Problemi
di costruzione ecclesiale 12
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Il furore
identitario
dal sito
https://www.donnenellascienza.it/protagoniste/protagoniste-di-ieri/ipazia-dalessandria/biografia/#:~:text=Ipazia%20(in%20greco%20antico%3A%20Y%CF%80%CE%B1%CF%84%CE%AF%CE%B1,della%20geometria%20e%20dell'astronomia.&text=La%20principale%20attivit%C3%A0%20di%20Ipazia,sapere%20matematico%2C%20geometrico%20e%20astronomico.
Ipazia (in greco antico: Yπατία, in latino:
Hypatia) nacque intorno al 370 d.C. ad Alessandria d’Egitto e venne avviata dal
padre, Teone di Alessandria, allo studio della matematica, della geometria e
dell’astronomia. Egli stesso nell’intestazione del III libro del Commento al Sistema
matematico di Tolomeo scrive: “Commento di Teone di
Alessandria al III libro del sistema matematico di Tolomeo. Edizione
controllata dalla filosofa Ipazia, mia figlia”. Nulla si sa della madre e il
fatto che i saluti rivolti ad Ipazia e agli altri familiari nelle lettere del
suo allievo Sinesio non la citino mai fa ritenere che, almeno nel 402, ella
fosse già morta.
[…]
La
principale attività di Ipazia fu la divulgazione del sapere matematico,
geometrico e astronomico. Oltre a questi ambiti del sapere scientifico si
dedicò, a quanto pare diversamente dal padre, anche alla filosofia vera e
propria, relativa a pensatori come Platone, Plotino (fondatore del
Neoplatonismo) e Aristotele.
La fama contemporanea circa la figura di
Ipazia sembra essere dovuta alla sua tragica morte, avvenuta nel 415 d.C.
Nella Vita di Isidoro, scritta 100 anni dopo i fatti narrati, Damascio scrive:
«Così accadde che un giorno Cirillo, vescovo della setta di opposizione [il
Cristianesimo], passò presso la casa di Ipazia, e vide una grande folla di
persone e di cavalli di fronte alla sua porta. Alcuni stavano arrivando, alcuni
partendo, ed altri sostavano. Quando lui chiese perché c’era là una tale folla
ed il motivo di tutto il clamore, gli fu detto dai seguaci della donna che era
la casa di Ipazia il filosofo e che lei stava per salutarli. Quando Cirillo
seppe questo fu così colpito dalla invidia che cominciò immediatamente a
progettare il suo assassinio e la forma più atroce di assassinio che potesse
immaginare.
Fu così
che le venne teso un agguato: un gruppo di fanatici cristiani la sorprese mentre
faceva ritorno a casa e, dopo averla tirata giù dal carro, la trascinò fino a
una chiesa. Lì furono strappate a Ipazia tutte le vesti e la donna venne
letteralmente fatta a pezzi. Le varie parti smembrate del suo corpo furono
portate al cosiddetto Cinerone, dove si dava fuoco a tutti gli scarti, e furono
bruciate perché di Ipazia non rimanesse nulla.
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Il comandamento dell’agàpe
Αὕτη ἐστὶν ἡ ἐντολὴ ἡ
ἐμὴ ἵνα ἀγαπᾶτε ἀλλήλους καθὼς ἠγάπησα ὑμᾶς·
[dal Vangelo secondo Giovanni, capitolo 15,
versetto 12, si legge àute estìn e entolè emè ìna agapàte allèlus katòs
egàpesa umàs – nei verbi evidenziati in neretto c’è l’agàpe]
trad.
Il mio comandamento è questo: amatevi gli uni
gli altri come io ho amato voi. [versione TILC – Traduzione interconfessionale
in lingua corrente]
significa che dobbiamo costruire
società animate da amicizia fraterna.
Agàpe,
che traduciamo di solito in italiano con amore, carità, misericordia,
significa propriamente vivere in società con spirito di amicizia fraterna,
per cui, in particolare, ci si studia di andare incontro agli altri nelle loro
necessità ancor prima che essi chiedano aiuto.
Qualcosa
di molto di più che la semplice rinuncia alla vendetta.
L’evangelico comandamento del farsi servo
è un corollario di quello dell’agàpe, e il Maestro ne diede l’esempio.
Il comandamento dell’agàpe è molto proclamato in religione, ma pochissimo
praticato, in particolare in quella sua versione soprannaturale, perché
contrastante con la legge di natura, dell’agàpe verso i nemici, che
significa sforzarsi di includere anche loro in quella società di amici fraterni.
Nella mia vita non ho mai incontrato nulla di simile, praticato, né nelle
comunità religiose alle quali ho partecipato, né in alcuna delle persone
religiose che ho conosciuto, anche in quelle che ho molto stimato. Nel migliore dei casi ho notato un certo
sentimento di civiltà che portava a rinunciare ad efferatezze o a vendette.
La storia delle nostre comunità religiose è
prevalentemente costituita da un’interminabile sfilza di contrasti, conflitti,
e anche assassini, stragi, e veri e propri genocidi. Di solito non se ne fa alcun cenno nella
formazione religiosa di base, anzi, si insinua che chi ne parla sia solo un astioso
maldicente, animato da spirito di fazione antireligioso. Naturalmente, chi
frequenta una qualsiasi comunità religiosa fa presto a rendersi conto che è proprio quella la realtà, anche se,
indubbiamente, metodicamente si dichiara di pentirsene e di voler cambiare, ma
sempre ci si ricade.
Tutto questo va avanti fin dal Primo secolo,
quindi dalle origini, e, sviluppandosi un articolato sistema di potere
ecclesiastico, le cose sono molto peggiorate. Quel Cirillo di cui si parla nelle storie sulla filosofa
egiziana Ippazia di Alessandria è, ad
esempio, Cirillo d’Alessandria, vescovo e patriarca cristiano di Alessandria in
Egitto, da noi venerato come santo, dottore e Padre della Chiesa.
Chi, oggi, seguisse il suo esempio, finirebbe davanti alla Corte penale internazionale
per crimini contro l’umanità.
Ecco come ne ricordò la figura il papa
Benedetto 16° in un discorso tenuto all’udienza generale del mercoledì, il 3 ottobre
2007 (l’ho trovato sul portale vatican.va)
«anche oggi, continuando il nostro itinerario che sta seguendo le
tracce dei Padri della Chiesa, incontriamo una grande figura: san Cirillo di
Alessandria. Legato alla controversia cristologica che portò al Concilio di
Efeso del 431 e ultimo rappresentante di rilievo della tradizione alessandrina,
nell’Oriente greco Cirillo fu più tardi definito «custode dell’esattezza» – da
intendersi come custode della vera fede – e addirittura «sigillo dei Padri».
Queste antiche espressioni esprimono bene un dato di fatto che è caratteristico
di Cirillo, e cioè il costante riferimento del Vescovo di Alessandria agli
autori ecclesiastici precedenti (tra questi, soprattutto Atanasio) con lo scopo
di mostrare la continuità della propria teologia con la Tradizione. Egli si inserisce
volutamente, esplicitamente nella Tradizione della Chiesa, nella quale
riconosce la garanzia della continuità con gli Apostoli e con Cristo stesso.
Venerato come Santo sia in Oriente che in Occidente, nel 1882 san Cirillo fu
proclamato Dottore della Chiesa dal Papa Leone XIII, il quale
contemporaneamente attribuì lo stesso titolo anche ad un altro importante
esponente della patristica greca, san Cirillo di Gerusalemme. Si rivelavano
così l’attenzione e l’amore per le tradizioni cristiane orientali di quel Papa,
che in seguito volle proclamare Dottore della Chiesa pure san Giovanni
Damasceno, mostrando anche in questo modo la sua convinzione circa l’importanza
di quelle tradizioni nell’espressione della dottrina dell’unica Chiesa di
Cristo.
Le notizie sulla vita di
Cirillo prima della sua elezione all’importante sede di Alessandria sono
pochissime. Nipote di Teofilo, che dal 385 come Vescovo resse con mano ferma e
grande prestigio la Diocesi alessandrina, Cirillo nacque probabilmente nella
stessa metropoli egiziana tra il 370 e il 380. Venne presto avviato alla vita
ecclesiastica e ricevette una buona educazione, sia culturale che teologica.
Nel 403 era a Costantinopoli al seguito del suo potente zio, e qui partecipò al
Sinodo detto della Quercia, che depose il Vescovo della città, Giovanni (detto
più tardi Crisostomo), segnando così il trionfo della sede alessandrina su
quella, tradizionalmente rivale, di Costantinopoli, dove risiedeva
l’imperatore. Alla morte dello zio Teofilo, l’ancora giovane Cirillo nel 412
fu eletto Vescovo dell’influente Chiesa di Alessandria, che governò con grande
energia per trentadue anni, mirando sempre ad affermarne il primato in tutto
l’Oriente, forte anche dei tradizionali legami con Roma.»
Siamo molto lontani dal praticare sistematicamente quel lavoro di purificazione
della memoria a cui ci guidò il papa Giovanni Paolo 2°, san
Karol Wojtyla, nei tre anni di preparazione al Grande Giubileo dell’anno 2000. Ci riesce più facile adattarla, come minimo tacendo certi fatti disonorevoli, o dandone pretestuose giustificazioni. In questo modo, però, non ce ne discostiamo.
Si riuniscono
venti persone volenterose in una parrocchia? Subito finisce male. E sembra che
non se ne riesca ad uscire.
Don Remo,
assumendo il suo ministero di parroco nell’ottobre 2015, in un tempo
estremamente difficile per la nostra parrocchia, ci considerò realisticamente e
ci raccomandò innanzi tutto di volerci bene, vale a dire seguì il nostro Maestro nel raccomandaci
l’agàpe. L’abbiamo seguito? No. L’avessimo
fatto tutto sarebbe andato molto meglio, invece, dopo cinque dei nove anni
della missione affidata dal vescovo a don Remo (l’esperienza dei parroci
trentennali aveva manifestato delle controindicazioni), da quel punto di vista siamo
più o meno al punto di prima. C’è di che scoraggiarsi. Ma perché dovremmo? E’
sempre andata così. Se non si sono scoraggiate tante grandi anime prima di noi,
nemmeno noi dobbiamo farlo.
Volete
qualcosa per rianimarvi?
In effetti l’agàpe tra i nemici ha avuto una grandiosa
realizzazione storica ed essa è stata in gran parte promossa da cristiani. E’
la tanto diffamata, e anche dall’attuale gerarchia poco compresa, Unione
Europea, dove hanno fraternizzato popoli che storicamente si erano aspramente e
lungamente combattuti.
Sabato
scorso, nella riunione in Google Meet del nostro gruppo, Carlo ci ha mostrato
la foto del Presidente francese e del capo del governo tedesco che anni fa, commemorando
un’orrenda strage compiuta nella battaglia di Verdun tra i loro popoli durante
la Prima Guerra mondiale, si tenevano per mano, simboleggiando con quel gesto
appunto l’amicizia fraterna tra passati nemici.
In questa
costruzione europea i cattolici democratici, in particolare, furono ispirati
dalla dottrina sociale della Chiesa, tanto che proprio da essa deriva uno dei
principi fondamentali dell’organizzazione europea quello di sussidiarietà.
Ciò che non
è mai riuscito ai maestri della teologia, né alle gerarchie delle nostre Chiese,
ci è riuscito in politica. Vedete? Abbiamo fatto una cosa nuova, veramente nuova. Mai, nella storia dell’umanità,
si ha memoria di settantacinque anni di pace, come quelli che abbiamo
vissuto in Europa dall’ultima guerra mondiale.
Alle
elementari il mio maestro, cresciuto sotto il fascismo mussoliniano e nella sua
ideologia di rigenerazione del popolo mediante la guerra, ci disse che anche noi
saremmo partiti militari in un qualche conflitto e che molti di noi vi sarebbero
morti, ma che, con tutto ciò, avremmo dovuto esserne orgogliosi. Sono invecchiato
nella pace europea e di questo sono veramente orgoglioso,
come cittadino europeo, ma anche come cristiano.
Nella vita
parrocchiale si è ancora poco avvezzi a quel modo di praticare l’agàpe: ci si riempie la bocca di confuso ecclesialese a scopo identitario, vale a dire per distinguersi dagli altri, che si finisce per odiare.
Come
osserva Maurizio Bettini nel suo bel libro Ho sbagliato foresta, uscito da poco e che sto
leggendo (ve ne proporrò schede di lettura), e come ancor prima scrisse Umberto
Eco, la sicurezza identitaria richiede la costruzione di un nemico, e allora il massimo zelo
religioso, per questa via, rimane il furore identitario che si appaga solo dopo aver fatto a pezzi,
realmente o metaforicamente, l’altro.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente
papa – Roma, Monte Sacro, Valli