Hervé Legrand – Michel
Camdessus, Una Chiesa trasformata dal popolo, Paoline 2021, €16,00, pagg
153
Il
libro è stato menzionato durante un incontro in Zoom del Meic Lazio. Raccoglie le
riflessioni di un gruppo di laici francesi, professionisti in vari campi,
coordinato dal teologo Hervé Legrand. In Francia è stato pubblicato nel 2020.
L’occasione
per iniziare ad incontrarsi sul tema della riforma della Chiesa è stata data
dall’emergere degli abusi sessuali del clero e dalla Lettera al popolo di
Dio di papa Francesco del 2018 (che
riporto sotto), nella quale si addebitava l’insufficiente reazione agli
scandali al clericalismo, inteso come identificare la Chiesa con il clero, ma
anche l’identificare il cattolicesimo con la concentrazione del potere nelle
mani del papa e del clero. Quest’ultima non corrisponde ad un dato della
Tradizione, ma è uno sviluppo tardo moderno, derivato dalla difficoltà ad
accettare l’esplosione delle libertà sociali.
Al
rischio del clericalismo si può rispondere solo con una condivisione del
potere, in particolare costruendo procedure sinodali, cosa che si sta rivelando
molto difficile nei cammini sinodali in corso dall’ottobre del 2021.
L’educazione
del clero è divenuta sempre più separata dal contesto culturale in cui il clero
deve operare: nel libro si parla di gelata antimodernista, con
riferimento alla dura persecuzione di ogni tendenza ecclesiale che intendeva
introdurre forme partecipative e lo studio dei testi biblici maggiormente
aderente alla metodologia scientifica nell’analisi dei documenti antichi.
In
questo modo, in particolare, gli insegnamenti morali in tema di vita affettiva
e di sessualità hanno perso realismo e concretezza, puntando alla rimozione e a
visioni rigoriste con conseguente allontanamento dei più giovani. Ma, anche, la religione è divenuta incapace di
incidere positivamente sullo sviluppo della democrazia, sull’eticità
dell’economia e della finanza, sull’efficacia del governo di un mondo divenuto
multipolare. In questo l’Europa dovrebbe essere un soggetto decisivo, in
particolare come artefice di pace, e proprio in questi giorni si vede come sia
carente in questo campo.
Fare comunione sinodale richiede però un apprendistato
lungo e accurato. Non è cosa immediata, si scrive nel libro, ma deve essere
mediata da tempi e procedure complesse, anche con creatività.
In
questo quadro si colloca anche il problema di uscire dalla strutturale
subordinazione della donna e di
costruire una fondamentale uguaglianza tra i sessi: questo, secondo il libro,
deve valere non solo per il mondo, ma anche per l’istituzione ecclesiale,
in un percorso di trasformazione culturale e istituzionale in cui non è il
vangelo a cambiare, ma sia noi.
Tutto questo emerge dalla presentazione del
teologo Andrea Grillo.
Utilizzerò il libro, in prossimi interventi, per sviluppare un discorso
sulla sinodalità ecclesiale che possa esserci utile nella fase di ascolto
del Popolo di Dio che si sta celebrando anche nella nostra parrocchia, nel
quadro dei cammini sinodali.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San
Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli.
LETTERA DEL SANTO PADRE
FRANCESCO
AL POPOLO DI DIO
«Se un membro soffre, tutte le membra
soffrono insieme» (1 Cor 12,26). Queste parole di San Paolo
risuonano con forza nel mio cuore constatando ancora una volta la sofferenza
vissuta da molti minori a causa di abusi sessuali, di potere e di coscienza
commessi da un numero notevole di chierici e persone consacrate. Un crimine che
genera profonde ferite di dolore e di impotenza, anzitutto nelle vittime, ma
anche nei loro familiari e nell’intera comunità, siano credenti o non credenti.
Guardando al passato, non sarà mai abbastanza ciò che si fa per chiedere
perdono e cercare di riparare il danno causato. Guardando al futuro, non sarà
mai poco tutto ciò che si fa per dar vita a una cultura capace di evitare che
tali situazioni non solo non si ripetano, ma non trovino spazio per essere
coperte e perpetuarsi. Il dolore delle vittime e delle loro famiglie è anche il
nostro dolore, perciò urge ribadire ancora una volta il nostro impegno per
garantire la protezione dei minori e degli adulti in situazione di
vulnerabilità.
1. Se un membro soffre
Negli ultimi giorni è stato pubblicato un
rapporto in cui si descrive l’esperienza di almeno mille persone che sono state
vittime di abusi sessuali, di potere e di coscienza per mano di sacerdoti, in
un arco di circa settant’anni. Benché si possa dire che la maggior parte dei
casi riguarda il passato, tuttavia, col passare del tempo abbiamo conosciuto il
dolore di molte delle vittime e constatiamo che le ferite non spariscono mai e
ci obbligano a condannare con forza queste atrocità, come pure a concentrare
gli sforzi per sradicare questa cultura di morte; le ferite “non vanno mai
prescritte”. Il dolore di queste vittime è un lamento che sale al cielo, che
tocca l’anima e che per molto tempo è stato ignorato, nascosto o messo a
tacere. Ma il suo grido è stato più forte di tutte le misure che hanno cercato
di farlo tacere o, anche, hanno preteso di risolverlo con decisioni che ne
hanno accresciuto la gravità cadendo nella complicità. Grido che il Signore ha
ascoltato facendoci vedere, ancora una volta, da che parte vuole stare. Il
cantico di Maria non si sbaglia e, come un sottofondo, continua a percorrere la
storia perché il Signore si ricorda della promessa che ha fatto ai nostri
padri: «Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti
dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha
rimandato i ricchi a mani vuote» (Lc 1,51-53), e proviamo vergogna
quando ci accorgiamo che il nostro stile di vita ha smentito e smentisce ciò
che recitiamo con la nostra voce.
Con vergogna e pentimento, come comunità
ecclesiale, ammettiamo che non abbiamo saputo stare dove dovevamo stare, che
non abbiamo agito in tempo riconoscendo la dimensione e la gravità del danno
che si stava causando in tante vite. Abbiamo trascurato e abbandonato i
piccoli. Faccio mie le parole dell’allora Cardinale Ratzinger quando,
nella Via Crucis scritta per il Venerdì Santo del 2005, si unì
al grido di dolore di tante vittime e con forza disse: «Quanta sporcizia c’è
nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero
appartenere completamente a Lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza! […]
Il tradimento dei discepoli, la ricezione indegna del suo Corpo e del suo
Sangue è certamente il più grande dolore del Redentore, quello che gli trafigge
il cuore. Non ci rimane altro che rivolgergli, dal più profondo dell’animo, il
grido: Kyrie, eleison – Signore, salvaci (cfr Mt 8,25)»
(Nona Stazione).
2. Tutte le membra soffrono
insieme
La dimensione e la grandezza degli
avvenimenti esige di farsi carico di questo fatto in maniera globale e
comunitaria. Benché sia importante e necessario in ogni cammino di conversione
prendere conoscenza dell’accaduto, questo da sé non basta. Oggi siamo
interpellati come Popolo di Dio a farci carico del dolore dei nostri fratelli
feriti nella carne e nello spirito. Se in passato l’omissione ha potuto
diventare una forma di risposta, oggi vogliamo che la solidarietà, intesa nel
suo significato più profondo ed esigente, diventi il nostro modo di fare la
storia presente e futura, in un ambito dove i conflitti, le tensioni e
specialmente le vittime di ogni tipo di abuso possano trovare una mano tesa che
le protegga e le riscatti dal loro dolore (cfr Esort. ap. Evangelii
gaudium, 228). Tale solidarietà ci chiede, a sua volta, di denunciare tutto
ciò che possa mettere in pericolo l’integrità di qualsiasi persona. Solidarietà
che reclama la lotta contro ogni tipo di corruzione, specialmente quella
spirituale, «perché si tratta di una cecità comoda e autosufficiente dove alla
fine tutto sembra lecito: l’inganno, la calunnia, l’egoismo e tante sottili
forme di autoreferenzialità, poiché “anche Satana si maschera da angelo della
luce” (2 Cor 11,14)» (Esort. ap. Gaudete et exsultate,
165). L’appello di San Paolo a soffrire con chi soffre è il miglior
antidoto contro ogni volontà di continuare a riprodurre tra di noi le parole di
Caino: «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9).
Sono consapevole dello sforzo e del lavoro
che si compie in diverse parti del mondo per garantire e realizzare le
mediazioni necessarie, che diano sicurezza e proteggano l’integrità dei bambini
e degli adulti in stato di vulnerabilità, come pure della diffusione della
“tolleranza zero” e dei modi di rendere conto da parte di tutti coloro che
compiono o coprono questi delitti. Abbiamo tardato ad applicare queste azioni e
sanzioni così necessarie, ma sono fiducioso che esse aiuteranno a garantire una
maggiore cultura della protezione nel presente e nel futuro.
Unitamente a questi sforzi, è necessario
che ciascun battezzato si senta coinvolto nella trasformazione ecclesiale e
sociale di cui tanto abbiamo bisogno. Tale trasformazione esige la conversione
personale e comunitaria e ci porta a guardare nella stessa direzione dove
guarda il Signore. Così amava dire San Giovanni Paolo II: «Se siamo
ripartiti davvero dalla contemplazione di Cristo, dovremo saperlo scorgere
soprattutto nel volto di coloro con i quali egli stesso ha voluto
identificarsi» (Lett. ap. Novo millennio ineunte, 49). Imparare a guardare
dove guarda il Signore, a stare dove il Signore vuole che stiamo, a convertire
il cuore stando alla sua presenza. Per questo scopo saranno di aiuto la
preghiera e la penitenza. Invito tutto il santo Popolo fedele di Dio all’esercizio
penitenziale della preghiera e del digiuno secondo il comando del
Signore,[1] che risveglia la nostra
coscienza, la nostra solidarietà e il nostro impegno per una cultura della
protezione e del “mai più” verso ogni tipo e forma di abuso.
E’ impossibile immaginare una conversione
dell’agire ecclesiale senza la partecipazione attiva di tutte le componenti del
Popolo di Dio. Di più: ogni volta che abbiamo cercato di soppiantare, mettere a
tacere, ignorare, ridurre a piccole élites il Popolo di Dio
abbiamo costruito comunità, programmi, scelte teologiche, spiritualità e
strutture senza radici, senza memoria, senza volto, senza corpo, in definitiva
senza vita.[2] Ciò si manifesta con
chiarezza in un modo anomalo di intendere l’autorità nella Chiesa – molto
comune in numerose comunità nelle quali si sono verificati comportamenti di
abuso sessuale, di potere e di coscienza – quale è il clericalismo,
quell’atteggiamento che «non solo annulla la personalità dei cristiani, ma
tende anche a sminuire e a sottovalutare la grazia battesimale che lo Spirito
Santo ha posto nel cuore della nostra gente»[3].
Il clericalismo, favorito sia dagli stessi sacerdoti sia dai laici, genera una
scissione nel corpo ecclesiale che fomenta e aiuta a perpetuare molti dei mali
che oggi denunciamo. Dire no all’abuso significa dire con forza no a qualsiasi
forma di clericalismo.
E’ sempre bene ricordare che il Signore,
«nella storia della salvezza, ha salvato un popolo. Non esiste piena identità
senza appartenenza a un popolo. Perciò nessuno si salva da solo, come individuo
isolato, ma Dio ci attrae tenendo conto della complessa trama di relazioni
interpersonali che si stabiliscono nella comunità umana: Dio ha voluto entrare
in una dinamica popolare, nella dinamica di un popolo» (Esort. ap. Gaudete
et exsultate, 6). Pertanto, l’unico modo che abbiamo per rispondere a
questo male che si è preso tante vite è viverlo come un compito che ci
coinvolge e ci riguarda tutti come Popolo di Dio. Questa consapevolezza di
sentirci parte di un popolo e di una storia comune ci consentirà di riconoscere
i nostri peccati e gli errori del passato con un’apertura penitenziale capace
di lasciarsi rinnovare da dentro. Tutto ciò che si fa per sradicare la cultura
dell’abuso dalle nostre comunità senza una partecipazione attiva di tutti i
membri della Chiesa non riuscirà a generare le dinamiche necessarie per una
sana ed effettiva trasformazione. La dimensione penitenziale di digiuno e
preghiera ci aiuterà come Popolo di Dio a metterci davanti al Signore e ai
nostri fratelli feriti, come peccatori che implorano il perdono e la grazia
della vergogna e della conversione, e così a elaborare azioni che producano
dinamismi in sintonia col Vangelo. Perché «ogni volta che cerchiamo di tornare
alla fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo spuntano nuove
strade, metodi creativi, altre forme di espressione, segni più eloquenti, parole
cariche di rinnovato significato per il mondo attuale» (Esort. ap. Evangelii
gaudium, 11).
E’ imprescindibile che come Chiesa
possiamo riconoscere e condannare con dolore e vergogna le atrocità commesse da
persone consacrate, chierici, e anche da tutti coloro che avevano la missione
di vigilare e proteggere i più vulnerabili. Chiediamo perdono per i peccati
propri e altrui. La coscienza del peccato ci aiuta a riconoscere gli errori, i
delitti e le ferite procurate nel passato e ci permette di aprirci e impegnarci
maggiormente nel presente in un cammino di rinnovata conversione.
Al tempo stesso, la penitenza e la
preghiera ci aiuteranno a sensibilizzare i nostri occhi e il nostro cuore
dinanzi alla sofferenza degli altri e a vincere la bramosia di dominio e di
possesso che tante volte diventa radice di questi mali. Che il digiuno e la
preghiera aprano le nostre orecchie al dolore silenzioso dei bambini, dei
giovani e dei disabili. Digiuno che ci procuri fame e sete di giustizia e ci
spinga a camminare nella verità appoggiando tutte le mediazioni giudiziarie che
siano necessarie. Un digiuno che ci scuota e ci porti a impegnarci nella verità
e nella carità con tutti gli uomini di buona volontà e con la società in
generale per lottare contro qualsiasi tipo di abuso sessuale, di potere e di
coscienza.
In tal modo potremo manifestare la
vocazione a cui siamo stati chiamati di essere «segno e strumento dell’intima
unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (Conc. Ecum. Vat.
II, Lumen gentium, 1).
«Se un membro soffre, tutte le membra
soffrono insieme», ci diceva San Paolo. Mediante l’atteggiamento orante e
penitenziale potremo entrare in sintonia personale e comunitaria con questa
esortazione, perché crescano tra di noi i doni della compassione, della
giustizia, della prevenzione e della riparazione. Maria ha saputo stare ai
piedi della croce del suo Figlio. Non l’ha fatto in un modo qualunque, ma è
stata saldamente in piedi e accanto ad essa. Con questa posizione esprime il
suo modo di stare nella vita. Quando sperimentiamo la desolazione che ci
procurano queste piaghe ecclesiali, con Maria ci farà bene “insistere di più
nella preghiera” (cfr S. Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali,
319), cercando di crescere nell’amore e nella fedeltà alla Chiesa. Lei, la
prima discepola, insegna a tutti noi discepoli come dobbiamo comportarci di
fronte alla sofferenza dell’innocente, senza evasioni e pusillanimità. Guardare
a Maria vuol dire imparare a scoprire dove e come deve stare il discepolo di
Cristo.
Lo Spirito Santo ci dia la grazia della
conversione e l’unzione interiore per poter esprimere, davanti a questi crimini
di abuso, il nostro pentimento e la nostra decisione di lottare con coraggio.
Vaticano, 20 agosto 2018
Francesco
[1] «Questa specie di demoni non si scaccia se
non con la preghiera e il digiuno» ( Mt 17,21).
[2] Cfr Lettera al Popolo di Dio pellegrino
in Cile, 31 maggio 2018.
[3] Lettera al Cardinale Marc Ouellet, Presidente
della Pontificia Commissione per l’America Latina, 19 marzo 2016.