dal volere divino, artefice della natura e quindi anche degli ecosistemi. Quest’ultima posizione riteneva indispensabile, ma tutto sommato sufficiente, un cambiamento morale  dell’umanità, mentre l’altra riteneva necessari provvedimenti di governo della società, quindi una strategia propriamente politica. In questa fase il Magistero scontava il condizionamento dell’essere sostanzialmente alleato delle potenze Occidentali, le quali sostenevano il capitalismo mondiale.

  Anche nell’era dominata dal papa Giovanni Paolo 2° quella rimase la posizione del Magistero

 

Il senso essenziale della regalità, del dominio dell’uomo sul mondo visibile, a lui assegnato come compito dallo stesso Creatore, consiste nella priorità dell’etica sulla tecnica, nel primato della persona sulle cose, nella superiorità dello spirito sulla materia» . [enciclica Il Redentore dell’uomo (1979)

 

pur iniziando a trattare sempre più diffusamente dell’esigenza di una programmazione economica che tenesse conto anche delle esigenze ambientali.

  Insomma la polemica era fondamentalmente etica, contro l’uomo “dominatore” del liberalismo e del socialismo

 

L’uomo, preso dal desiderio di avere e di godere, più che di essere e di crescere, consuma in maniera eccessiva e disordinata le risorse della terra e la sua stessa vita. Alla radice dell’insensata distruzione dell’ambiente naturale c’è un errore antropologico, purtroppo diffuso nel nostro tempo. L’uomo, che scopre la sua capacità di trasformare e, in un certo senso, di creare il mondo col proprio lavoro, dimentica che questo si svolge sempre sulla base della prima originaria donazione delle cose da parte di Dio. Egli pensa di poter disporre arbitrariamente della terra, assoggettandola senza riserve alla sua volontà, come se essa non avesse una propria forma ed una destinazione anteriore datale da Dio, che l’uomo può, sì, sviluppare, ma non deve tradire. Invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell’opera della creazione, l’uomo si sostituisce a Dio e così finisce col provocare la ribellione della natura, piuttosto tiranneggiata che governata da lui» [dall’enclica Il Centenario – Centesimus Annus, 1991, nell’anniversario dei cento anni dall’enciclica Le novità  - Rerum Novarum].

 

 L’idea era quella di una natura fondamentalmente buona  e ordinata, che veniva rovinata dall’azione degli umani per il loro  smodato desiderio di avere e  di godere.

  A questi argomenti, da parte capitalista si replicava osservando che tutta l’umanità, e le stesse Chiese cristiane, avevano beneficiato dello sviluppo consentito dall’economia capitalista, che per questo non poteva essere considerata in sé malvagia, perché, particolare, si basava sulla libertà e dignità delle persone e del loro lavoro e sul principio di equità degli scambi.

  Con il forte declino dei movimenti socialisti a livello mondiale, prodottosi improvvisamente nel corso degli anni ’90, la capacità di argomentare contro il capitalismo come fonte di emarginazione sociale e di povertà fu sempre meno diffusa. E il Magistero non mostrava interesse a riprendere quel discorso. Diverso fu l’atteggiamento nei popoli cristiani, specialmente in Europa occidentale e in America Latina.  In particolare in quelle due zone del mondo si mantenne la visione politica  del problema che aveva dato il socialismo, che nell’Europa occidentale aveva subìto in parte importante una conversione ecologica  sfociando nei partiti Verdi. Dal 2013, il Magistero di papa Francesco ha ripreso questa linea di riflessione, che è anche politica, prefigurando un diverso governo delle società. Riferendosi all’ecologia integrale,  egli comprende anche le politiche di riforma delle società, non solo quelle di manutenzione e di tutela degli ecosistemi naturali. La società intera, con le sue istituzioni, movimenti, economia, insediamenti umani, è vista come un grande ecosistema.

3. Il principale problema nell’approccio cattolico ai  temi ecologici sta nel pregiudizio, di origine teologica su base scritturistica, di una natura buona  guastata dagli umani. Questa idea è irrealistica.

  Premesso che le nozioni di bontà  e di cattiveria hanno senso solo se poste in riferimento alla vita umana, la natura non appare essere stata progettata per gli umani, e dunque non è buona, in quel senso. Le frange radicali dell’ecologismo politico da questo derivano la convinzione che gli esseri umani si debbano fare da parte, puramente e semplicemente.

  Il richiamo all’esperienza e al pensiero di Francesco d’Assisi è del tutto inconferente, e quindi inutile per i nostri problemi. Il personaggio è vissuto nel Medioevo, in cui appariva manifesto il senso soverchiante della Natura, assolutamente non disponibile per gli umani, vista come espressione del potere divino. Essa si imponeva con la sua forza e brutalità, dava vita e morte. Bisognava piegarsi, accettarla, e anche amarla in ciò che di buono, ma anche di cattivo, presentava. Anche le belve, in questo quadro, avevano un senso, e, allora, se poverette avevano fame, uno poteva anche decidersi, per amor loro, di offrirsi loro come pasto. Non c’è in Francesco d’Assisi un  senso ecologico della natura, ma solo lo stupore per la sua forza, espressione di quella divina. Follia umana era pensare di sottrarvisi! Fu un naturismo che entrava in polemica con l’artificiosità delle costruzioni sociali e culturali del suo tempo, viste, in particolare, come anti-evangeliche nelle loro dinamiche di potere.

  Bisogna dire che certamente il santo trasse le sue convinzione su basi evangeliche, anch’esse piuttosto irrealistiche.

 

Guardate gli uccelli del cielo: essi non seminano, non raccolgono e non mettono il raccolto nei granai. Eppure il Padre vostro che è in cielo li nutre! Ebbene, voi non valete forse più di loro? [Mt 6,26  - versione TILC]

 

 Fin da piccolo, stando per circa tre mesi a Palestrina in mezzo alla campagna, mi colpì il fatto che quel brano evangelico non ritraeva realisticamente la vita degli uccelli come io la vedevo: essi si dovevano freneticamente sfinire per procurare da mangiare per lo stessi e per la loro prole e in più dovevano difendersi dai molti predatori. Non erano nutriti dal Cielo. Dovevano darsi da fare e, se non lo facevano, morivano e allora venivano mangiati. E questa era sicuramente la situazione dell’Italia di Francesco d’Assisi e lo è ancora in gran parte del mondo. Vivendo in Occidente può sanguinare il cuore per la sorte di tigri e squali, ma per chi vive loro vicino quotidianamente sono pericoli mortali. In una città come Roma ci siamo abituati a non essere più attaccati dalle belve e ci sorprendiamo quando le bestie selvagge fanno improvvisamente irruzione tra di noi come accade con le passeggiate tra le strade urbane dei cinghiali, animali che possono diventare pericolosi in certe circostanze. Ma anche quando ci imbattiamo in un orso in un parco naturale. La natura è un ambiente in cui tutti mangiano tutti ed è solo per il progresso recente delle nostre civiltà che ce ne siamo chiamati fuori. La natura non è mai, in sé, un ambiente propizio per la nostra vita. Deve essere resa tale, lavorandoci sopra. Sotto questo profilo l’esperienza da scout mi è stata molto formativa.

  Nella fase di preparazione alla Settimana sociale di Taranto, mi pare che ci si sia un po’ affrancati da quella visione (che però rimane sullo sfondo), focalizzando l’attenzione sulle politiche necessarie per preservare gli ecosistemi, a partire naturalmente da quelli umani. Insomma, non c’è solo la contemplazione estatica di una natura buona. Si è progettato un nuovo modello di sviluppo che possa consentire tutti i benefici sociali della modernità, ma estesi il più possibile, prevenendo il collasso da esaurimento delle risorse e l’avvelenamento terminale. In particolare questo è risaltato nel lavoro delle diocesi del nord.

  La relazione d’arcivescovo di Modena Ario Castellucci ha ricalcato molto il tradizionale magistero, nella linea Paolo 6° - Giovanni Paolo 2°, proponendo il valore etico della sobrietà. Non so che effetto potrebbe fare tra la cittadinanza di Taranto, costretta, come tante altre sfortunate parti del mondo, nel dilemma tra il disastro economico e quello sanitario e ambientale.

 Nel suo intervento, Piero Cerfogli ha posto in risalto la crescente influenza che l’atteggiamento di consumatori e movimenti sociali ha nell’orientamento delle strategie d’impresa, addirittura in campo finanziario. Il modello d’impresa che è capace di confrontarsi con esso appare più resistente nelle crisi.

Essere sostenibili significa anticipare e gestire opportunità e rischi di carattere economico, sociale e ambientale presenti e futuri […] Questo approccio si traduce in vantaggio competitivo e in capacità di creare valore nel lungo periodo

 Anche la politica delle istituzioni ne è influenzata e ha prodotto un corrispondente sviluppo normativo, in particolare da parte dell’Unione Europea e della Banca Centrale Europea.

  Giuseppe Tripoli ha presentato un interessante excursus storico sull’idea di economia circolare, basata sul principio di riparazione  e riciclo  dei materiali esistenti e quindi sul reimpiego degli scarti e dei rifiuti.

  Nel documento contenente le proposte delle diocesi del nord sono indicate anche, come fattore per la transizione ecologica, quindi per il passaggio ad un diverso modello di sviluppo, la digitalizzazione, da rendere  accessibile a quante più persone possibile,  e la dematerializzazione. Si pone l’accento sulla necessità di adeguate politiche industriali.

  Complessivamente però, del resto nella linea del Magistero di papa Francesco, pur essendosi acquisita più sempre più chiara consapevolezza della dimensione politica implicata nell’idea di ecologia integrale, non si è sviluppato in modo conseguente il discorso politico, che in particolare richiederebbe di individuare un agente politico del cambiamento, inteso come complesso di  forze sociali le quali, in un modello economico fondato sull’idea di sfruttamento indiscriminato e crescente delle risorse, premano  per il cambiamento. L’appello semplicemente etico  si è sempre rivelato inefficace. Fare la predica ai potenti della Terra e cercare di impietosirli con lo spettacolo delle sofferenze umane non è mai bastato.

  Proporre di cambiare un potente modello di sviluppo, che ha soggiogato la Terra intera, significa inevitabilmente, e di questo non pare essersi presa consapevolezza tra noi cattolici, impegnarsi in un duro conflitto. In Occidente noi abbiamo l’ulteriore problema che siamo i principali beneficiari di quel modello di sviluppo. Attraverso quel modello di sviluppo noi abbiamo dominato il mondo. Nelle altre parti del mondo, ad esempio nella Cina continentale contemporanea, ora si diffida delle prediche ecologiche che vengono dall’Occidente, proprio perché quest’ultimo è stato il principale beneficiario del sistema intensivo di sfruttamento e distruzione delle risorse planetarie e gli altri, che ora si affacciano a modesti livelli di benessere, non vogliono più esserne esclusi.

4. La via della decrescita  e della sobrietà  non sono praticabili su un pianeta nel quale la maggior parte dei popoli vive male e in modo insicuro.

 Il benessere, un moderato livello benessere, secondo il ragionevole obiettivo che oggi si propone la Cina continentale, deve essere un obiettivo globale. Questo non può essere considerato uno sconsiderato ed empio desiderio di avere e di godere.

   Benessere  significa  cibo, vestiario, casa, un lavoro non schiavizzante, cure sanitarie, istruzione, libertà di pensiero e di espressione, sicurezza pubblica, per tutti, uomini e donne, dovunque. Questi devono essere obiettivi universali, altrimenti non ci sarà mai l’agente collettivo  in grado di premere  per il cambiamento contro un sistema economico-sociale che nei decenni passati si è fatto totalitario e sempre più resistente, in quanto globalizzato.

 L’obiettivo del benessere universale richiede di cambiare la natura intorno a noi: non dobbiamo illuderci che non sia così. Questo cambiamento però deve essere governato, non può essere lasciato alle dinamiche dell’economia capitalista, basata sul dominio proprietario, perché altrimenti non ce ne sarà per tutti e, soprattutto, non ce ne sarà a lungo. Secondo questa logica, minoranze di proprietari dominano su maggioranze di impossidenti. Questo è il senso del conflitto di classe, che ci si è illusi fosse sparito come per incanto e che, invece, è più reale che mai. Viene icasticamente definito come la signoria dell’ “1%” contro tutti gli altri,  comunque  dei pochi sui molti. Anche nella prevenzione sanitaria del Covid 19 è andata così.

  Il pensiero dell’ecologia integrale, in cui non prevalga a scapito della maggioranza la logica proprietaria, rimanda all’idea di beni comuni, quelli che riguardano diritti fondamentali della persona e che possono essere fonte di benessere umano, e in questo senso possono essere goduti,  solo se sottratti all’appropriazione privata. Tipicamente l’ambiente e il paesaggio sono beni comuni, come anche un certo equilibrio  nel ciclo del prelievo, trasformazione e re-immissione di sostanze nell’ambiente.

  L’ideologia del benessere  come frutto dell’affermazione dei beni comuni può essere la base per l’aggregazione di una forza sociale sufficiente a divenire agente collettivo del cambiamento, in particolare per sostenere politiche sociali e industriali  adeguate.

  L’affermazione dei beni comuni richiede il contenimento delle risorse oggetto di appropriazione privata. Non ci si illuda che questo possa avvenire senza conflitto. Proprio a Taranto abbiamo visto come ciò possa essere difficile. Di fatto, lavorazioni industriali dannose per la salute pubblica sono state fatte proseguire, addirittura per forza di legge, perché non si è vista altra soluzione possibile. E la popolazione si è  mostrata combattuta tra lo spettro della disoccupazione, inevitabile con la cessazione di quell’attività industriale, e quello del danno alla salute, perché ancora non si è riusciti a rimediare alla dispersione nell’ambiente di sostanze.  Anche i cattolici si trovano nello stesso dilemma, che si pose  anche con riguardo a problemi industriali a Mestre.

  Il nostro contributo può limitarsi alla ripetizione della tradizionale teologia estatica in materia di natura, che ha quei limiti ai quali ho accennato?

  In una democrazia, ci sono vie politiche  per risolvere i problemi politici. Un primo contributo che possiamo dare in ambito ecclesiale è, dunque, quello della formazione delle persone alla politica democratica, quindi ad affrontare ragionevolmente e dialogicamente le questioni che si pongono. L’ecologia integrale, come proposta ora dal Magistero, comprende anche questa capacità prettamente politica. La si dovrebbe insegnare inserita nella formazione religiosa di base, anche come via alla sinodalità  come oggi la si intende.

 L’altro contributo è quello di agire collettivamente come stakeholders (soggetti capaci di influenzare decisioni in quanto risentono gli effetti di tali decisioni e hanno interesse a indirizzarle) in relazione al sistema del commercio al consumo, che influenza fortemente la produzione, quindi per assumere collettivamente, come consumatori, atteggiamenti negli acquisti che cerchino di favorire le imprese che mostrano atteggiamenti virtuosi in tema di economia circolare. Ciò che facciamo come consumatori ha un valore politico. Non facciamo politica solo iscrivendoci ad un partito o mettendo un segno su una scheda elettorale. Questa capacità di un consumo etico  non è innata, si impara: bisogna quindi insegnarla. Potrebbe rientrare nella formazione religiosa di base, visto anche che l’ecologia integrale è ora parte importante del magistero.

  Il contributo, infine, che specificamente può dare un’associazione ecclesiale come il MEIC è legato fondamentalmente al valore della competenza culturale e professionale delle persone che vi partecipano, che si arricchisce delle occasioni di dialogo e di riflessione che creiamo.   Non dobbiamo sottovalutare l’importanza di tradurre in discorsi ragionevoli, argomentati, gli aneliti della gente.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli