Per informarsi sul WEB sui cammini
sinodali
Sito del Sinodo 2021-2023 (generale)
Siti del cammino sinodale delle Chiese italiane
https://camminosinodale.chiesacattolica.it/
Sito della Segreteria generale del Sinodo dei vescovi
http://secretariat.synod.va/content/synod/it.html
Manuale operativo di sinodalità
-2-
La trappola della spiritualità
Spiritualità significa
concentrarsi su se stessi con due scopi: rendere coerente la propria etica
personale, vale a dire costruirsi una coscienza, o conseguire un effetto
di serenità e quindi di benessere. Credete questo: per quest’ultimo non è
necessario che abbia base religiosa. Spesso è però proprio a ciò che si punta quando si cerca la spiritualità.
In ambito clinico è un dato ormai acquisito che le tecniche di mindfulness
ottengono risultati psicologici sorprendenti con la sola la concentrazione della
mente sul respiro e sul proprio corpo, senza alcun riferimento soprannaturale: certo,
li si può conseguire anche seguendo i maestri di spiritualità religiosa, ma con
molto più sforzo e in più tempo. Ad esempio con l’esicasmo, la
ripetizione costante di una frase-mantra in modo da farla coincidere con la
respirazione: “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio,
abbi pietà di me peccatore - Kύριε Ἰησοῦ Χριστέ, Υἱὲ Θεοῦ, ἐλέησόν με τὸν ἀμαρτωλόν – pronuncia translitterata:
Κyrie Jesù Christé,
Üié Theù, eléisòn me tòn amartolòn”. Un’altra
tecnica molto utilizzata in religione è basata sulla deprivazione relazionale,
sul silenzio, riempito con la concentrazione su se stessi. Si sostiene
che in quel silenzio si udrebbe la voce del Cielo. Ad alcuni evidentemente
accade, come dicono. A me, francamente, mai. Comunque, a volte si ha bisogno di
fare silenzio, di chiudersi nella propria interiorità. Allora può accadere di
fare un bilancio più realistico della propria situazione e di riuscire in
questo modo a programmare meglio che fare. Un viaggio da soli può avere questo
effetto, con una sensazione di liberazione dai flussi sociali in cui si è come incastrati
e trascinati. Altre volte si è semplicemente soli e ci si intristisce. E’ per
questo che in genere ci piace stare in compagnia. Ma sinodalità non è solo stare
in compagnia, non si punta la proprio piacere, o almeno non di dovrebbe, in
essa si ha di mira la missione, da conseguire in relazione. Non vi è alcuna vera
relazione nel solo silenzio. Dunque, il silenzio è l’antitesi della sinodalità e, se
tutto torna o resta silenzio, la si demolisce.
Tecniche
di spiritualità vengono correntemente utilizzate nelle religioni per
controllare le persone. Gli Esercizi spirituali secondo Ignazio di
Lojola, un’esperienza spirituale molto bella e coinvolgente – va detto-, ne
possono essere un esempio, perché è una spiritualità che può mettere gli esercitandi
nelle mani di chi li predica. Chi li
avuti predicati da una grande anima come fu Carlo Maria Martini non li
riconoscerà nel quadro che ne ho dato, ma bisogna essere consapevoli che
possono essere anche questo.
Nelle
istruzioni di sinodalità che sono state diffuse dalla Segreteria del Sinodo dei
vescovi e da quella della Conferenza episcopale italiana, quanto al Sinodo
delle Chiese italiane, si consiglia molta spiritualità, e naturalmente da
pastori d’anime non si poteva che attenderselo. La sinodalità mette in
questione anche le coscienze e, dunque, la spiritualità ha una sua indicazione
anche in quell’ambito. Ma non bisogna eccedere e ridurre tutto solo a questo,
perché la sinodalità non è solo questo, e non principalmente. La sinodalità è
relazione. Il rischio è che, nei gruppi sinodali, e in ogni attività correlata
di costruzione della sinodalità ecclesiale, ci si riversi addosso su larga
scala una massa di indigeribili pipponi che farebbero perdere tempo senza alcun
risultato di costruzione di relazioni utili.
A volte
il tempo sembra non passare mai, ad esempio quando si è in fila allo sportello,
e ciò anche quando si è tra amici e si cerca di fare qualcosa di interessante,
ma non lo si ancora trovato. Lo si sperimenta soprattutto da giovani, finché non
si sa che fare. E da giovani accade spesso. Più avanti le cose da fare, tra
lavoro e famiglia, diventano tante e il nostro tempo si restringe. Cosa che in
genere i nostri pastori non capiscono bene. Sembra che per loro il tempo in cui
non stiamo in chiesa con loro sia
per noi solo sollazzo e dissipazione. Quando
si è deciso che fare, ecco che si scopre che il tempo inizia a volare e non
basta mai. E’ solo la nostra percezione dello scorrere del tempo che cambia,
certo: la realtà è che il tempo è sempre troppo breve. Alla mia
età, sono un sessantenne, lo si capisce molto, troppo, bene.
La mia
esperienza pratica è che, quando ci si riunisce per organizzare qualcosa di
collettivo, è come se il tempo collassasse e quando viene il proprio turno si
finisca per poter dire solo poche battute. Lo ricordava un conferenziere in un
incontro del Meic su Zoom di due settimane fa: nell’ultimo Sinodo il
Papa ha preteso che si contingentassero gli interventi, tre minuti per ogni
cardinale!, in modo da dare a tutti la possibilità di esprimersi nei tempi
massimi previsti per l’assemblea. Inoltre ha ordinato che ogni due o tre interventi
si facessero diversi minuti di silenzio. Immagino l’angoscia di quei
prelati! Non si sarebbe potuto allungare il tempo dell’assemblea? Evidentemente
no. Probabilmente anche perché, sulla base della passata esperienza, non si
riteneva che dare più tempo per gli interventi facesse poi tutta questa
differenza. Spesso nella sinodalità del clero i giochi, per così dire, sono già
fatti ancor prima di votare. A che
serve, allora, chiacchierare nell’assemblea plenaria? Questi costumi spiegano
poi l’insofferenza dei clericali per i costumi parlamentari. Del resto, anche
in quell’ambito, anni fa un importante esponente politico, constatato che anche
lì le decisioni si prendevano fuori dell’assemblea, nella quale ci si limitava
a contare i voti, e i parlamentari di minor importanza, la gran massa, detti da
noi peones, nel senso di braccianti sotto padrone, dovevano solo votare e non
chiacchierare, propose di deliberare in commissioni alle quali partecipassero
solo i segretari dei partiti rappresentati in parlamento. Una decina di persone
invece di novecento! Così però non
sarebbe più democrazia, che esige di limitare i poteri delle oligarchie
consentendo di metterli in discussione. La stessa cosa è con la sinodalità.
Nella
sinodalità ecclesiale il rischio è aumentato
a causa della spiritualità eccessiva che vi si vuole infilare dentro ed
è precisamente quello che, perso tanto tempo con i pipponi spirituali e con il silenzio liturgico,
poi non si voti proprio e, prima di tutto, non si discutano gli argomenti
rilevanti per le decisioni. La spiritualità così ammazza la sinodalità. Una
persona, naturalmente, ne può ricavare un arricchimento per la propria
coscienza e, a volte, anche una sensazione di pace spirituale, ma con
ciò non si è assolutamente conseguito alcuno scopo della sinodalità, che
consiste nel costruire relazioni reali, non immaginarie. E’ appunto ciò
che mi pare sia accaduto durante la prima assemblea sinodale che si è fatta in
parrocchia. Dopo le premesse spirituali ognuno è stato invitato a dire la propria
e tutto è rimasto come prima, non abbiamo discusso gli argomenti gli uni degli
altri (del resto secondo le linee guida della CEI), nessuna nuova
relazione è stata creata e ci si è
lasciati da estranei come prima, se prima si era estranei, o con il medesimo
livello di conoscenza reciproca di prima, se ci si conosceva. I preti presenti
nei gruppi nei quali ci si è divisi dopo l’assemblea plenaria prima hanno
dichiarato che dovevano parlare solo le persone laiche e loro tacere – errore!-
(come se il Popolo di Dio fossero
solo le persone laiche), chiamandosi fuori, e poi, sollecitati, hanno fatto sostanzialmente
delle predicazioni. In questo modo la separazione verticale tra preti e persone
laiche è rimasta: appunto, tutto è rimasto come prima.
Il Sinodo
delle Chiese del mondo ha come titolo: “Per una Chiesa sinodale: comunione,
partecipazione e missione”. L’obiettivo è molto chiaro: costruire una
Chiesa sinodale mediante una partecipazione che tenda all’intesa
benevola (comunione) per svolgere più efficacemente la missione
per la quale siamo stati mandati in
giro nel mondo, tra l’altra gente. E’ un Sinodo sulla sinodalità s’è osservato, ma direi meglio: è un Sinodo
per la sinodalità, vale a dire un sinodo nel quale si inscena la
sinodalità, quindi si iniziano a
costruire relazioni solide. Il Sinodo sulla e per la
sinodalità è già Chiesa sinodale in atto.
Sì,
certo, ora osserverete che anche nella spiritualità si generano relazioni,
ma, nella mia esperienza, anche quando
accade, sono piuttosto labili e connotate da molti elementi immaginari. Si sogna
di essere in relazione, come quando
siamo convocati dal Papa e andiamo in una grande piazza con migliaia di altre
persone e ce ne torniamo a casa con l’idea di essere stati con il Papa.
E un’impressione fallace. Abbiamo solo sognato di esserlo. Noi e lui.
Parliamo
di Chiesa sinodale e immaginiamo qualcosa che ci sembra chiaro. Ma
andiamo sul pratico. Come si fa una parrocchia sinodale? Se la gente
viene e, lasciandosi, non pensa di rivedersi né cerca almeno di mettere nella
propria rubrica telefonica i recapiti di qualche altra persona che ha
incontrato, possiamo dire che questo sia l’inizio di un sinodalità
parrocchiale, anche se ci si è riuniti in parrocchia?
Io sono
di quelli che vanno in chiesa, ma chi sono quelli che ci vanno con me?
Frequentiamo da anni la stessa Messa, ma non abbiamo mai pensato di
approfondire la conoscenza.
Adesso
ricordo un fatto che spero non offenda nessuno, ma che mi è rimasto in mente,
per dare un’idea di quello a cui mi riferisco.
C’era
negli anni Settanta un partito di governo nel quale si cercava di costruire
quello che oggi, nella nostra Chiesa, definiamo sinodalità, insomma di
fare unità. C’era una comune ideologia, divisa in tanti gruppi. Ci furono
alcuni che vennero in quel partito provenendo da altre formazioni e altri che
uscirono perché insoddisfatti. Un parlamentare di quel partito, osservando
sconsolato la cosa, se ne uscì, in un’intervista su una rivista settimanale molto letta con
questa frase: “Gente che va, gente che viene: questo partito è diventato
come il cesso della stazione”.
I
sociologi definiscono le stazioni ferroviarie e gli aeroporti come non luoghi, appunto posti dove la gente va
e viene senza mai stringere vere relazioni personali. I rispettivi cessi sono non luoghi al quadrato, perché, naturalmente, ognuno se
ne sta sulle sue. Ebbene, le nostre chiese qualche volta appaiono un po’ come dei non luoghi, a prescindere dalla
spiritualità che individualmente vi si pratica, e, anzi, nonostante
essa. Decenni fa era molto peggio perché il celebrante parlava per la gran
parte della liturgia una lingua ignota ai più e allora c’era il costume che le
persone praticassero, nel frattempo, una spiritualità personale servendosi di
appositi libriccini devozionali. Ma anche ora non è che vada poi molto meglio:
in definitiva ci viene messo in mano uno spartito e recitiamo le formule
indicate con una “R.”. Ecco che allora le persone che vanno in chiesa si
mettono a criticare le prediche dei
celebranti, troppo lunghe, troppo corte, troppo complicate, troppo povere, e i
canti e le musiche, chi vorrebbe addirittura il gregoriano con il suo latino
incomprensibile ai più, chi i canti della sua infanzia, chi quelli di sempre,
chi qualcosa di meno stantio: ma è per questo che si va in chiesa? E per
che cosa ci si va, in concreto?
Decidiamolo lasciando però da parte i pipponi di maniera che anche da parte nostra si cerca
di solito di tirar fuori quando si viene interrogati sull’argomento.
Cerchiamo
di scoprirlo meglio.
Se per
noi in chiesa conta solo la
spiritualità, lasciamo perdere la sinodalità. Non è per noi.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente
papa – Roma, Monte Sacro, Valli