Politica, amministrazione, governo
Nei discorsi che si fanno nei nostri ambienti ecclesiali
spesso sento confondere politica e amministrazione pubblica: non sono la
stessa cosa.
Un politico può essere anche un amministratore pubblico, ma, in genere,
sovrintende solo, dando direttive ad una amministrazione pubblica e, quando
parliamo in quel contest di amministrazione
intendiamo una organizzazione che
opera nell’interesse generale, su scale nazionale, locale o settoriale.
In particolare, vedo che colpiscono molto le
amministrazioni pubbliche locali che forniscono servizi, come manutenzione
delle strade, illuminazione pubblica, trasporti pubblici, disciplina del
traffico, erogazione di gas, energia elettrica, acqua potabile e simili. Ma si
apprezzano molto i servizi sociali, che consistono in vari interventi a favore
di persone e famiglie in difficoltà, che la previdenza sociale pubblica non
riesce a sollevare, o non abbastanza.
Il problema della politica viene
quindi visto essenzialmente come quello
di collocare nei posti dirigenziali dei servizi pubblici delle persone,
competenti, dotate di spirito altruistico, non ossessionate dalle prospettive
di carriera e di arricchimento, che sappiano resistere alle tentazioni della
corruzione, sempre potenti in chi controlla settori di erogazioni pubbliche,
insomma quello di accreditare amministratori buoni, che poi organizzino qui servizi, secondo criteri di efficienza, imparzialità e giustizia.
Questa impostazione, che è sbagliata se assimila politica e amministrazione pubblica, dipende da
un’insufficiente acculturazione ecclesiale alla politica, a suo volta causate da carenze
formative riconducibili alla prima dottrina sociale, quella che riservava la
formulazione dei criteri generali di azione politica solo alla gerarchia ecclesiale.
Dagli anni ’60, dal Concilio Vaticano 2° (1962-1965) si è cominciato a
richiedere maggiore autonomia, dove prima
si imponeva di limitarsi ad eseguire, quindi ad amministrare, e in particolare riguardo ai
laici. La rivendicazione di uno spazio più ampio costò la scomunica ad uno
dei principali teorizzatori di una democrazia cristiana, quindi di una
politica democratica orientata da valori di fede, Romolo Murri.
La politica non è amministrare nell’interesse generale,
bensì il governo della società, che
significa produrre un certo assetto collettivo in modo che la vita pubblica
proceda ordinatamente, e questo comporta agire sul tessuto della società
stabilendo gerarchie di valori, interazioni tra strati della popolazione,
modalità di produzione, contribuzione e distribuzione con riferimento ai
risultati dell’economia.
Il governo della società può farsi in vari modi, a seconda che il gruppo
di vertice accetti una legittimazione dal basso, l’accetti solo dall’alto o non
accetti altra fonte di legittimazione che se stesso, e allora è
un’autocrazia. La prima modalità è
quella democratica, la seconda è quella di tipo feudale, sempre che ai livelli
gerarchicamente sottordinati sia garantita un’ampia autonomia e non consistano
solo in burocrazie, la terza è quella delle monarchie autocratiche.
Le democrazie occidentali contemporanee avanzate sono caratterizzate
dalla coesistenza, in precario equilibrio, di molti centri di potere con
legittimazione mista, dal basso e dall’alto, e rimangono democratiche solo
finché nessuno di esso assuma connotati autocratici. Il coordinamento dei poli
al vertice non è di tipo gerarchico, come nelle burocrazie, ma nemmeno di tipo
feudale. Consiste in un delimitazione di carattere giuridico / costituzionale,
con molte sovrapposizioni di competenze, ma senza che un polo possa assimilare
o controllarne un altro. E’ stato in gran parte superato il modello teorizzato
a fine Settecento della tripartizione dei poteri in legislativo, esecutivo e giurisdizionale.
Il potere politico è la risultante dell’interazione di quei poli, il cui reciproco
assetto politico, la loro governance, varia a seconda delle stagioni della società.
Quella governance, quindi il coordinamento di
quei poli è appunto la politica. Un’attività
molto complessa, perché lo sono le società contemporanee, che devono riuscire a
far sopravvivere un’umanità numerosa come non mai, ormai di circa otto miliardi
di persone.
Da questo punto di vista, l’organizzazione
ancora feudale del potere nella Chiesa cattolica, risalente a riforme attuate tra l’Undicesimo e il Tredicesimo
secolo della nostra era, è veramente obsoleta e, in particolare, nella sua
assenza di processi democratici, umilia laici e basso clero, che ne sono,
almeno formalmente, solo sudditi.
I recenti gravi problemi che si sono manifestati nella Santa Sede e nel suo
piccolo regno assoluto romano sul colle Vaticano, simulacro del perduto potere temporale, vengono considerati da diversi osservatori la manifestazione della crisi terminale di quelle istituzioni. Inutile, però, per una persona laica occuparsene. Il processo
farà comunque il suo corso e, del resto, la gran parte dei fedeli non ha neppure titolo
giuridico per ingerirsi. L’importante è cercare di non mettersi a quella scuola
e, soprattutto nelle realtà di prossimità, sperimentare nuove modalità di
organizzazione.
Riflettere sulla politica è importante ed è la
base per poi fare politica: non basta essere buoni e competenti; bisogna, ad esempio prendere posizione nei conflitti
sociali che si producono in ogni società, da un lato minacciando di
disgregarla, dall’altro consentendone l’evoluzione per adattamento ai tempi
nuovi.
Ogni società, ma in particolare le società contemporanee, molto più
complesse di quelle del passato, dalla cui efficienza dipende la sopravvivenza
di quegli otto miliardi di persone, richiede di saper contrastare i suoi fenomeni
disgregativi, ma di farlo impiegando il minor livello di violenza possibile,
perché se si fa conto sulla violenza politica per governare le moltitudini che
abitano la Terra, ne sarà necessaria di estrema
e molto estesa, in uno scenario da incubo.
L’esperienza delle democrazie avanzate insegna che essa non è necessaria
in quelle dimensioni, e anzi è controproducente e obsoleta, in quanto
caratteristica di società primitive. Praticata su larga scala nel secolo
scorso, ha prodotto immani stragi nelle guerre mondiali del Novecento e, dopo
lo sviluppo dell’arma nucleare, alla minaccia di autodistruzione globale
dell’umanità, se si fosse decisa di impiegarla in un conflitto totale tra
superpotenze che ne disponevano.
La democrazia come oggi viene intesa, e lo è in modo molto diverso da
come lo era nell’antichità ma anche agli esordi delle democrazia moderne,
dalla metà del Settecento e fino agli ultimi decenni dell’Ottocento, è
anzitutto una conquista culturale, e
quindi deve essere insegnata, argomentata, e appresa di generazione in
generazione. Si basa sulla delimitazione
di ogni centro di potere secondo valori, e con centro di potere va intesa
anche ogni singola persona, nelle sue interazioni sociali. Al centro delle
democrazia avanzate contemporanee vi è
il concetto, e il valore, di dignità
della persona, che può anche essere argomentato per via religiosa, ma che,
fino ad epoche molto recenti, è stato disatteso, e addirittura osteggiato,
dalla gerarchia cattolica e dalla sua dottrina. Infatti solo con il Concilio
Vaticano 2° si è arrivati faticosamente ad accettare l’idea di libertà di coscienza che di quella dignità è la base. Essa era
stata condannata nel secolo precedente.
Politica, in senso democratico, è agire
sulla stratificazione sociale di potere esistente, in modo da produrre una governance che renda possibile in società la dignità
della persone. Qualcosa che, dunque, è
molto diverso dal semplice amministrare,
che si dà solo in un assetto politico già stabilizzato.
Ma qual è la forza che può produrre le
modificazioni sociali occorrenti per produrre quel risultato nella
stratificazione sociale esistente? Quest’ultima è la risultante di interazioni
collettive di vario genere, la più primitiva delle quali è la violenza bruta. Secondo quest’ultima prevale il gruppo
sociale più forte, e, all’interno di esso, la persona più forte. Ma una società
in preda alla violenza come fattore di consolidamento non potrebbe produrre
organizzazioni complesse, destinate a durare nel tempo. Infatti bisognerebbe sempre
fronteggiare le sfide di nuovi pretendenti ad esserne capi e i capi in carica
dovrebbero sempre accettarle per rimanere tali. Qualcosa di simile accadeva sui
vascelli pirati del Seicento e accade anche nelle società criminali di oggi, le
quali, comunque, divenendo più complesse in relazione all’allargamento dei loro
obiettivi, tendono a istituzionalizzarsi,
copiando le amministrazioni pubbliche.
L’istituzionalizzazione è la cristallizzazione di una certa governance politica secondo norme
formali, in cui ciascuno trova la propria convenienza e che quindi vengono
osservate in una collettività.
La prima forma di istituzionalizzazione fu quella di tipo sacrale,
secondo la quale un certo assetto politico
viene presentato come voluto dagli dei superni, e pertanto è
immodificabile pena il suscitare la loro ira. L’altra forma più evoluta è
quella della giuridicizzazione delle istituzioni, in genere agganciata ad altri
miti. Questo modo di istituzionalizzare si presenta come un complesso di regole dell’arte sociale: come si
costruiscono i ponti, così si costruiscono le società. Mentre nel primo modo
conta molto la religione, in questo prevale l’influsso di una tradizione, autorevole perché risalente
agli avi.
E’ interessante ricordare che un collegamento tra quelle due
edificazioni, dei ponti e della società, si ebbe storicamente nella Roma antica
nell’istituzione del collegio dei Pontefici,
guidati da un capo detto Pontefice massimo. Passati dalla repubblica all’impero, la carica
sacerdotale venne assunta dall’imperatore.
Gli antichi Pontefici erano
più che altro teologi, esperti nella sacralizzazione della società ma anche
nella sua istituzionalizzazione. La qualifica passò ai Papi romani nel Quinto
secolo.
La politica, nelle società complesse contemporanee, non è dunque solo
fatta di relazioni interpersonali, ma deve fare i conti con società
istituzionalizzate e in varia misura anche sacralizzate. Svolge quindi due funzioni principali: quella
di organizzazione del consenso e di intervento sulle istituzioni.
In un contesto di società istituzionalizzate vi sono dei limiti ai modi
in cui è possibile organizzare il consenso: la libertà è massima, ma non
assoluta, nelle democrazie; minima, ma comunque sussistente, nelle autocrazie.
Anche le autocrazie, benché autoreferenziali, hanno infatti necessità di
organizzare il consenso, perché, sostanzialmente, sono solo una forza sociale
tra le altre, e, mancando procedure per l’evoluzione del sistema politico in
modo pacifico, sono esposte a mutamenti di carattere rivoluzionario, per
esplosione dal basso.
In democrazia, occorre conquistare e mantenere
una legittimazione dal basso nel quadro di varie procedure di verifica:
elezioni, referendum, altri tipi di consultazione popolare diretta, accordi tra
esponenti di gruppi influenti in società o rappresentanti di coalizioni di
interessi di vario tipo.
In definitiva la finalità principale della
politica, che la distingue nettamente dalla semplice amministrazione pubblica, è la costruzione e il mantenimento nella
società di un sistema di potere pubblico efficace e stabile, in un quadro di
legalità istituzionale condivisa dai maggiori attori sociali, vale a dire le forze determinanti nelle interazioni
sociali, conflittuali e non [così, ad esempio in Thomas Pikettty, Il capitale nel XXI secolo, 2013,
pubblicato in traduzione e italiana da Bompiani].
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli