La politica come costruzione sociale
La politica è il governo della società. Il governo comprende la costruzione della società.
Nell’idea di società vi è quella di un popolo che segue si muove e decide secondo certi costumi e certe regole.
E’ il governo di una società che costituisce il suo popolo. Prima c’è solo una
popolazione che, nelle sue relazioni sociali, esprime una collettività. Essa diventa popolo
quando acquisisce la capacità di
agire politicamente. Perché accada, non è indispensabile che si abbia il potere
di decidere, perché si agisce politicamente anche quando ci si limiti a
obbedire: anzi, se non c’è obbedienza,
non c’è alcun effettivo governo. E il potere decisionale è sempre
prerogativa collettiva, anche nelle forme monarchiche: non è mai, veramente,
una sola persona che decide. Ma è soprattutto collettiva l’obbedienza ad un
potere, essenziale per la sua effettività. Quindi: il governo della società è sempre un’azione collettiva e, per essere
tale, deve essere anche sociale, vale a dire espressione di un sistema di
relazioni che siano intelligibili, quindi rispondenti a costumi e regole
formali. Quando proviamo a definire che
cosa sia un politico, inteso come
persona che fa politica, dobbiamo quindi concentrarci su questa attività di
costruzione della società, a partire
da una popolazione. L’amministrazione di un settore della società, ad esempio, è una
cosa diversa, anche se in genere, quando ci si riferisca al politico, si presentano esempi di persona che si occupano di amministrazione pubblica. Quando, nella formazione, si vuole insegnare la politica, si dovrebbe
partire a quello: dalla costruzione sociale.
Naturalmente, il più delle volte ci troviamo
di fronte a società bell’e fatte, ma in genere si deve lavorarci sopra politicamente, perché le popolazioni che
le esprimono e le loro culture cambiano costantemente, e quindi deve sempre
raggiungersi un nuovo punto di equilibrio.
Quando si costruisce un edificio è tutto più semplice, perché è un
lavoro che si conclude in un tempo limitato. Ma si è anche limitati dalle leggi
della fisica, della chimica e della biologia. Queste ultime regolano il carico
di lavoro che si può assegnare a ciascun lavoratore, ma anche le caratteristiche
costruttive della nuova opera: ad esempio l’altezza dei locali abitativi e la
pendenza delle scale.
Ognuno sa che fare e il lavoro collettivo è regolato secondo un
progetto, che è quello dell’architetto, dettagliato, nelle caratteristiche
costruttive, ad esempio nel calcolo del cemento armato, dall’ingegnere e da altre professionalità. Tutto
si svolge secondo disposizioni riconducibili ad una squadra di specialisti, che
si coordinano. Si cerca di lavorare con criteri di economicità, senza spreco di
risorse. La ripartizione del carico delle spese e degli utili è
contrattualizzata: vale a dire che è stata decisa prima di iniziare a lavorare.
Anche nella costruzione sociale si è limitati dalle leggi della fisica,
della chimica, della biologia e dell’economia. Ma lo si è anche dalle leggi
proprie delle dinamiche sociali, perché la società emerge come risultato di
interazioni di potere. Ci sono regole formali, che la società si è già data o
che si cerca di introdurre nell’attività di governo, ma anche regole che, come
quelle dalla fisica, possiamo considerare naturali perché dipendono da come sono fatti gli esseri
umani. E ce ne sono altre che consistono in costumi sociali che si sono via via
affermati per l’utilità o piacevolezza che ne deriva: tra questi, ad esempio,
quelli riguardanti l’alimentazione, l’abbigliamento, le cerimonie e via
dicendo. Il tempo è importante, certo, perché la tempestività di un’azione
collettiva è in genere determinante per il suo successo, ma, in sé, una società
nasce per superare questo tipo di limite, vale a dire per durare. Infine, non c’è, in genere, un progetto del risultato
fin dall’inizio, ma solo un abbozzo o modello.
La società è quindi tale per come viene costruita, ma si costruisce
senza sapere veramente che cosa ne uscirà. Infine l’ultimo limite: la soddisfazione sociale. Nessuna società
dura a lungo se non genera soddisfazione sociale. L’insoddisfazione sociale può
essere combattuta mediante la violenza politica, ma la storia dimostra che
quest’ultima poi rende instabile la società. Una società è tanto più stabile,
quindi duratura, quindi efficiente nel produrre e riprodurre sé medesima,
quanto maggiore sono la soddisfazione e quindi il consenso sociali. Quello di consenso è un
concetto politico ed è uno dei modi
principali in cui in una società si fa politica. Nessun governo, neppure quelli
autocratici, che non cercano quindi legittimazione né dall’alto né dal basso,
possono ignorare il consenso sociale, perché, se lo ignora, corre il rischio di
essere rovesciato, al raggiungimento di certe soglie di insoddisfazione sociale e di
dissenso.
Uno dei modi principali in cui nel passato si è cercato di
creare e di mantenere il consenso sociale è stata la sacralizzazione della
politica, che è quando un orientamento
di governo viene presentato come voluto da potenze superne. L’opposto della sacralizzazione è la secolarizzazione. Ogni governo
secolarizzato deve ottenere il consenso basandosi a) sulla soddisfazione
sociale e/o b) sulla violenza pubblica. Solo a partire dall’affermazione delle
democrazie contemporanee si ebbe una decisa secolarizzazione delle attività di
governo. Anzi la secolarizzazione del
governo, che si dice anche laicità del governo, è uno dei principi cardine della
democrazia come oggi la si intende. Infatti, solo la laicità del governo consente a tutti di parteciparvi in qualche
modo, in condizione di uguaglianza in dignità. Questa condizione di uguaglianza
richiede che nessun tema e nessun potere pubblico possa essere sottratto al dibattito razionale
tra i consociati. Altrimenti prevarrebbe sempre la volontà sacralizzata dei gruppi che
si sono affermati come interpreti qualificati
del volere soprannaturale ma anche come suoi profeti.
Nella politica
ecclesiastica della nostra confessione religiosa la sacralizzazione dei poteri
pubblici è ancora molto marcata. Questo non significa che non possano essere
sperimentate forme di governo democratiche nei campi non sacralizzati,
specialmente nelle realtà di base come le parrocchie. Il problema è che in genere non si fa formazione alla
democrazia e, dunque, anche in questi ambiti si tende a imitare i poteri
sacralizzati, ad esempio distribuendo irritualmente scomuniche. E’ solo
facendone tirocinio, infatti, che si
impara la democrazia.
La democrazia è una forma molto efficace di costruzione sociale perché
si basa su un consenso partecipato molto ampio. Essa consente anche rapidi
adattamenti secondo le esigenze dei tempi: quando sono molto estese hanno il
carattere di riforme.
Ogni società incapace di adattarsi muore. La nostra Chiesa, pur
intensamente sacralizzata, ha dimostrato una notevole capacità di adattamento
nei due millenni della sua vita. Spesso tuttavia gli adattamenti necessari si
sono prodotti nel corso di gravi crisi, non di rado anche sanguinose. Negli
scorsi decenni si è intrapresa un’altra strada, imparando dall’esperienza delle
democrazie contemporanee. Il metodo della sinodalità
può essere considerato un
adattamento verso la democrazia, che tuttavia non vuole rompere con un più
antico ordinamento autocratico, ma comporne le asprezze praticando il dialogo
rispettoso dell’altrui dignità.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San
Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli.