appunti da conversazione tenuta il 4-5-05 dal prof. Carlo Cirotto durante l’incontro MEIC Uniroma 1 La Sapienza sul tema: “Le ragioni della fede e le ragioni della scienza”
Nota: gli appunti sono una mia
elaborazione di quanto ho capito nel corso della conversazione. Possono non
riflettere l’effettivo pensiero del relatore.
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“LOCANDINA DELL’INCONTRO”
mercoledi
4 maggio 2005, alle ore 19,
presso
la cappella dell'Università La Sapienza (sala principale)
il
prof. Carlo CIROTTO, ordinario di Citologia ed Istologia presso
l’Università di Perugia, Vice-Presidente nazionale del MEIC, parlerà sul tema:
“Le
ragioni della fede e le ragioni della scienza”
Siamo
abituati, come cristiani, a coniugare le ragioni della fede con quelle della
scienza. Ma I criteri della probabilità scientifica si possono conciliare con
le verità assolute della fede ? E’ proponibile oggi una nuova questione
galileana ? La riscoperta dell’etica, nelle forme della disciplina della
bioetica, può costituire oggi un nuovo terreno di incontro tra fede e scienza ?
Il
prof. Cirotto ha trattato in molte occasioni questi temi importanti e ci potrà
aiutare ad individuare alcune valide chiavi di lettura.
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Sul tema proposto bisognerebbe iniziare dalla
scienza alessandrina del V sec. a.C., ma sarebbe le questioni da trattare
sarebbero troppe per il tempo
disponibile nel corso dell’incontro.
Il processo di differenziamento culturale che
è stato l’inizio della scienza moderna inizia nel Trecento, nel Medioevo,
all’epoca della prime università (Bologna, Parigi; poi Padova e Oxford).
All’inizio del Trecento la cultura era monocorde. La teologia e la filosofia
erano basate sul metodo e sulla cosmologia aristotelici. Non vi era una
differenziazione chiara tra teologia e filosofia. Anche nell’organizzazione
accademica degli studi, non erano stabiliti percorsi di formazione e curricula nettamente differenziati per i
teologi e per i filosofi. Del resto per molti autori antichi era così: ad
esempio per S.Agostino, il quale nelle sue opere trattava questioni dell’una e
dell’altra disciplina. Però si dovette ad un certo punto stabilire un confine
di competenza, per impiantare uno studio di tipo accademico delle due
discipline. Sorsero allora liti, che trascesero anche in vie di fatto, tra
filosofi e teologi. A Parigi nel 1230 si raggiunse un compromesso: i teologi
doveva interessarsi della “sopranatura” e il filosofi della “natura”. Tale compromesso fu però veramente accettato
dalla maggior parte degli studiosi solo
dopo diversi decenni. Nel 1270 però la controversia si riaccese. I filosofi
cominciarono ad argomentare, con il loro metodo di elaborazione logica del
pensiero, su questioni propriamente teologiche: ad esempio sulla questione se
Dio avrebbe potuto creare anche altri mondi o se Dio fosse soggetto alla logica
matematica (due più due fa quattro). L’arcivescovo di Parigi allora, nel 1277, anche
su impulso pressante del Papa Giovanni XXI, censurò 219 proposizioni dei
filosofi e proibì di ripeterle sotto minaccia di scomunica. Le controversie tra
teologi e filosofi allora si acquietarono.
Questa fu la condizione perché potesse nascere la scienza moderna.
Infatti i filosofi “naturali”,che studiavano i fenomeni della natura e che si
definivano empiristi, vale a dire che studiavano la natura sulla base
dell’esperienza, avevano problemi con il sistema aristotelico e con quello tolemaico.
Li risolsero obiettando che intendevano studiare in modo empirico la Creazione come di fatto
era stata realizzata, senza impelagarsi in problemi teorici, senza, ad esempio,
pretendere di condizionare l’onnipotenza di Dio. Volevano studiare ciò che Dio
aveva fatto, non stabilire ciò che Dio avrebbe potuto o non potuto creare. Si
formò a Parigi un gruppetto di questi filosofi “naturali”, indipendenti sia dai
teologi che dai filosofi (i quali continuarono a litigare tra loro). Il
relatore ricorda Buridano e Pietro di Sassonia.
Questi filosofi “naturali” si definivano “empiristi” e studiavano la
natura per conoscerla, ma anche per conoscere l’operato di Dio. Erano quindi
animati da uno spirito, da un movente religioso. La loro era “scientia de
factis et operibus Dei”, scienza dei fatti e delle opere di Dio. La natura per
loro era un libro “scritto” dal dito di Dio (questa metafora ebbe molta fortuna
e venne utilizzata anche da Galileo Galilei); scritto con caratteri
“geometrici”, si aggiungeva. Vi era anche la Sacra Scrittura, che era il libro
“dettato” agli autori sacri e richiedeva una interpretazione.
Si sentì comunque la necessità di risolvere il
problema di chiarire che cosa fosse il libro della natura e i suoi rapporti con
la Sacra Scrittura, cioè con il libro contenente la Rivelazione, di definire il metodo di studio e di definire
meglio i rapporti con i teologi e i filosofi. Con i filosofi vi erano all’epoca
i problemi più gravi. I filosofi erano essenzialmente scolastici e si basavano
sulla cosmologia aristotelica. Per Aristotele, ad esempio, perché un corpo
rimanesse in moto occorreva una spinta costante. Buridano invece aveva capito
che chi fermava il moto non era l’assenza di spinta, ma l’attrito. I filosofi
“naturali” dovettero però arrestarsi davanti alla costruzione aristotelica,
alla quale avevano contribuito tanti pensatori in 1500 anni, pur di fronte a
fatti che potevano essere interpretati con altri criteri, secondo altri schemi.
La scienza insomma venne definendosi
incuneandosi tra teologia e filosofia ed autolimitandosi verso l’una e verso
l’altra.
Il compromesso venne messo in crisi con
Galileo Galilei, una persona cristiana, intelligente, ma anche dotata di un
carattere poco incline a cedere, secondo l’indole dei toscani.
Va detto che Galileo visse in un’epoca
complicata, nel pieno della Controriforma e delle controversie e lotte
politiche con i Protestanti, un’epoca piena di intrighi politici. C’era anche,
nella Chiesa cattolica, una reazione contro il Papa, accusato di interessarsi
poco delle questioni religiose. Il Papa in questione era stato, prima della sua
elezione a pontefice, membro dell’Accademia dei Lincei, da poco formata, come
lo stesso Galileo. Galileo pensò di
approfittarne, proponendo un nuovo paradigma scientifico da lui intuito: vale a
dire l’idea di cogliere i dati in maniera attiva, non limitandosi ad osservare
i fatti della natura quando accadevano in natura, ma fabbricando esperimenti in
laboratorio, al fine di eliminare i fattori di disturbo e di porre domande alla
natura. Dava importanza alle “sensate esperienze”, cioè alle verifiche
sperimentali.
Ai tempi di Galileo furono osservate due
“novae” e alcune comete. Queste ultime preoccuparono la popolazione, perché
ritenute un segno infausto. Per Aristotele il cielo delle stelle, sopra quello
della Luna, era eterno e perfetto, a
contatto com’era con il Primo Motore. Ci si chiese come fosse potuto accadere
che fossero nate nuove stelle e che in quel cielo si muovessero le comete. Per
Aristotele le comete erano miasmi provenienti dalla Terra, i quali, per
attrito, nel cielo della Luna, al di sotto del cielo delle stelle, si incendiavano. Galileo condivideva l’idea
che le comete fossero dei miasmi terrestri, ma riteneva che divenissero
visibili dalla Terra perché illuminate dal Sole. Non riteneva che si trattasse
di astri perché attraverso la loro coda
poteva essere osservato il cielo al di là. Poi però ci si accorse che le comete
viaggiavano molto oltre il cielo della Luna, con un’orbita elittica nel cielo
delle stelle. Questo creò notevoli problemi ai sostenitori della cosmologia
aristotelica.
Galileo perfezionò il progetto del
cannocchiale costruito da un’olandese e donato da questi a Paolo Sarpi, che si
trovava a Venezia ricercato dall’Inquisizione. Il relatore ricorda che da un
convento di Firenze dove il relatore medesimo aveva soggiornato per qualche
tempo era partita una spedizione di tre frati Servi di Maria che dovevano
uccidere il Sarpi, Servo di Maria anche lui. Il cannocchiale realizzato da
Galileo ingrandiva venti volte. Con lo strumento Galileo osservò che la Luna aveva strutture piane e montagne,
come la Terra. Scoprì i satelliti di Giove, che ruotavano intorno a Giove e non
intorno alla Terra. Queste osservazioni contrastavano con la cosmologia aristotelica.
La scoperta della fasi di Venere, analoghe a quelle della Luna, contrastava
invece con le teorie tolemaiche. In ultimo la scoperta galieiana di macchie sul
Sole, che ruotavano (ciò che indicava che il Sole stesso ruotasse), contrastava
con l’idea di perfezione di questo astro che derivava dalla teoria
aristotelica. Galileo si scontrò quindi con i teologi, per contrasti con il
dato biblico, e con i filosofi, per il contrasto con la visione aristotelica e
tolemaica. Alla fine il papa di allora impose a Galileo di abiurare, ma
essenzialmente non per motivi teologici
o filosofici, ma soprattutto per motivi contingenti di ordine politico, legati
alla situazione dell’epoca.
Va detto che ci si arrivò a chiarire le idee
solo con la meccanica quantistica e con la teoria della relatività. Ci si rese
conto che esiste un senso comune che serve per le cose e le attività di tutti i
giorni, ma che non è scientifico. Funziona, il più delle volte,
statisticamente, ma non può servire a elaborare una teoria. Tratta delle cose
come appaiono, non come sono veramente. Funziona ma non si può dire come, e non
funziona sempre. Sulla base di esso non si potevano fondare astrazioni
teoriche. Il criterio statistico serve a coprire la nostra ignoranza.
Sul senso comune si fondava la meccanica di Cartesio, deterministica,
secondo la quale ad una certa causa conseguiva necessariamente un certo tipo di effetto.
Un colpo al senso comune fu dato da Darwin,
che introdusse la statistica come mezzo di spiegazione scientifica dei fenomeni.
Con la meccanica quantistica, che si applica
nella fisica sub-atomica, ci si avvide che il criterio deterministico non
funzionava più e che non ci si poteva basare su immagini basate sul senso
comune per farsi un’idea della realtà (ad esempio concepire l’elettrone come
una “pallina” che girava intorno al nucleo).
Naturalmente poi si è qualche volta caduti
nell’eccesso opposto, nell’indeterminismo totale.
Allo stato attuale la fisica galileiana
funziona in certi ambiti, ma non in ambito sub-atomico, in cui ci si deve basare sulla statistica.
Va detto anche che alcune scienze, come la
biologia e la psicologia, sono allo stato prive di un complesso teorico analogo
a quello concepito dalla fisica contemporanea su basi matematiche.
E la fede?
La fede intesa come affidamento, non quindi in
senso propriamente religioso ma come affidamento nell’opera altrui, nella
validità delle conclusioni raggiunte da coloro che sono venuti prima, è
essenziale per la scienza moderna. Non si riparte infatti, con gli esperimenti,
dagli inizi, si parte da quei risultati precedenti che sono ritenuti affidabili
per vari motivi.
Per quanto riguarda i rapporti con la fede
religiosa, bisogna dire oggi si ritiene che pretendere di provare scientificamente
i contenuti religiosi significhi commettere un errore di impianto logico. Ogni
scienza, anche la tecnologia, ha infatti un proprio oggetto specifico e una
propria metodologia. Le contaminazioni non sono utili. In particolare non è
utile il cosiddetto “concordismo” cioè il voler trovare riscontri scientifici
ad asserzioni di fede, ad esempio far coincidere il “Sia la luce!” biblico con
il “Big Bang”.
TONNARINI: cita ciò che Giovan
Battista Montini disse agli universitari della FUCI – Federazione Universitaria
Cattolica Italiana: “la religione ha per cardine la fede, cioè il possesso
implicito della verità, e per secondo cardine la ricerca, cioè la ricerca di
quella verità”. Bisogna anche comprendere la legittima autonomia della scienza
e non confondere il messaggio rivelato con una particolare visione del mondo
(cfr la costituzione Gaudium et spes).
Va evitato il rischio opposto cioè l’invasione del campo della teologia. Cita
infine il libro “Le mani sull’uomo” di Cirotto/Sanna/Balduzzi sui problemi
anche filosofici e teologici creati dai progressi delle biotecnologie.
Appunti di Mario Ardigò, da una
conferenza del prof. Carlo Cirotto