Sfiorare
Venerdì di Repubblica 2-12-20 Oggi, sabato 12 dicembre, ore 16:45 - riunione in Google Meet del gruppo ACSanclemente!: continueremo a seguire il cammino cristologico proposto dal sussidio del Settore Adulti dell’Azione Cattolica “Da corpo a corpo”, articolato su cinque unità. In questa riunione dialogheremo sulla seconda tappa, caratterizzata dal verbo “Sfiorare” e dai temi del Progetto formativo dell’Azione cattolica del primato della persona, come cammino di libertà e di responsabilità. Si è deciso di anticipare di un quarto d’ora l’inizio dell’incontro, per consentire a chi lo voglia di partecipare alla messa vespertina delle 18. Consigliamo di accedere dalla 16:30. I riferimenti biblici sono una pagina del Vangelo di Marco (10, 13-16) e il salmo 131, che in fondo trascrivo nella versione TILC Traduzione interconfessionale in lingua corrente. Il riferimento al Catechismo per gli adulti (1995) http://www.educat.it/catechismo_degli_adulti/ I link e i codici di accesso sono già stati inviati, anche per posta ordinaria con la Lettera ai soci di dicembre 2020. Possono essere chiesti inviando una email a mario.ardigo@acsanclemente.net Qui sotto due documenti in tema: - un articolo di Enzo Bianchi del 2015; - alcune mie riflessioni Mario |
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[da Avvenire 14-10-15]
https://www.avvenire.it/agora/pagine/rivalutare-tenerezza-dio-carezze
Enzo Bianchi, Rivalutare la tenerezza: anche Dio dà le
carezze
Recentemente è stato edito il volume I
vangeli, tradotti e commentati da quattro bibliste, opera che tra l’altro
vuole mostrare come siano possibili una traduzione e un commento
"altri" rispetto alla maggior parte di quelli già esistenti. Credo
sia più che accettabile l’ipotesi che una donna biblista commenti la Scrittura
in modo altro rispetto agli uomini; più discutibile, forse, è che anche la sua
traduzione sia altra. E tuttavia mi pare significativo che siano proprio delle
donne bibliste a insistere, per esempio, sul fatto che il termine ebraico
tradotto nelle lingue neolatine con «misericordia» possa essere reso con
«tenerezza».In verità il vocabolario ebraico dell’amore è molto ricco (chen,
chesed, rechem/rachamim, termini che a volte si influenzano reciprocamente
e mescolano i loro significati), anche se va riconosciuto che nella traduzione
dall’ebraico al greco e poi al latino della Vulgata questa varietà lessicale si
è progressivamente condensata intorno al termine «misericordia». Le attuali
versioni bibliche – e mi riferisco soprattutto a quella a cura della Cei
pubblicata nel 2008 – seguono questa tradizione, anche se da qualche tempo si
sono levate voci che chiedono di rendere rachamim con
«tenerezza», caldeggiando di conseguenza lo sviluppo di una teologia biblica
della tenerezza di Dio. Poiché rechem/rachamim designa un
movimento intimo, istintivo, causato da un fremito di amore che diventa
com-passione, soffrire con, sensibilità; e poiché si tratta di un sentimento
materno, che nasce dalle viscere, dalle interiora della madre, allora
sembrerebbe più indicato tradurre con tenerezza invece che con misericordia,
«cuore per i miseri». Occorre anche riconoscere che spesso si comprende la
misericordia non nella sua autentica portata biblica, ma la si equivoca come un
termine che designerebbe un sentimento di pietà, dall’alto in basso (come
d’altronde può avvenire anche con il termine «compassione»).
Nel contempo, però, anche il
concetto di tenerezza non è esente dai medesimi rischi, soprattutto quando si
usa l’aggettivo «tenero», che può assumere connotazioni sdolcinate: dire che
qualcuno è tenero, spesso suona inadeguato a definire la sua capacità di
affetto e di com-passione. Può essere anche utile ricordarne l’etimologia:
«tenerezza» viene dal latino tenerum, che significa «di poca
durezza, che acconsente al tatto», dunque «sensibile»; ed è significativo che
in alcuni dizionari lo si accosti, in senso figurato, a «sdolcinato»,
addirittura a «effeminato»…Queste precisazioni lessicali sono necessarie per
interpretare con fedeltà il pensiero di
papa Francesco, che indubbiamente ha immesso nel magistero pontificio il
termine «tenerezza», con immediate ricadute nel linguaggio spirituale ed
ecclesiale. Fin dall’omelia di inizio del pontificato (19 marzo 2013),
Francesco ha affermato: «Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche
della tenerezza!». Nella sua predicazione si serve spesso di questo
termine, a commento dei testi più diversi dell’Antico e del Nuovo
Testamento.Nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium parla
per ben 11 volte di tenerezza, ricorrendo a questa parola in modo sempre
pensato, con molto discernimento. Parla di «tenerezza combattiva contro gli
assalti del male» (85), di «infinita tenerezza del Signore» (274), di
«tenerezza» come «virtù dei forti» (288), di «forza rivoluzionaria della
tenerezza» (ibid.), avendo coscienza che la tenerezza è appunto una virtus,
una forza attiva e pratica, non solo un sentimento. Arriva a scrivere che «Il
Figlio di Dio, nella sua incarnazione, ci ha invitato alla rivoluzione della
tenerezza» (88).Perché questa insistenza sulla tenerezza? Perché la vita è un
duro mestiere, perché i rapporti oggi si sono fatti duri, senza prossimità,
anaffettivi, e gli uomini e le donne del nostro tempo sentono soprattutto il
bisogno di tenerezza. Tenerezza come sensibilità, apertura all’altro, capacità
di relazioni in cui emergano l’amore, l’attenzione, la cura. La tenerezza non è
un sentimento sdolcinato, ma è vero che soprattutto gli uomini, debitori di una
cultura dell’uomo forte, solido, che sa sempre usare la ragione a costo di non
ascoltare il cuore, di una cultura diffidente verso le emozioni, non hanno
coltivato in passato e forse non coltivano nemmeno oggi questa straordinaria
virtù.Per questo il papa esorta a non aver paura della tenerezza e denuncia:
«Quanto bisogno di tenerezza ha oggi il mondo!» (Omelia della notte di Natale,
2014). A ben vedere, la tenerezza è davvero ciò che oggi più manca. Quante
relazioni tra sposi o amanti vengono meno, vedono depotenziarsi la passione
oppure finiscono per essere affette da violenza e cosificazione dell’altro,
proprio perché manca la tenerezza; quante relazioni di amicizia ingrigiscono
perché non si è capaci di rinnovare il legame con la tenerezza; quanti incontri
non sbocciano in relazione per mancanza di tenerezza… Ecco perché la tenerezza
deve vedersi ed essere riconosciuta su un volto: altrimenti il volto diventa
rigido, duro, inespressivo!Se la tenerezza è un sentimento di viscere materne,
allora sta anche per misericordia, e per questo Francesco spesso le accosta. In
ciò è fedele alle sante Scritture, che ci forniscono immagini straordinarie,
veri e propri «elogi delle carezze di Dio». Basti pensare alla vicenda di Osea,
profeta che ama perdutamente la sua donna, prostituta e adultera: vuole
attrarla a sé, nonostante le sue infedeltà, vuole portarla nel deserto, in un
luogo appartato, per poterle parlare nell’intimità «cor ad cor»(Os
2,16).Non solo, ma quando Osea deve descrivere l’amore di Dio per il suo
popolo, parla di un Dio che attira a sé con legami di bontà, come un padre che
solleva il proprio bimbo portandoselo alla guancia, guancia a guancia (Os
11,4), in un esercizio di reciproca sensibilità tattile che racconta la
dolcezza dell’amore. E Isaia ci consegna con audacia l’immagine di un Dio dai
tratti materni, che allatta, porta in braccio, accarezza e consola il proprio
figlio (Is 66,12-13), figlio che non potrà mai dimenticare né abbandonare (Is
49,14-15). Da questi testi l’amore di Dio è rivelato innanzitutto come
tenerezza, che Dostoevskij ha definito «la forza di un amore umile».Proprio
perché la tenerezza è misericordia, quando è stata praticata e narrata da Gesù,
essa ha suscitato scandalo. È il papa stesso a dirlo: «Per Gesù ciò che conta,
soprattutto, è raggiungere e salvare i lontani, curare le ferite dei malati,
reintegrare tutti nella famiglia di Dio. E questo scandalizza qualcuno! E Gesù
non ha paura di questo tipo di scandalo! Egli non pensa alle persone chiuse che
si scandalizzano… di fronte a qualsiasi carezza o tenerezza che non corrisponda
alle loro abitudini di pensiero e alla loro purità ritualistica» (omelia 15
febbraio 2015).
Ma a prescindere dall’uso della terminologia della misericordia, la tenerezza di Gesù è visibile nel suo
comportamento abituale: quando, incontrando i bambini, rimprovera i discepoli
che vorrebbero tenerli distanti (Mc 10,13-16 e par.); quando si lascia
accarezzare dalla donna peccatrice (Lc 7,37-38) o da quella che gli unge di
profumo la testa (Mc 14,3; Mt 26,7) o i piedi (Gv 12,3); quando si commuove
alla vista della folla sbandata, simile a un gregge senza pastore (Mc 6,34; Mt
9,36); quando, dopo la resurrezione, chiama per nome «Maria», la Maddalena che
lo cerca piangente (Gv 20,16)…Gesù «mite e umile di cuore» (Mt 11,29), cioè
dolce e umile di cuore, pieno di tenerezza e umile di cuore: questo dovremmo
comprendere di lui, e se a volte i Vangeli ce lo presentano in collera, non
dobbiamo dimenticare che questa è l’altra faccia della sua com-passione. Solo
chi conosce la com-passione, infatti, può ricorrere alla collera e così
dichiarare la sua non indifferenza di fronte alla sofferenza. Nei Vangeli non
sta scritto che Gesù abbia accarezzato qualcuno, se non i bambini (cf. Mc
10,16; Mt 19,15); eppure sono convinto che avesse l’arte della carezza, che
abbia accarezzato qualche volto dei discepoli, qualche volto in lacrime,
qualche volto in preda alla malattia. La
tenerezza è un aspetto della misericordia, è la misericordia che si fa
vicinissima fino a essere una carezza, un prendere la mano dell’altro nella
propria mano, un asciugare le lacrime sugli occhi dell’altro: la tenerezza è
misericordia fatta tatto e la misericordia, a sua volta, è una carezza. Dicono
che questo papa non si fa vedere, ma piuttosto si fa toccare. C’è una verità in
questo giudizio, perché Francesco sa mostrare la sua tenerezza: e chi sente la
mancanza di tenerezza va da lui, non tanto per vederlo, ma sperando di essere
abbracciato.
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Il verbo sfiorare richiama una modalità relazionale molto
importante tra i primati, come si può capire dalla fotografia qui sopra, che
illustra un atteggiamento sociale di tre macachi.
Lo sfiorare dà una sensazione
per l’innervazione della pelle. Il
nostro è infatti un organismo cablato, ogni sua parte è collegata al
sistema nervoso centrale (encefalo e midollo spinale) mediante dei filamenti
del sistema nervoso. La sensazione è reciproca: l’avverte la persona che sfiora
e quella che è sfiorata. Sfiorare non significa toccare. Per la presenza di formazioni pilifere sulla pelle, il cui
movimento viene rilevato dall’intensa innervazione cutanea, basta avvicinarsi a
qualche millimetro per produrre la sensazione dello sfioramento. L’innervazione della pelle è in grado anche di
rilevare il calore corporeo altrui. Da tutto ciò si generano emozioni, che nei primati sono
particolarmente complesse ed intense a causa della particolare evoluzione
dell’encefalo, che produce la mente con quella particolare sensazione che
definiamo spirito.
La fotografia dei primati
qui sopra rende bene l’idea. Noi umani possiamo comprendere, data la vicinanza
di specie, l’emotività dei macachi, in particolare leggendo il loro volto
mentre si abbracciano. I primati, unici tra i viventi, hanno infatti un volto, un prodotto dell'evoluzione determinato dai muscoli facciali. Nei primati, le condotte di sfiorare ed abbracciare
sono infatti interspecifiche, vale a
dire che l’emotività in esse generata può essere intesa tra specie diverse. Nei
primati, e in particolare negli umani, l’emotività generata dallo sfiorare e abbracciare
ha una grandissima importanza nello
sviluppo cognitivo e affettivo. Secondo la psicologia essa è in parte naturale
e in parte appresa, in particolare dalla madre, nel rapporto con la prole
quand’è nell’età infantile. Per questo tipo di emotività è legata culturalmente
all’accudimento materno degli infanti e, dall’altro lato, all’infanzia. Per
estensione la si individua, però, in ogni tipo di accudimento amorevole. Lo sfiorare e abbracciare
generano anche emozioni nelle
relazioni sessuali e la psicologia ne ha individuate le connessioni con quelle
altre di tipo materno. In particolare si è osservato che le persone che ne sono
deprivate nell’infanzia, incontrano difficoltà nelle relazioni sessuali.
Nella formazione religiosa
cristiana si sono sempre avute notevoli difficoltà nell’affrontare quel tipo di
emozioni generate da sfioramento e abbraccio
per le implicazioni sessuali che possono avere negli adulti. La nostra
religione è marcatamente sessuofobica, come invece non era l’antico ebraismo
dal quale culturalmente deriva. In quest’ultimo era molto forte l’aspetto
legalistico delle relazioni tra uomo e
donna, che si è conservato anche nella nostra religione, in particolare nella
teologia morale del matrimonio. D’altra parte la nostra etica religiosa di sfioramenti
e abbracci risente
dell’influsso che vi ha avuto il monachesimo e la successiva evoluzione
celibataria del nostro sacerdozio, che ne dipende, stili di vita in cui lo sfioramento è sconsigliato. Un indicatore molto evidente
di questa prevenzione è il bacio che il Papa scambia con i cardinali nuovi
creati, durante la liturgia del concistoro pubblico per la loro creazione: è puramente rituale, le persone
lo mimano, senza neanche sfiorarsi.
L’emotività da sfioramento e abbraccio, nelle culture in cui è legata all’accudimento
materno, è sconsigliata ai maschi.
Essa viene definita come tenerezza e
in genere le culture umane associano alla virilità la durezza. Nelle culture
fortemente permeate da maschilismo, come fu in Italia fino agli anni Sessanta
del secolo scorso ma in parte è tuttora, la tenerezza nei maschi è considerata,
salvo che nelle relazioni sessuali,
espressione di effeminatezza e disprezzata, quindi anche sconsigliata. Tra gli ambienti in cui il maschilismo ancora impera
nella nostra società vi sono quelli del
clero e dei religiosi, per quanto sia
notorio che in esso vi siano costumi compensatori di vario genere, che però
generano sensi di colpa più o meno forti. Questo spiega perché nella nostra
formazione religiosa di questi aspetti si parli poco e male, e in genere in
modo poco realistico, e perché essa andrebbe fatta fare a laici che non si
vietano quel tipo di relazioni, ma anche ne abbiano effettiva esperienza.
Bianchi, nell’articolo qui
sopra, spiega le difficoltà che vi sono nel rendere in italiano i termini
ebraici chen, chesed, rechem/rachamim, ruotando intorno alle idee di misericordia
/ tenerezza.
Ad
esempio: ecco come le versioni CEI 1974 e 2008 rendono un notissimo versetto
del salmo 144, versetto:
Buono è il Signore verso tutti,
la sua tenerezza
si espande su tutte le creature
La Vulgata,
l’antica versione latina della Bibbia, aveva:
Suavis Dominus universis,
et miserationes ejus super omnia
opera ejus.
La versione TILC Traduzione
interconfessionale in lingua corrente ha:
Il Signore è buono con tutti, la sua misericordia è su ogni creatura.
La versione della
Bibbia realizzata nel Seicento da Diodati aveva:
Il Signore è buono inverso
tutti; E le sue compassioni son
sopra tutte le sue opere.
Come ricorda Bianchi,
nel magistero di papa Francesco la compassione
è strettamente legata alla tenerezza. Nell’esortazione
apostolica La gioia del Vangelo (2013)
giunge a definirla come una forza
rivoluzionaria e la lega alla spiritualità mariana:
288. Vi è uno stile mariano nell’attività evangelizzatrice della Chiesa.
Perché ogni volta che guardiamo a Maria torniamo a credere nella forza
rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto. In lei vediamo che l’umiltà e la
tenerezza non sono virtù dei deboli ma dei forti, che non hanno bisogno di
maltrattare gli altri per sentirsi importanti. Guardando a lei scopriamo che
colei che lodava Dio perché «ha rovesciato i potenti dai troni» e « ha
rimandato i ricchi a mani vuote» (Lc 1,52.53) è la stessa che
assicura calore domestico alla nostra ricerca di giustizia. È anche colei che
conserva premurosamente «tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19).
Maria sa riconoscere le orme dello Spirito di Dio nei grandi avvenimenti ed
anche in quelli che sembrano impercettibili. È contemplativa del mistero di Dio
nel mondo, nella storia e nella vita quotidiana di ciascuno e di tutti. È la
donna orante e lavoratrice a Nazaret, ed è anche nostra Signora della premura,
colei che parte dal suo villaggio per aiutare gli altri «senza indugio» (Lc 1,39).
Questa dinamica di giustizia e di tenerezza, di contemplazione e di cammino
verso gli altri, è ciò che fa di lei un modello ecclesiale per
l’evangelizzazione. Le chiediamo che con la sua preghiera materna ci aiuti
affinché la Chiesa diventi una casa per molti, una madre per tutti i popoli e
renda possibile la nascita di un mondo nuovo. È il Risorto che ci dice, con una
potenza che ci riempie di immensa fiducia e di fermissima speranza: «Io faccio
nuove tutte le cose» (Ap 21,5).
Nel Nuovo Testamento mi pare però
che non si parli della tenerezza di Maria, e anche Gesù non ne parla mai.
Certamente nelle narrazioni su Gesù che troviamo nel Nuovo Testamento possiamo
tuttavia individuare episodi
caratterizzati da tenerezza, nei
brani che sono ricordati da Bianchi, qui sopra, per lo più legati, da parte
sua, a compassione. Bianchi ha citato
due brani evangelici in cui Gesù è oggetto di tenerezza e si lascia accarezzare dalla donna peccatrice (Lc 7,37-38) o da quella che
gli unge di profumo la testa (Mc 14,3; Mt 26,7) o i piedi (Gv 12,3). Questi episodi sono espressione di tenerezza
per così dire pura, non legata a compassione per la miseria altrui o a relazioni
propriamente sessuali. Un tipo di relazione sociale non connotata da violenza,
a cui siamo assoggettati per legge di natura ma da cui, nello spirito, aneliamo ad affrancarci. Corrisponde a un modello
culturale nuovo che tra europei ha cominciato ad affermarsi piuttosto di
recente e corrisponde alla cultura della nonviolenza.
Lo troviamo richiamato, appunto, nel magistero di papa Francesco. E anche nel filone non apocalittico ( vale a dire legato a profezie di sventura per le
colpe dei tempi) della teologia cattolica mariana, quello per intenderci che
sviluppa l’etica della tenerezza materna
di Maria. Tuttavia nelle società europee da alcuni anni sta prendendo
nuovamente vigore l’orientamento culturale legato alla durezza virile del
maschilismo e ai correlati religiosi.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma