INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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lunedì 28 dicembre 2020

RESOCONTO DELLA RIUNIONE IN GOOGLE MEET DEL GRUPPO AC SANCLEMENTE! DEL 12 DICEMBRE 2020

 

RESOCONTO DELLA RIUNIONE IN GOOGLE MEET DEL  GRUPPO AC SANCLEMENTE! DEL 12 DICEMBRE 2020

di Mario Ardigò

 

 Il 12 Dicembre 2020, dalle ore 16:45, si è tenuto in Google Meet  l’incontro del gruppo AC SANCLEMENTE! del cammino cristologico proposto dal sussidio del Settore Adulti dell’Azione Cattolica “Da corpo a corpo”, articolato su cinque unità. In questa riunione dialogheremo sulla seconda tappa, caratterizzata dal  verbo “Sfiorare” e dai temi del Progetto formativo dell’Azione cattolica del primato della persona, come cammino di libertà e di responsabilità.

  Eravamo in 13, compreso l’assistente ecclesiastico don Emanuele.

  Abbiamo iniziato vedendo un filmato nel quale don Antonio Ascione ha proposto una riflessione sul brano evangelico di riferimento, i versetti dal 13 al 16 del Vangelo di Marco:

 

(13) Alcune persone portavano i loro bambini a Gesù e volevano farglieli benedire, ma i discepoli li sgridavano. (14) Quando Gesù se ne accorse, si arrabbiò e disse ai discepoli: «Lasciate che i bambini vengano da me; non impediteglielo, perché Dio dà il suo *regno a quelli che sono come loro. (15) Io vi assicuro: chi non lo accoglie come farebbe un bambino non vi entrerà». (16) Poi prese i bambini tra le braccia, e li benediceva ponendo le mani su di loro. 

 

da TILC Traduzione interconfessionale in lingua corrente [in https://www.bibbiaedu.it/]

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[trascrizione da fonoregistrazione]

 

  La seconda tappa del nostro percorso ha una parola particolare: sfiorare. E questo termine ci rimanda subito a considerare il   contatto tra i popoli, il contatto delicato pieno di tenerezza. Per questa ragione abbiamo scelto come brano per la nostra riflessione Gesù e i bambini nel Vangelo di Marco. 

 Questo brano ci presenta appunto un fatto particolare. Gesù predica e a una certo momento le donne portano i loro bambini da Gesù perché li potesse accarezzare, potesse imporre su di loro le mani e li potesse benedire. Ma gli apostoli scacciano subito i bambini dalla presenza di Gesù.

  In realtà, per gli ebrei, i bambini fin quando non avevano dodici anni non erano considerati propriamente delle persone. Non avevano, per loro, una coscienza morale. Solo verso gli undici anni, quando celebravano il Bar mitzwah [bar mitzwah (letteralmente "figlio del precetto"), è di fatto una specie di esame, in cui un ragazzo deve dimostrare di sapere leggere la Bibbia in ebraico e comprenderne il significato] allora essi venivano considerati persone che potevano prendere parte pienamente alla comunità sociale  e religiosa.

 E’ vero che nelle Sacre Scritture troviamo delle affermazioni molto belle per quanto riguarda i bambini. “I figlio sono come delle frecce in mano ad un eroe, beato l’uomo che ne ha piena la faretra”. Quindi i figli sono considerati una benedizione di Dio. Ma gli ebrei consideravano i bambini poca cosa, rispetto invece agli adulti. Gli adulti potevano prendere parte pienamente alla realtà del Regno, secondo gli apostoli, ma i bambini no.

   Ma Gesù anche questa volta rovescia la logica dei discepoli: proprio loro, i bambini, sono la misura dell’accoglienza del Regno. A chi è come loro appartiene il Regno.

 E poi c’è un’immagine molto bella, quella che caratterizza la nostra tappa. Gesù prende in braccio i bambini e li benedice, li abbraccia.

 Certo al tempo di Gesù c’erano i rabbini o personaggi religiosi molto influenti ai quali gli adulti portavano i loro bambini per farli benedire. Ma  Gesù non solamente li benedice, li abbraccia e li indica come misura dell’accoglienza del Regno dei Cieli. Toccare, abbracciare, custodire.

 Una volta Gesù, nei pressi di Gerusalemme, guardano la città, disse: “Gerusalemme, come avrei voluto essere come una chioccia che allarga le proprie ali per raccogliere i propri pulcini.”  Molte espressioni troviamo nei Vangeli sulla paternità, sulla  tenerezza di Gesù. Ebbene, queste espressioni ci indicano i sentimenti, così belli, puri, di Cristo, verso gli uomini e le donne che hanno bisogno di lui e poi anche dei bambini. E allora questi atteggiamenti della custodia, della  tenerezza, dell’abbracciare, del proteggere, del prendersi cura,  hanno tutti bisogno di un’espressione della nostra corporeità veramente vissuta, che si realizza nel contatto con gli altri e manifesta in questo contatto la bellezza dell’amore di Dio, che è un amore materno e paterno allo stesso tempo.

  Questo vangelo ci insegna non solo a rispettare i bambini, ma a vedere nei bambini la misura del Regno  - a chi è come loro è dato il Regno di Dio.  Perché “a chi è come loro” ? Perché i bambini sono privi di pregiudizi, i bambini sono senza prevenzioni, i bambini hanno bisogno di tutto, di essere curati, educati, custoditi e amati. E Gesù, attraverso questo gesto di tenerezza, dell’abbracciare i bambini, di benedirli, di custodirli fra le sue braccia, insegna a ciascuno di noi queste dimensioni della nostra affettività.

 

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 E’ stato poi presentato un breve  filmato che riguardava un’esperienza di servizio dell’Azione Cattolica presso la casa famiglia per bimbi fragili Hogar Niños Dios a Betlemme, in cui svolgono il loro servizio delle suore.

 

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   Associati dell’Ac, compresa la Presidenza nazionale,  scoprirono nel 2017 quella struttura di assistenza all’infanzia durante un pellegrinaggio in Israele. Quell’incontro caratterizzò molto quell’esperienza. Al ritorno fu deciso che l’Ac facesse qualcosa di più. Quindi da allora associati di Ac iniziarono ad andare, ogni mese dell’anno,  ad Hogar Niños Dios a Betlemme per svolgervi volontariato di servizio.

 Ogni sogno si realizza quando qualcuno invita a lanciarsi in quel sogno. Hogar Niños Dios   ha fatto bene all’Ac.

  La missione di volontariato dura ogni volta dieci giorni  e coinvolge molto chi vi partecipa. I volontari si occupano di tutto: dei ragazzi, del giardino, delle faccende di casa.

 La struttura si trova molto vicino alla Basilica della Natività, che può quindi essere raggiunta con facilità.

 Ad oggi hanno partecipato a questa esperienza circa 150 persone, giovani e meno giovani. Da quando si è cominciato, non c’è mai stato un mese in cui sia mancata la presenza dei volontari di Ac. Per partecipare avere buona volontà e scrivere a alvederlastella@azionecattolica.it . Il sogno comincia quando si decide di mettersi in cammino.

 

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 Giulia  ha ricordato che, in preparazione alla riunione, ci eravamo preparati a presentare figure significative sul tema dello sfiorare, inteso come tenerezza, prendersi cura.

 

Daniele

 

 Parte da alcune domande.

 Si è chiesto quanto può essere incisivo questo stile della tenerezza, dello sfiorare e se può veramente cambiare il corso delle cose, o se si tratta solo di sentimentalismo, come quel clima melenso che la pubblicità commerciale crea intorno al Natale, centrato sull’essere tutti più buoni.

 La violenza è inevitabile o si può essere forti anche nella tenerezza?

 Propone come figura esemplare di un Vangelo della tenerezza quella di don Pino Puglisi [1937-1993 – sacerdote che operava da parroco nel quartiere palermitano di Brancaccio, assassinato da mafiosi per la sua azione sociale]. Ancora oggi tutti ricordano il sorriso di don Pino verso i più poveri, i più piccoli, quelli che avevano più bisogno. Era capace di questa tenerezza, pur essendo una persona molto decisa, molto “forte” e molto incisiva nelle azioni che faceva.

 Ricorda questa frase di don Pino Puglisi, in cui la tenerezza era abbinata alla fedeltà: “Se la fedeltà senza la tenerezza può diventare solo organizzazione, la tenerezza senza la fedeltà può correre il rischio di diventare semplice sentimentalismo”. Quindi, secondo il suo pensiero, le due cose dovevano andare insieme.

 Daniele ritiene che si debba stare attenti a non cadere nel sentimentalismo, specie adesso che ci si avvicina al Natale, e tutto ci porta verso quella dimensione. Essa poi ci porta più che altro a fare qualche beneficienza che aiuta più che altro noi a sentirci a posto con la coscienza che chi la riceve. Crede che la tenerezza, per essere incisiva, debba camminare con la fedeltà.

 La fedeltà c’è  l’ha insegnata don Pino, ma risalta particolarmente anche nell’esperienza dell’Azione Cattolica a Betlemme nella  Hogar Niños Dios. Quest’ultima porta con sé la responsabilità, la continuità, la scelta, la fatica e il sacrificio. La tenerezza da sola non basta, se si vuole costruire uno stile che sia anche incisivo.

 

Gloriana

 

  Presenta la figura dell’avvocatessa pacifista liberiana Leymah Gbowee, premio Nobel per la pace 2011.

[da Wikipedia: membro fondatore e coordinatrice in Liberia dell'organizzazione "Women in Peacebuilding Network (WIPNET)", ossia la Rete delle donne per la costruzione della pace. Nel 2003, insieme ad altre donne, ha organizzato una mobilitazione per la pace. Inizialmente erano coinvolte solo donne cristiane, ma successivamente sono state incluse anche donne musulmane. Nacque così il movimento interconfessionale noto come "Women of Liberia Mass Action for Peace" (Azione collettiva delle Donne liberiane per la Pace). Questa associazione mise in atto una serie di iniziative pubbliche e non violente contro l'allora presidente del paese Charles Taylor. Questo movimento fu determinante al raggiungimento della pace e all'elezione di Ellen Johnson Sirleaf come presidente della Liberia.[4]

Nel 2006, ha co-fondato "Women Peace and Security Network Africa" (WIPSEN-A), un'organizzazione no-profit pan-africana impegnata a promuovere la partecipazione delle donne, dove ha ricoperto la carica di direttore esecutivo per sei anni. Nel febbraio 2012, dopo aver ricevuto il Premio Nobel per la pace 2011, Gbowee ha lanciato la Gbowee Peace Foundation Africa (GPFA), a Monrovia, in Liberia, che offre opportunità di sviluppo educativo e di leadership per donne, ragazze e giovani]

  Leymah Gbowee ricevette il premio Nobel per la sua lotta non violenza per la sicurezza delle donne e del loro diritto a partecipare al processo di pace. La sua figura fu citata dal Papa  nel messaggio per la Giornata mondiale della pace 2017

«La nonviolenza praticata con decisione e coerenza ha prodotto risultati impressionanti. I successi ottenuti dal Mahatma Gandhi e Khan Abdul Ghaffar Khan nella liberazione dell’India, e da Martin Luther King Jr contro la discriminazione razziale non saranno mai dimenticati. Le donne, in particolare, sono spesso leader di nonviolenza, come, ad esempio, Leymah Gbowee e migliaia di donne liberiane, che hanno organizzato incontri di preghiera e protesta nonviolenta (pray-ins) ottenendo negoziati di alto livello per la conclusione della seconda guerra civile in Liberia

  Il suo è un esempio che ha associato la nonviolenza anche alla lotta per la libertà delle donne e della sua nazione. Durante la guerra civile in Liberia, si attivò per porre fine a quel conflitto fra fratelli che appartenevano allo stesso popolo. Rifugiata in un campo profughi assistette alle violenze contro le donne. Tuttavia questa esperienza non la spinse a lottare in modo violento. Capì che bisognava innanzi tutto abbattere i muri che erano state costruite tra i cuori, per sanare le violenze subite. Ha creato un movimento nonviolento interconfessionale tra donne sia musulmane che cristiane che si riuniva nelle strade e nelle piazze per fare delle preghiere, vestendosi di bianco. In Africa le donne vestono in modo molto variopinto e quell’abito bianco le rendeva molto visibili, oltre che a simboleggiare la non violenza. In questo  modo ha contribuito alla fine della guerra civile.

 Sta tuttora continuando la sua lotta nonviolenta mediante una fondazione che offre alle opportunità formative alle donne, anche per una loro leadership nella società.

 Gloriana  ha poi ricordato  il Discorso alla luna di papa Giovanni 23°, affacciato in piazza san Pietro la sera dell’11 ottobre 1965:

«Cari figlioli, sento le vostre voci. La mia è una voce sola, ma riassume la voce del mondo intero: qui di fatto tutto il mondo è rappresentato. Si direbbe che persino la luna si è affrettata stasera... osservatela in alto, a guardare questo spettacolo. Noi chiudiamo una grande giornata di pace... Sì, di pace: "Gloria a Dio, e pace agli uomini di buona volontà". 
 Se domandassi, se potessi chiedere ora a ciascuno: voi da che parte venite? I figli di Roma, che sono qui specialmente rappresentati, risponderebbero: ah, noi siamo i figli più vicini, e voi siete il nostro vescovo. Ebbene, figlioli di Roma, voi sentite veramente di rappresentare la "Roma caput mundi", la capitale del mondo, così come per disegno della Provvidenza è stata chiamata ad essere attraverso i secoli.
La mia persona conta niente: è un fratello che parla a voi, diventato padre per la volontà di nostro Signore... Ma tutti insieme, paternità e fraternità e grazia di Dio, tutto tutto... Continuiamo dunque a volerci bene, a volerci bene così; guardandoci così nell'incontro: cogliere quello che ci unisce, lasciar da parte, se c'è, qualche cosa che ci può tenere un po' in difficoltà... Tornando a casa, troverete i bambini, date loro una carezza e dite: questa è la carezza del Papa.
Troverete qualche lacrima da asciugare: abbiate per chi soffre un parola di conforto... Sappiano gli afflitti che il Papa è con i suoi figli specie nelle ore della tristezza e dell'amarezza... E poi, tutti insieme ci animiamo: cantando, sospirando, piangendo, ma sempre pieni di fiducia nel Cristo che ci aiuta e che ci ascolta, continuiamo a riprendere il nostro cammino.
Addio, figlioli. Alla benedizione aggiungo l'augurio della buona notte.
»

 Raccomandò quindi un gesto di tenerezza.  Da bambina capì, dalle parole degli adulti, che c’era stato un cambiamento di passo, come se la Chiesa si fosse impegnata ad accarezzare l’umanità.

 

Adriano

 

 Ha presentato la figura di Ernesto Olivero, fondatore a Torino nel 1964, insieme alla moglie,  del SERMIG – Servizio missionario giovani, un’organizzazione di volontari impegnati a sconfiggere la fame con le opere di giustizia.

 Negli anni ’80 all’interno del SERMIG è nata la Fraternità della speranza,  che ad oggi ha un centinaio di aderenti, coppie di sposi e monaci e monache che si dedicano a tempo pieno al servizio dei poveri e alla formazione dei giovani, nello spirito del vangelo.

 In tempo di Covid abbiamo scoperto che molte famiglie, anche con bambini, soffrono la fame in Italia.

  Venne assegnato al SERMIG in comodato d’uso dal Comune di Torino  l’ex Arsenale militare di piazza Borgo Dora, un quartiere di cattiva fama. Olivero, incoraggiato da Gorgio La Pira, lo considera il primo grande passo di una profezia si pace. Lo trasformò, con l’aiuto di volontari, e l’11.4.1984 fu inaugurato come Arsenale della pace dal presidente della Repubblica Sandro Pertini. E’ un laboratorio di convivenza e di dialogo, di formazione dei giovani, di accoglienza; un monastero metropolitano aperto 24 ore su 24. Ci sono progetti per persone di 140 nazionalità, ad esempio per ex carcerati, giovani in difficoltà, madri abbandonate, tantissime persone che vengono reinseriti nella società.

 I giovani del SERMIG hanno siglato il loro impegno nella Carta dei giovani.

 Olivero ha dato vita al movimento internazionale Giovani per la pace  che si incontra periodicamente in incontri mondiali radunando decine di migliaia di giovani, per ridisegnare il mondo partendo dalle nuove generazioni. Il primo incontro si è tenuto nel 2002 a Torino, con 100.000 giovani.

 Per la sua fama di mediatore, al di sopra delle parti, Olivero svolse in Libano una missione di pace nel 1988, uno dei pochi civili ammessi in piena guerra civile. Fu anche incaricato dall’allora ministro della Giustizia Giuliano Vassalli di una mediazione nella rivolta nel carcere di Porto Azzurro, all’Isola d’Elba, nel 1987. Fu nominato anche consigliere per la pace  dal papa Giovanni Paolo 2°.

 

Mario

 

 Lo sfiorare è per lui legato al contatto ravvicinato e quindi ci ha presentato come figura esemplare quella della moglie, Angela.  La loro unione è legata all’Azione cattolica perché si conobbero in FUCI.

 In questo tempo di COVID ha assistito a sue lezioni a distanza. Quando fa lezione, ma anche quando fa altre riunioni, la ascoltano, riesce a fare gruppo! E’ anche rappresentante sindacale nella scuola dove lavora. Riesca ad avvicinare le persone, cosa che a lui riesce invece difficile.

 Dall’esempio della moglie, riesce a capire papa Francesco quando parla della tenerezza come di una forza rivoluzionaria. Le cose cambiano quando con quel particolare atteggiamento si riesce ad avvicinare le persone le une alle altre.

 

Carlo

 

 Presenta tre figure:

-     don Zeno Saltini,

-     Lanza del Vasto,

-     Giuliana Martirani,

che hanno coniugato tenerezza, non violenza e opere. Vale a dire che non si sono limitate ad una elaborazione filosofica o politologica, ma sono riuscite a fare qualcosa di concreto.

 Don Zeno Saltini fu il fondatore della Comunità di Nomadelfia, nel grossetano. E’ un’esperienza in cui vivono insieme delle famiglie in cui madri accolgono anche bambini non propri, che si prendono cura di gruppi anche di questi bambini non loro.

 Don Saltini era stato assistente ecclesiastica dell’Azione Cattolica. Tutto cominciò da un’iniziativa di radicalità evangelica in favore dei bambini dopo la fine della Seconda Guerra mondiale. Don Saltini iniziò a prendersi cura di bambini rimasti senza famiglia occupando l’ex campo di concentramento di Fossoli in Emilia. Da luogo di esercizio della violenza divenne luogo di esercizio della fraternità, in particolare per la cura dei bambini. Questa esperienza si trasferì poi nel grossetano quando un membro della famiglia Pirelli donò a don Saltini la tenuta dove ora è Nomadelfia. Nomadelfia significa: dove la fraternità è legge.

 Lanza del Vasto, siciliano, fu affascinato da Ghandi e e andò in India per mettersi alla sua scuola. Dopo aver imparato il messaggio e la pratica della non violenza da Ghandi tornò in Europa  - Ghandi gli aveva dato un nuovo nome indiano che significava Servitore della pace – e diventò un predicatore della non violenza soprattutto in Francia e in Italia.

 Fondò la  Comunità dell’Arca  che è composta da gruppi che vivono nello spirito della nonviolenza.

  Carlo ne visitò una che si trovava a Massafra nel Salento, in Puglia, dove un gruppo di famiglie condivise l’esperienza ghandiana e di Lanza del Vasto. Lavoravano nei campi – erano fautori dell’agricoltura biologica -, lavoravano se stessi vivendo la preghiera e l’educazione alla pace nella vita quotidiana, praticavano l’esperienza religiosa ecumenica.  Curavano l’educazione non violenta dei figli. Questo lo colpì moltissimo. Quella comunità poi si sciolse, ma la masseria, di Monte S.Elia, fu donata dalla Comunità dell’Arca al WWF ed è oggi un’oasi  del WWF, che anche questa è un’esperienza di rapporto non violento con la natura.

 Il terzo personaggio è Giuliana Martirani. E’ una docente universitaria napoletana che ha impostato tutta la sua esperienza di insegnante sull’educazione alla pace. E’ presidente del Movimento internazionale nonviolento.

  Fu tra i fondatori di un partito politico, il Partito dei Verdi, che tra le sue radici ha l’impostazione cattolica data dalla Martirani. In nome della tenerezza e della nonviolenza si può anche fondare un partito politico, che esiste tuttora.

 La Martirani ha scritto i libri La civilità della tenerezza. Nuovi stili di vita per il Terzo Millennio,  edizioni Paoline, 1997, e Il drago e l’agnello. Dal mercato globale alla giustizia universale, edizioni Paoline, 2001 [entrambi non disponibili in commercio], in cui espone il suo pensiero.

 

Antonietta

 

 Ricorda la sua esperienza ventennale di volontariato con il gruppo di don Luigi  Novarese CVS – Centro Volontari della Sofferenza, che accompagna i malati per gli esercizi spirituali.

 

Angela

 

 Ricorda l’episodio narrato nel 34° capitolo dei Promessi sposi, della madre di Cecilia.

  Renzo è a Milano, si sta recando a casa di don Ferrante e di donna Prassede per cercare Lucia, che i quel momento si trova nel lazzaretto. Ci sono tumulti. C’è la peste, una situazione terribile di grande confusione e concitazione.

 Eppure di fronte all’immagine di tenerezza infinita di quella donna, tutto si placa, addirittura anche la violenza dei  monatti, di quegli inservienti  che andavano casa per casa a ritirare con un carro i cadaveri dei morti di peste.

  Quella madre depone su carro, con atteggiamento d’amore, il cadavere della figlioletta. Tutti intorno, si fermano e la compatiscono.

  Angela ci ha mostrato un filmato con quell’episodio.

 

  Arrivato alla cantonata della strada, ch’era una delle più larghe, vide quattro carri fermi nel mezzo; e come, in un mercato di granaglie, si vede un andare e venire di gente, un caricare e un rovesciar di sacchi, tale era il movimento in quel luogo: monatti ch’entravan nelle case, monatti che n’uscivan con un peso su le spalle, e lo mettevano su l’uno o l’altro carro: alcuni con la divisa rossa, altri senza quel distintivo, molti con uno ancor più odioso, pennacchi e fiocchi di vari colori, che quegli sciagurati portavano come per segno d’allegria, in tanto pubblico lutto. Ora da una, ora da un’altra finestra, veniva una voce lugubre: “qua, monatti!” E con suono ancor più sinistro, da quel tristo brulichìo usciva qualche vociaccia che rispondeva: “ora, ora.” Ovvero eran pigionali che brontolavano, e dicevano di far presto: ai quali i monatti rispondevano con bestemmie.

Entrato nella strada, Renzo allungò il passo, cercando di non guardar quegl’ingombri, se non quanto era necessario per iscansarli; quando il suo sguardo s’incontrò in un oggetto singolare di pietà, d’una pietà che invogliava l’animo a contemplarlo; di maniera che si fermò, quasi senza volerlo.

Scendeva dalla soglia d’uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio, una donna, il cui aspetto annunziava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale: quella bellezza molle a un tempo e maestosa, che brilla nel sangue lombardo. La sua andatura era affaticata, ma non cascante; gli occhi non davan lacrime, ma portavan segno d’averne sparse tante; c’era in quel dolore un non so che di pacato e di profondo, che attestava un’anima tutta consapevole e presente a sentirlo. Ma non era il solo suo aspetto che, tra tante miserie, la indicasse così particolarmente  alla pietà, e ravvivasse per lei quel sentimento ormai stracco e ammortito ne’ cuori. Portava essa in collo una bambina di forse nov’anni, morta; ma tutta ben accomodata, co’ capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l’avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per premio. Nè la teneva a giacere, ma sorretta, a sedere sur un braccio, col petto appoggiato al petto, come se fosse stata viva; se non che una manina bianca a guisa di cera spenzolava da una parte, con una certa inanimata gravezza, e il capo posava sull’omero della madre, con un abbandono più forte del sonno: della madre, chè, se anche la somiglianza de’ volti non n’avesse fatto fede, l’avrebbe detto chiaramente quello de’ due ch’esprimeva ancora un sentimento.

Un turpe monatto andò per levarle la bambina dalle braccia  con una specie però d’insolito rispetto, con un’esitazione involontaria. Ma quella, tirandosi indietro, senza però mostrare sdegno né disprezzo, “no!” disse: “non me la toccate per ora; devo metterla io su quel carro: prendete.” Così dicendo, aprì una mano, fece vedere una borsa, e la lasciò cadere in quella che il monatto le tese. Poi continuò: “promettetemi di non levarle un filo d’intorno, né di lasciar che altri ardisca di farlo, e di metterla sotto terra così.”

Il monatto si mise una mano al petto; e poi, tutto premuroso, e quasi ossequioso, più per il nuovo sentimento da cui era come soggiogato, che per l’inaspettata ricompensa, s’affaccendò a far un po’ di posto sul carro per la morticina. La madre, dato a questa un bacio in fronte, la mise lì come sur un letto, ce l’accomodò, le stese sopra un panno bianco, e disse l’ultime parole: “addio, Cecilia! riposa in pace! Stasera verremo anche noi, per restar sempre insieme. Prega intanto per noi; ch’io pregherò per te e per gli altri.” Poi voltatasi di nuovo al monatto, “voi,” disse, “passando di qui verso sera, salirete a prendere anche me, e non me sola.”

Così detto, rientrò in casa, e, un momento dopo, s’affacciò alla finestra, tenendo in collo un’altra bambina più piccola, viva, ma coi segni della morte in volto. Stette a contemplare quelle così indegne esequie della prima, finché il carro non si mosse, finché lo poté vedere; poi disparve. E che altro poté fare, se non posar sul letto l’unica che le rimaneva, e mettersele accanto per morire insieme? come il fiore già rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino ancora in boccia, al passar della falce che pareggia tutte l’erbe del prato.

 

  Una immagine, quella di quel brano, molto significativa per la tenerezza,  lo sfiorare.

   Ha ricordato anche la parte finale della poesie del Manzoni 5 Maggio, dedicata dal poeta alla morte di Napoleone Bonaparte. Dopo aver ripercorso l’avventura di quel condottiero e imperatore francese, che era stato arbitro delle sorte dell’Europa e che era stato costretto in esilio nello scoglio malarico dell’isola di Sant’Elena, in mezzo all’Atlantico, il poeta sostiene che Napoleone, alla fine della sua vita non era più solo, infatti:

 

Ahi! forse a tanto strazio
Cadde lo spirto anelo,
E disperò: ma valida


Venne una man dal cielo,
E in più spirabil aere
Pietosa il trasportò;

E l’avviò, pei floridi
Sentier della speranza,
Ai campi eterni, al premio
Che i desidéri avanza,
Dov’è silenzio e tenebre
La gloria che passò.

 

per concludere

 

Il Dio che atterra e suscita,
Che affanna e che consola,

Sulla deserta coltrice
Accanto a lui posò.

 

 Questa è un’immagine della tenerezza di Dio, che non abbandona e si fa vicino, prossimo, soprattutto  nei confronti di chi è lasciato solo dagli altri.

 

Don Emanuele

 

 Ha ricordato di aver prestato opera di volontariato nel CVS. E’ un’organizzazione con un carisma molto particolare. Si propone di vincere la sofferenza, per farne una forza, lavorando per i disabili, per la loro spiritualità.

  Ha poi ricordato che fin dall’inizio del suo ministero papa Francesco ha sviluppato il suo insegnamento sulla tenerezza, che richiede di essere umili e silenziosi. Per questo ci presenta come esempio la figura di S. Giuseppe.

 Don Emanuele ci ha poi parlato di Phan Thi Kim Phuc, che da bambina venne fotografata, l’8-6-72,m  mentre, in Vietnam, fuggiva dai bombardamenti nuda e ustionata, in mezzo a soldati statunitensi.

[ da Wikipedia:   Kim Phuc e la sua famiglia erano residenti del villaggio di Trang Bang, nel Vietnam del Sud, quando l'8 giugno 1972[1] alcuni Douglas A-1 Skyraider della Forza aerea del Vietnam del Sud sganciarono bombe al napalm sul villaggio, che era stato occupato dalle forze nord-vietnamite. L'attacco uccise quattro persone nel villaggio. Il fotografo Nick Út, che scattò alcune fotografie agli abitanti del villaggio in fuga, fra cui Phuc, vinse il premio Pulitzer proprio per quella fotografia, che in seguito fu anche scelta come World Press Photo of the Year del 1972. L'immagine di Phúc che corre nuda nel caos divenne una delle immagini più celebri della guerra del Vietnam. Dopo le fotografie, Út portò Kim Phuc e gli altri bambini feriti, all'ospedale di Saigon, dove la bambina fu curata per quattordici mesi e dimessa dopo diciassette interventi. Rievocando da adulta quella vicenda, Kim Phúc ha dichiarato che in quel momento stava urlando "Brucia! Brucia!", in quanto era stata ustionata gravemente dalla bomba.

Kim Phuc ha successivamente studiato a Cuba, e nel 1992 ha sposato il connazionale Bui Huy Toan. In seguito si è trasferita in Canada col marito, con il quale ha avuto due figli. Kim Phuc è diventata cittadina canadese nel 1996. Il 10 novembre 1997 è stata nominata ambasciatrice dell'UNESCO. Nel 1999 è stata pubblicata la sua biografia, intitolata La bambina nella fotografia. La storia di Kim Phuc e la guerra del Vietnam] e scritta da Denise Chong. Il 22 ottobre 2004 Phuc è stata insignita di un dottorato ad honorem in legge presso l'università di York, a Toronto, per il suo impegno a sostegno delle piccole vittime delle guerre in tutto il mondo, tramite la KIM Phuc Foundation International. Il 27 ottobre 2005 le è stata consegnata una laurea ad honorem in Legge dalla Queen's University a Kingston. Ha scritto la sua autobiografia, edita in Italia da Edizioni Scripsi nel settembre 2019 con il titolo Il fuoco addosso.

 Quella fotografia è considerata uno dei simboli della guerra nel Vietnam per l’immagine di intensa sofferenza di una bambina vittima di quel conflitto. Tocca l’animo di chi la vede e suscita sentimenti di compassione e di tenerezza. Spinge verso l’essere umani e al desiderio di pace, e anche a seguire l’esortazione del Signore alla riconciliazione. Anche Phan Thi Kim Phuc, che all’’inizio odiò quella foto, arrivò a riconciliarsi con il fotografo che l’aveva ripresa, proprio per quell’essere veicolo di sentimenti di ripudio delle guerre e delle violenze.