Da un Natale passato
Pensiero
per il Natale 2007 e poesia di Natale ad uso dei più piccoli per la cena di
vigilia o per il pranzo del giorno dopo
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Fare memoria, per gli esseri
umani, è legato ai pensieri sul senso della vita e quindi anche alle
aspettative sul futuro. Non ci si potrebbe basare solo su quello che c’è? In un
concezione “positiva” dell’esistenza, vale a dire appunto fondata su ciò che si
osserva e di cui si fa esperienza, potrebbe e, anzi, dovrebbe bastare. Ma la
nostra mente ci ha fatti capaci di spirito e, allora, quel “positivismo” non ci
soddisfa, innanzi tutto per i limiti delle nostre capacità di indagine sul
reale, che è troppo più grande di noi, e poi perché, come realtà spirituali, ci
ribelliamo a considerarci solo come una scintilla che brilla per un istante in
un universo immenso. Da qui, allora, lo sviluppo nelle culture umane di
narrazioni come quella sul Natale dei cristiani, consolidata intorno al Quinto
secolo. Essa fa riferimento ad una delle esperienze più emotivamente
coinvolgenti della vita: la nascita di un figlio. Alla nostra portata in quanto
fatto delle natura, ma, nello stesso tempo, riempita di soprannaturale, in
quanto realtà spirituale. In ogni evento della vita, e in ogni persona che
incontriamo, noi umani siamo capaci di intuire un significato che va oltre ciò
che si osserva. E’ sogno? L’esperienza degli avi conferma la nostra nel senso
di stabilire un legame molto stretto tra sogno e spirito. Nel sogno le
esperienze personali e l’emotività che le pervade sono come trasfigurate. La
trasfigurazione della realtà: una sensazione che ogni spirito religioso ha
vissuto e che è quando in qualcosa o qualcuno si vede più di ciò che appare e
questo genera senso. E’ l’esperienza del genitore quando si trova per le prime
volte davanti un figlio neonato.
Dunque: fare memoria del passato è il fondamento di ogni vissuto
spirituale. Spirito è l’attribuire alla realtà un senso che va oltre ciò che
appare. Così funziona la nostra mente.
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Da molti anni, tutti gli anni, fin da quando
le mie pupe erano realmente “pupe”, come si dice qui a Roma, cioè bimbe, nella
Messa per i bambini della prima domenica di Avvento si svolgeva la seguente
scenetta. Il parroco domandava ai bambini del catechismo: “Che cosa attendiamo
in Avvento?”. Inevitabilmente il ragazzino
che alzava per primo la mano e veniva ammesso a rispondere diceva: “La
nascita di Gesù bambino!”. “EH, NO! NO,NO! … Non ve lo hanno detto le catechiste?
Gesù è già nato duemila anni fa! Noi aspettiamo il suo ritorno, la sua nuova
venuta.”
Noi adulti, che sapevamo come andava a finire,
aspettavamo compiaciuti il siparietto; ci piaceva stare dalla parte del parroco
nell’insegnare una cosa così ovvia ai pupi. Senza ricordare che, magari, la prima
volta, avevamo risposto anche noi silenziosamente, d’istinto, in cuor nostro:
“La nascita di Gesù bambino!”. Che bella questa catechesi che si fa senza quasi
che la persona ammaestrata se ne renda conto e si senta perciò umiliata per
aver ignorato, da adulta, cose fondamentali della propria fede! Grazie al
nostro parroco oggi, da noi, gli adulti che vanno a Messa sanno che cosa si
celebra veramente in Avvento e che cosa stiamo attendendo nella fede. Anch’io
ho le idee più chiare e, in questi anni, mi è stato molto utile averle così.
Voglio bene al mio parroco, anche se su
diverse cose, non essenziali, di contorno per così dire, non sono d’accordo con
lui. E’ stato buono con me quando ne avevo bisogno, mi ha consolato e sostenuto
quando per vari motivi era più difficile farlo (non è piacevole accostare
Giobbe; il malato grave è quasi sempre un “separato”, come nella Giudea di
duemila anni fa), ha mantenuto viva la vera fede qui a Montesacro, e poi,
incompreso dai più, ci vuole portare “TUTTI” in Paradiso, noi della parrocchia.
Quando durante la Preghiera Eucaristica aggiunge un sonoro “TUTTI” prima di
“insieme”, dove il testo dice “concedi
anche a noi di ritrovarci insieme/a godere per sempre della tua gloria,/in
Cristo, nostro Signore/per mezzo del quale tu, o Dio/ doni al mondo ogni bene”,
alcuni, lo vedo bene, gli fanno il broncio per quel “TUTTI insieme”, perché
pensano che, nell’ultimo giorno, si dovrebbe fare giustizia del condomino
antipatico, del negoziante disonesto, del parente avido, del capoufficio
ingiusto … insomma per tutti i “torti” subiti. Quando, come è scritto, i popoli
saranno riuniti di fronte al trono glorioso e si procederà a separarli in due
gruppi, come fa il pastore quando separa le pecore dalle capre, giusti da una
parte e malvagi dall’altra, e al nostro parroco verrà indicata la via del regno
beato, preparato per lui fin dalla creazione del mondo, e, alle sue obiezioni
di giusto (“Signore, ma quando ti abbiamo
visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da
bere…?”) gli verrà risposto indicando me e molti altri, sicuramente
continuerà a questionare per sottrarre al fuoco eterno diversa gente che vi è
destinata. Perché è profondamente inserito in questa grande azione di
salvazione che parte ed è sostenuta dal fondatore, ed è diretta verso di lui,
alla fine del tempo.
Quest’anno però le catechiste hanno dato il
meglio di sé e il bimbo che ha risposto ha detto sicuro: “Il ritorno di Gesù!”.
Un mormorio di delusione è corso tra noi adulti. Ora che, come è scritto che
avverrà nel Regno, la grande verità era proclamata, per così dire, con “la
bocca di un lattante”, non abbiamo colto la bellezza della cosa. E’ proprio a
questo che serviamo come credenti “TUTTI INSIEME”, come è stato ordinato: “…andate, fate diventare miei discepoli tutti
gli uomini del mondo…E sappiate che sarò sempre con voi, tutti i giorni, fino
alla fine del mondo … Chi ascolta queste cose dica: - Vieni! -”. Le ultime sue parole ci confermano: “Sì, sto per venire”.
E’ pur vero che l’Avvento, come tempo liturgico, è
una preparazione al Natale, che è il ricordo e la celebrazione di una nascita,
avvenuta nell’antichità, ma nemmeno poi tanto antica se comparata all’età
dell’universo o anche solo a quella della nostra specie. Solo quaranta generazioni,
quaranta persone, su per giù, vissute una dopo l’altra, ci separano da
quell’evento. Gran parte delle concezioni filosofiche e giuridiche del grande
impero in cui avvenne sono attuali, i nostri problemi sono in gran parte ancora
quelli delle genti di allora e molti modi di pensare, di vivere bene, di vivere
male, di fare del bene, di fare del male, diffusi nei popoli di oggi sono gli
stessi di duemila anni fa. Non è una cosa come la Creazione o il Diluvio
Universale, che uno situa in un tempo “diverso”, enormemente lontano. Da un
certo punto di vista è come se fosse accaduto l’altro ieri. Ci appare lontano
forse per la frattura culturale prodotta dalle invasioni dei popoli del Nord e
dell’Oriente e dall’espansione dell’Islam, che hanno distrutto o disperso gran
parte del materiale documentale, quindi dei ricordi, disponibile in
quell’antica ma avanzata civiltà.
Nella nostra fede possiamo credere alla realtà
del futuro beato promesso solo perché il fondamento della nostra speranza visse
tra noi l’altro ieri, figlio d’uomo tra figli d’uomini. E non solo, da adulto,
insegnò nella Galilea, Giudea e dintorni sotto Tiberio, ma dobbiamo potercelo
figurare neonato, tra le mani della mamma. Si poté tenerlo in braccio, averlo
come compagno, vederlo morire, e alcuni di coloro che lo conoscevano meglio lo
rividero risorto: non fu un fantasma o una nostra consolante invenzione. Quando
lo rincontreremo, non sarà la prima volta: il suo infatti sarà un ritorno. E’
lo specifico della nostra religione. Ciò che la divide nettamente dall’ebraismo
antico, con il quale pure condividiamo un notevole patrimonio culturale, e da
altre confessioni. Nello stesso tempo è una concezione non facile da accettare,
così come non lo era già nei primi tempi; in un certo senso dobbiamo sempre
convincerci di nuovo. In particolare nell’età anziana, quando il ricordo
entusiasmante dell’esperienza della generazione si fa lontano e il tempo reca
spesso solo cattive notizie; quando, allora, a causa di questa particolare
condizione personale, dubitiamo, e proprio nel momento in cui si fa più vicino
quell’incontro che ci hanno insegnato ad attendere e sarebbe più importante
essere saldi nella fede, per resistere alle ultime prove. E, naturalmente,
anche nella malattia, per ragioni analoghe. Ma, in genere, in tutti quei
frangenti in cui la nostra umanità è percossa e grida per essere salvata; lì
dove, secondo l’immagine del poeta Hugo, “ciascuno, dalla sua notte, va verso
la luce”. Colui per mezzo del quale tutte le cose sono state create è stato uomo
in mezzo a noi, e anche bambino! Inutile cercare dettagli: la ragione ad un
certo punto deve arrendersi. Per questo le celebrazioni religiose del Natale
sono cariche di forza emotiva, sia quelle liturgiche che le altre, come il
presepio, i canti, le sacre rappresentazioni ecc. Perché noi non crediamo solo
con la ragione. E se fosse diversamente, la gran parte di noi sarebbe esclusa
dalla fede. Che invece non è solo cosa
per sapienti. E’ via di salvezza per tutti. Per i sapienti, a sostegno della loro incredulità; per gli
ignoranti, come guida e difesa contro chi vuole approfittare della loro
credulità. Per i bambini e per gli adulti. Per i giovani e per gli anziani. Per
i sani e per i malati. In genere per tutti i sofferenti e anche per coloro che
vivono in tenebre morali. Anche per quelli che, per vari motivi e varie
condizioni personali, non trovano più
ragioni per credere, ma tuttavia sentono dentro di sé l’appello a lasciarsi
convincere. Tutti noi credenti siamo infatti dei “chiamati”. E prendiamo la
decisione fondamentale della nostra vita rispondendo ad una voce, che anche per
noi giunge portata con amore da testimoni degni di fiducia, dai primi tempi
lungo le quaranta generazioni che ci separano dal fondatore. “Io sono la porta:
chi entra attraverso me sarà salvo …Io sono il buon pastore: io conosco le mie
pecore ed esse conoscono me, come il Padre mi conosce e io conosco il Padre…
Udranno la mia voce, diventeranno un unico gregge con un solo pastore”, è
scritto.
In una trasmissione religiosa della prima
mattina, su Radio Rai Uno, riferivano
che una maestra aveva definito
“cretinate” le semplici celebrazioni che le mamme volevano che si
facessero in una scuola dell’infanzia per il Natale (presepio, canzoncine
ecc.). No, il Natale non è una “cretinata” (neanche più una cosa solo per
bambini, ma addirittura per bambini scemi); e questo anche se una parte delle
consuetudini natalizie può apparire ingenua o fanciullesca. E anche se la
precisa dinamica di quei fatti lontani non è storicamente accertabile, secondo
i canoni della scienza di oggi. Dietro il presepio, nelle celebrazioni del
Natale, c’è la fede, la nostra fede, ragione di vita e di speranza che si basa
su testimoni attendibili, perché in questo hanno messo in gioco la propria
vita, e su qualcosa in noi, che, come scriveva ai romani di tanto tempo fa
Ignazio di Antiochia, mormora, come un’acqua viva, “Vieni al Padre”.
Mario
Ardigò - nella Vigilia di Natale 2007
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Natale
Ma quando
facevo il pastore/
allora
ero certo del tuo Natale./
I
campi bianchi di brina,/
i campi
rotti al gracidio dei corvi/
nel mio
Friuli sotto la montagna/
erano il
giusto spazio alla calata/
delle
genti favolose./
I tronchi
degli alberi parevano/
creature
piene di ferite;/
mia madre
era parente/
della
Vergine,
tutta in
faccende/
finalmente
serena./
Io
portavo le pecore fino al sagrato/
e sapevo
d’esser uomo vero/
del tuo
regale presepio.
David
Maria Turoldo